Oggi, 15 giugno 2019, alle 18 presso la nuova chiesa di Santa Chiara (via degli Elleni a Latina) si è tenuto il rito dell’Ammissione all’Ordine Sacro degli aspiranti al Diaconato permanente Antonio Cecconato, Claudio Negri, Fabio Guizzaro, Giovanni Battista De Bonis e Vincenzo Bernardini. La Santa Messa è stata presieduta dal vescovo Mariano Crociata e concelebrata dai parroci delle parrocchie di provenienza dei candidati e dalla comunità diaconale.
Si tratta di una tappa fondamentale del percorso formativo per arrivare un giorno all’eventuale ordinazione diaconale.
Di seguito l’omelia pronunciata dal vescovo Mariano Crociata (il riferimento liturgico è alla solennità della SS.ma Trinità):
«Siamo stati probabilmente portati a leggere la promessa e l’invio dello Spirito Santo da parte di Gesù come una sorta di compensazione per la sua assenza e di surrogato della sua persistente presenza. Se così fosse, dovremmo confessare che un tale modo di vedere è quanto meno inadeguato. Perché lo Spirito Santo non è un espediente, un ripiego o un sostituto successivamente subentrato. Gesù non è mai senza lo Spirito; egli anzi viene concepito nel seno di Maria per la potenza dello Spirito. Anche in questo caso, lo Spirito non è una sorta di rinforzo strumentale e occasionale in una condizione di deficienza umana, e cioè uno che interviene solo perché la persona del Figlio di Dio non può essere concepita umanamente con le sole forze umane. Questo è senz’altro vero, ma lo Spirito è sempre con il Figlio, e lo stesso è sempre con Gesù, cioè con l’umanità del Figlio, dal momento dell’incarnazione in avanti. Tutto questo per dire che non esiste un Gesù quale noi lo conosciamo e crediamo senza lo Spirito Santo. Che questi poi agisca, su promessa di Gesù, dopo la sua morte, risurrezione e ascensione, non vuol dire che Gesù rimane alle spalle. Poiché vale anche l’inverso: se Gesù non è mai senza lo Spirito, lo Spirito non è mai senza il Figlio e senza Gesù, Figlio incarnato.
Non ho detto queste cose per tediarvi con astratte speculazioni, poiché al contrario qui tocchiamo un punto nevralgico della nostra fede. La realtà di Dio è che non esiste mai in lui un rapporto chiuso a due, di fusione e quasi assorbimento reciproco. La reciprocità tra Padre e Figlio, per esempio, non è una reciprocità introversa ed escludente, che si appaga di se stessa e si esaurisce in se stessa. Se così fosse, non esisterebbe niente al di fuori dei due, ma questa è un’ipotesi assurda, poiché il senso della realtà è proprio l’apertura, non la chiusura, l’inclusione, non l’esclusione. E la realtà è in qualche modo lo specchio, l’immagine del creatore di cui porta l’impronta. Così, per stare al mistero di Dio – per quello che possiamo poveramente dirne –, il Padre e il Figlio non sono mai chiusi in se stessi, in una relazione egoisticamente appagata a due; il loro amore è così pieno, vero e puro, da formare la persona dello Spirito e da diventare la terza persona, la quale evidentemente non rimane mai chiusa in se stessa né si riferisce solo al Padre o solo al Figlio, ma è pienamente l’amore del Padre e del Figlio. Per questi motivi, il breve brano di vangelo giovanneo che abbiamo ascoltato rimanda circolarmente al Padre e allo Spirito: Gesù dona lo Spirito perché solo mediante lo Spirito la sua parola rimane viva e si rigenera continuamente in noi; ma d’altra parte rivela che tutto ciò che egli dice e trasmette non è altro che ciò che ha ricevuto dal Padre, è tutto del Padre e tutto trasmesso da lui. In tal modo la vita divina è in se stessa inesauribilmente circolare, cioè in uno scambio incessante fra le tre persone divine; ma poi tutto ciò che Dio comunica all’umanità passa sempre attraverso l’umanità del Figlio e opera grazie alla presenza animante e amante dello Spirito Santo.
Quello che dobbiamo ricavare da questo accenno al mistero di Dio è che ogni persona umana e ogni essere esistente non è se stesso se rimane chiuso in sé; e non lo è nemmeno se stabilisce un rapporto esclusivo con qualcuno possedendolo egoisticamente e isolandosi da tutti gli altri e da tutto il resto. Lo vediamo nella vita sociale di oggi e nella vita di famiglia. Tanti drammi nascono da tale chiusura, da tale isolamento, a volte anche nella vita di coppia, che però alla fine va in pezzi o si svuota senza il respiro dell’apertura alla vita e ai figli, alla comunità ecclesiale e alle relazioni sociali.
Il diaconato è un segno sacramentale della costitutiva apertura della vita abitata dalla fede e dalla presenza di Dio. Esso esiste per dire plasticamente che non siamo fatti per chiuderci in noi stessi o in una relazione a due in cui tutto viene assorbito, divorato ed esaurito. Siamo stati creati ed esistiamo per aprirci e dedicarci gli uni agli altri. Per questo la prima testimonianza dell’autenticità della vocazione diaconale è la qualità aperta e accogliente della famiglia del diacono.
Voi oggi venite ammessi tra i candidati all’ordine sacro. In un certo senso, voi che vivete già l’apertura a Dio e agli altri, nella vita di famiglia, di comunità ecclesiale e di società, attraverso questa specifica chiamata di Dio venite ora tirati fuori dalla cerchia in cui testimoniate questa apertura, per prepararvi ad una apertura più grande, ad una relazione e ad una fecondità che sarà l’intera comunità ecclesiale a sperimentare e ricevere per il tramite del vostro servizio.
Vi auguro e prego che non perdiate mai di vista questo orientamento di fondo, mentre intraprendete il cammino che segna la preparazione più prossima al ministero ordinato del diaconato permanente».