Il 30 maggio, alle 21, nella cattedrale di S. Marco a Latina il vescovo Mariano Crociata ha presieduto la Veglia di Pentecoste.
A causa delle misure di contrasto alla pandemia di Covid-19, l’ingresso in chiesa è stato contingentato in base a indicazioni già ricevute dai parroci. Con la Pentecoste è terminato il Tempo di Pasqua.
Di seguito l’omelia pronunciata dal vescovo Mariano Crociata.
OMELIA
Veglia di Pentecoste, Cattedrale di S. Marco
Latina, 30 maggio 2020
+ Mariano Crociata
Una domanda ha fatto capolino in molti di noi, da quando è esplosa l’epidemia; una domanda che forse continuerà a inquietarci per quello che deve ancora accadere almeno sul piano sociale. È la stessa che pone Gedeone nel libro dei Giudici: «Se il Signore è con noi, perché ci è capitato tutto questo?» (Gdc 6,13). Non è il momento di richiamare le possibili risposte, che comunque vedono in gioco anche le nostre responsabilità. E se risposte vogliamo trovare, allora abbiamo bisogno di umiltà, di solidarietà e di coraggio. Di umiltà, perché molto è dipeso dall’illusione di essere diventati invincibili e di potere tutto; di solidarietà, perché ora sappiamo che il nostro destino è indivisibile da quello di ogni altro abitante della terra, e solo insieme potremo scongiurare il rischio di distruggerci; di coraggio, perché le paure che ancora ci attanagliano non ci faranno combinare nulla, al contrario solo la volontà di affrontare con prudenza e senso di responsabilità quanto è necessario per andare avanti, ci farà superare le difficoltà presenti e quelle che ci attendono.
Con la Pentecoste il Signore ci fa giungere il suo messaggio per questo tempo. E il messaggio è questo: non si ricomincia da noi; si ricomincia dal suo Spirito. Non possiamo nasconderci di essere alquanto disorientati; ci chiediamo che cosa sia meglio fare e attendiamo sicurezze che non arrivano, senza sapere ancora per quanto tempo. Non facciamoci ingannare dall’attesa di migliori condizioni esterne; quando e come queste arriveranno, le sapremo valorizzare se da ora cominciamo con l’aiuto dello Spirito Santo, se accettiamo di essere quella distesa di ossa che lo Spirito fa rivivere. Il messaggio allora è questo: ridiventare sensibili allo Spirito. Non chiediamo: che cosa fare, ma: dove e come vuole condurci lo Spirito. È certo che Egli vuole dare vita a qualcosa di nuovo. Anche questo – o soprattutto questo – è tempo di gestazione e di parto. Prepariamoci ad accogliere la nuova creatura che lo Spirito sta generando in noi. Allora: sensibili allo Spirito!
Un’ultima riflessione è suggerita dalla composizione della nostra assemblea, contenuta in un numero che ha costretto a limitare gli ingressi secondo un criterio di rappresentanza. Qui senza dubbio è radunata tutta la nostra Chiesa ma nei suoi rappresentanti, senza dimenticare quelli che ci stanno seguendo a distanza. Colgo una suggestione in questa circostanza. L’unità della Chiesa si realizza e si sperimenta secondo diverse modalità e in gradi differenti. Alcuni in essa abbiamo un compito peculiare: quello di rendere presenti altri, di portare la loro voce e il loro cuore, e di riportare ad essi le risonanze di ciò che pulsa nel cuore della Chiesa. Vige una sorta di legge della rappresentanza nell’orizzonte spirituale della comunità ecclesiale, che per primo Gesù stesso attua, Lui che si è fatto carico dinanzi a Dio Padre di tutti noi. Non è un privilegio, né un titolo di merito. È una chiamata singolare, una responsabilità, che chiede un cuore grande, un grembo spirituale che attinge alle sorgenti dello Spirito per far sgorgare fiumi di acqua viva, correnti d’amore che da Dio rifluiscono verso i fratelli per tornare a Dio.
A noi fare nostre le consegne di questa Pentecoste: l’umiltà, la solidarietà e il coraggio; la sensibilità allo Spirito; il compito della rappresentanza.