Omelia per l’Ordinazione presbiterale di quattro Diaconi diocesani

Latina, cattedrale di San Marco, 29 giugno 2014
12-09-2014

È difficile sottrarsi all’impressione di sorpresa e di gioia che l’evento di oggi suscita, quando pensiamo al numero dei nuovi sacerdoti che vengono ordinati. Certo anche un solo sacerdote è un dono straordinario e incomparabile, ma vederne insieme un gruppo così significativo è indubbiamente di grande consolazione per una diocesi. Pertanto voglio dare voce, innanzitutto, all’esultanza e alla gratitudine della nostra Chiesa verso il Signore. Non dimentichiamo che è sempre Lui il protagonista e il promotore di ogni bene che si genera nella Chiesa e nella vita degli uomini. Da Lui viene la vocazione, la grazia della perseveranza, la luce e la forza per la preparazione, la formazione, l’ordinazione, l’inizio e la prosecuzione nel ministero presbiterale. Questo hanno vissuto e stanno sperimentando Luca, Alfonso, Francesco e Giorgio. Il nostro pensiero va a quanti hanno visto nascere, sostenuto e accompagnato le loro vocazioni: le famiglie, le varie comunità parrocchiali ed ecclesiali, non pochi sacerdoti, i formatori del seminario e i docenti, il vescovo Giuseppe che li ha anche ordinati diaconi, e tante altre persone a loro stessi note e meno note.

L’ordinazione di oggi è innanzitutto un evento di Chiesa e contiene in primo luogo un messaggio del Signore alla nostra comunità diocesana. Attraverso questi nostri nuovi preti, il Signore ci sta dicendo che non abbiamo il diritto di perdere la fiducia, di scoraggiarci di fronte alle difficoltà che la fede incontra, in noi e attorno a noi. Il Signore è fedele e oggi ce lo sta mostrando con grande munificenza. Attenzione, dunque, a non ridurre la qualità spirituale dell’evento, quasi si trattasse del successo di una buona organizzazione e di una rassicurazione numerica per una struttura bisognosa di rimpiazzi. Il messaggio è un altro: il Signore c’è, è all’opera, molto concretamente ed efficacemente. Esigenze insoddisfatte, carenze, preoccupazioni ci saranno sempre; ma nessuna di esse potrà toglierci la certezza che il Signore è vicino, non ci perde di vista, ci sostiene e ci farà andare avanti sulla via che Egli traccia per la nostra Chiesa. Di fronte a un segno così eloquente, è la fede interpellata, è la fede che deve crescere, la fiducia incrollabile nel Signore che guida la sua Chiesa e la dota dei doni necessari per la sua vita e per il suo cammino. E il ministero ordinato, il presbiterato, è una grazia singolare e vitale per l’esistenza e l’azione della Chiesa. Dobbiamo, dunque, essere grati al Signore e ravvivare la nostra fiducia in Lui, risvegliare l’entusiasmo.

In questo clima di grazia e di riconoscenza credente, in particolare che cosa vuole dire il Signore alla nostra diocesi e a voi cari ordinandi, nel singolare giorno liturgico dei due grandi apostoli Pietro e Paolo?

Attraverso l’assemblea qui convocata, deve raggiungere tutte le comunità l’appello che viene rivolto alla nostra Chiesa. È un appello alla responsabilità nei confronti dei nostri sacerdoti. Sì, perché la responsabilità non si dà solo in una direzione; la prima è certamente quella pastorale, di annuncio, di celebrazione, di guida da parte dei ministri; ma in qualche modo anche i fedeli sono responsabili dei loro preti. Tra i fedeli nascono le vocazioni al ministero, come tutte le altre vocazioni; in famiglia e nelle comunità esse vengono coltivate dal loro sbocciare fino alla loro crescita e maturazione; a favore dei fedeli viene svolto il servizio pastorale e dipende anche da loro accoglierlo, favorirlo, sostenerlo e collaborare con esso. Cari fedeli, voi non siete qui come spettatori di un sia pur grande evento – perché tale esso è! – ma partecipi e attivi in forza del sacerdozio comune che avete ricevuto con il battesimo. La vostra preghiera, insieme alla celebrazione dei sacramenti e a una vita cristiana esemplare, l’unità ecclesiale che condividete attorno al vescovo e al suo presbiterio: tutto questo costituisce il grembo della Chiesa da cui vediamo nascere i nuovi sacerdoti per la potenza feconda dello Spirito. Perciò voi siete legati ai nuovi presbiteri prima che per l’amicizia o la conoscenza personale, per la vocazione e il sacramento che li ha trasformati; di essi dovete prendervi cura innanzitutto con la preghiera e poi chiedendo e attendendo da loro il servizio della Parola, dei sacramenti, dell’edificazione della comunione fraterna nell’intreccio dei rapporti propri di una comunità diocesana. In questo modo sperimentiamo che la nostra Chiesa cresce, diventando sempre più conforme al corpo di cui Cristo è il capo.

A voi, cari Luca, Alfonso, Francesco e Giorgio, è chiesto di accogliere il dono del presbiterato con cuore aperto e generoso, con disponibilità piena a dedicare interamente la vostra persona e la vostra vita al servizio di Dio e del suo popolo in mezzo al quale e grazie al quale avete ricevuto la vita, la fede e la vocazione. Il nostro modello è Cristo pastore, di cui deve risaltare la presenza e il primato in ogni vostro gesto e parola. Egli ha esercitato il suo servizio messianico, su mandato del Padre, con la totalità della sua persona e della sua vita, offrendosi e consumandosi senza riserve e senza limiti – fino all’ultima goccia di sangue – per la salvezza del suo popolo e dell’umanità intera. Il sacramento che ricevete vi conforma a questo modello, non con la pretesa di poterlo eguagliare, ma infondendovi la grazia insieme al vivo desiderio di servirlo ed emularlo senza ombre e senza riserve in un crescendo continuo per tutta la vita.

Ricordate sempre ciò che il rito che stiamo celebrando comunica e trasmette: lo scopo del ministero è la santificazione del popolo cristiano, i cui confini la missione cristiana deve allargare sempre di più. Questo ministero possiede la sua dimensione costitutiva e originaria nell”essere’ prima che nel ‘fare’: la preghiera assidua e una condotta esemplare di vita apostolica sono il primo e fondamentale modo, anzi l’essenza, del servizio pastorale. Il popolo cristiano, dovunque siate e qualunque cosa facciate, si sentirà guidato da Dio attraverso di voi innanzitutto mediante la vostra preghiera e il vostro esempio di vita, perché ha bisogno di incontrare in voi autentici uomini di Dio e uomini di fede. La prima cosa che di voi si vedrà sarà sempre se, in comunione con la Chiesa, appartenete a Dio e ‘ci credete’ per davvero. Poi, in un tale stile di preghiera e di esemplarità spirituale e morale, potranno essere compiuti gli atti propri del ministero nella predicazione, nella celebrazione dei sacramenti, nella guida della comunità affidata in comunione con il vescovo. Su questo richiama l’attenzione la celebrazione dell’ordinazione, dalle domande sull’impegno personale, all’invocazione con la Chiesa intera rivolta a tutti i santi, all’imposizione delle mani e alla preghiera di ordinazione, ai segni esplicativi del vostro agire ministeriale e pastorale.

La comunione con il vescovo nel presbiterio è un’esigenza vitale dell’esistenza e dell’attività di un sacerdote. L’ordinazione non conferisce una prerogativa privata autonoma; non si diventa preti per conto proprio; essa non è una promozione personale, è l’inserimento in un collegio, quello dei presbiteri, che agisce come un corpo solo. Per questo sono presenti oggi tanti confratelli sacerdoti che vi imporranno anch’essi le mani e vi daranno l’abbraccio di accoglienza nel presbiterio. Non liberi professionisti né tanto meno battitori liberi, dunque, ma personalità solide e autonome per la forza dell’adesione a quanto la Chiesa chiede, e tuttavia mai separati o isolati dai confratelli e dal vescovo.

Il sacramento dell’ordine aggrega a un corpo ecclesiale previamente costituito e stabilito, che legittima e dà forza all’azione ministeriale di ciascuno, venendone a sua volta sostenuto. La Chiesa si dà attorno al vescovo, che esercita il suo servizio apostolico avvalendosi della collaborazione imprescindibile, perché sacramentale, del presbiterio e, in subordine, di quella dei diaconi. Il soggetto della collaborazione con il vescovo è il presbiterio come collegio, con la singolarità delle persone che lo compongono ma nell’unità della comunione e della volontà concorde di azione. Fuori della comunione nel presbiterio con il vescovo non può sopravvivere nessun sacerdote, né come ministro né come credente, e presto o tardi se ne vedranno gli effetti.

La solennità odierna dei santi Pietro e Paolo pone sotto il segno degli apostoli che stanno a fondamento dell’edificio ecclesiale non solo quello del Papa e dei vescovi, ma ogni ministero nella Chiesa. La Scrittura oggi proclamata ci consente di ricordare almeno che l’esperienza dell’apostolo e di ogni ministro richiede la liberazione dalla prigionia del male e del proprio egoismo, il riconoscimento di Gesù come unico Signore e Salvatore in una relazione personale di amore con Lui, la perseveranza sino alla fine in un crescendo che abbraccia tutta la vita come un unico atto di offerta di sé per amore.

Cari Luca, Alfonso, Francesco e Giorgio, la Chiesa, associando in un’unica festa gli apostoli Pietro e Paolo, vuole ricordarci che in essa si compongono varietà di doni e unità di intenti, di fede e di missione. Due apostoli, diversi per storia, personalità, ruolo e messaggio, cooperano concordi all’unico fine di far conoscere Cristo Gesù ed edificare la Chiesa. Anche voi, che oggi diventate sacerdoti, portate ciascuno una personalità, una sensibilità, un temperamento, una ricchezza di doti e di grazie che vi rendono unici e inconfondibili, ma nell’unico ministero siete chiamati ora, dovunque vi troverete a svolgere il vostro servizio pastorale, a concorrere – in una comunione indefettibile con il presbiterio attorno al vescovo – a compiere l’unica missione di Cristo e della Chiesa, per il bene del popolo cristiano e per la salvezza del mondo intero.