Omelia Azione liturgica della Passione del Signore nel Venerdì Santo (15/04/2022 – Cattedrale di S. Marco, Latina)

15-04-2022

Venerdì Santo

Azione liturgica della Passione del Signore

15 aprile 2022, Cattedrale di S. Marco

+ Mariano Crociata

Vi propongo una riflessione che prende spunto soprattutto dalla pagina di Isaia che abbiamo ascoltato come prima lettura. Non so a voi, ma a me fa un certo effetto risentire espressioni come: «egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori»; e poi ancora: «Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti».

In queste espressioni troviamo condensato il senso della passione e della morte di Gesù. Ma non dobbiamo essere superficiali o sbrigativi nel pretendere di intenderne subito il significato. Ci sono domande o obiezioni che diverse cose dette dal profeta sollevano. Una prima dice, per esempio: io non ho coscienza di aver fatto del male, e quindi non ho bisogno che qualcuno si faccia carico del mio male. Con uno che pensi così è difficile un dialogo che conduca a una comprensione. Si tratta di un modo di pensare che si diffonde sempre di più: se le cose vanno male – molti pensano – la cosa non mi tocca, non riguarda me. Altri, poi, ragionano di seguito in maniera perfino cinica: non gliel’ho chiesto io di sacrificarsi per me, quindi – ancora una volta – la cosa non mi interessa. Anche in questo caso, c’è poco da dire, se non in un dialogo che matura lentamente.

Ci vuole una grande sensibilità per entrare nel significato e nel valore del sacrificio che Gesù fa di sé e della efficacia che esso ha per noi. Ci vuole innanzitutto sensibilità al perverso intreccio che lega il male nel mondo e la nostra responsabilità nel contribuirvi e nel farlo crescere. Ci vuole, cioè, molta umiltà per capire e accettare che il male attorno a noi è un cumulo al quale in tanti portiamo il nostro mucchietto di egoismo, di menefreghismo, di cattiveria o peggio. La cosa difficile da accettare è che non è vero che, se vogliamo, siamo in grado da soli di scrollarci di dosso il male che abbiamo commesso; perché con il peccato succede come nell’affiliazione a una organizzazione criminale, per la quale quando pensi di volerti dissociare in realtà metti a rischio la tua vita, perché l’organizzazione si sente in pericolo e non tollera di essere lasciata. Con il peccato noi diventiamo come schiavi e non possiamo più fare a meno di peccare. Ci vuole una forza molto più grande della nostra buona intenzione e volontà per riuscirci.

Proprio in questo entra in gioco la morte di Gesù. Ci domandiamo: come egli si è fatto carico del nostro male e come gli effetti della sua morte hanno efficacia su di noi? Quando pensiamo al numero incalcolabile di vittime innocenti delle ingiustizie, delle violenze, delle guerre, fino alle ultime in corso in Ucraina e nelle altre lande insanguinate della terra, non ci sembra di vedere molta differenza tra esse e la vittima innocente per eccellenza che è stato Gesù. La differenza sta in questo: che la morte di Gesù non oscura quella di tutti gli innocenti della storia, ma trasmette ad esse una speranza di significato. Infatti egli abbraccia la morte andandole incontro non in maniera inconsapevole e sconsiderata, ma decidendo – e quale angoscia nel prendere quella decisione! – di affrontarla con la certezza di una unione con Dio Padre che nulla può mettere in dubbio. Gesù sceglie il bene disponendosi a pagare fin con la sua stessa vita il rifiuto di ricambiare il male con il male e la violenza con la violenza, ma pronto a subire violenza e a farsi carico del male fino al sacrificio supremo pur di non lasciarsi vincere dentro dal male, dall’odio, dal desiderio di vendetta. Tutto, anche il prezzo della vita, pur di non diventare complice del male. La volontà e la forza del bene in lui rimangono incrollabili. E questo per un solo motivo: la comunione con Dio Padre.

Egli è abbandonato da tutto e da tutti, ma sa di non essere mai abbandonato da Dio, nemmeno quando vive la lacerante sensazione dell’abbandono. Quella dell’abbandono da parte di tutti è la sensazione più straziante per chi stia vivendo una prova estrema e si trovi al cospetto della morte. Gesù vive questa prova nella fede che il Padre è con lui e lo sarà sempre e comunque, anche di fronte all’evidenza contraria. E questo perché egli è il Figlio eterno e ha condotto la sua esistenza terrena con la fede e l’abbandono totali che un figlio ha verso il padre amato di cui ben conosce, a sua volta, l’amore.

Ciò che egli ha fatto ci tocca nell’intimo, perché in lui Dio stesso si fa carico del nostro male e ci trasmette il potere di contrastarlo e di vincerlo, come ha fatto Gesù. Vi invito a trarre con me, allora, una conclusione: dobbiamo imparare a passare dalla complicità nel male alla solidarietà nel bene. Troppo spesso ci lasciamo trascinare da conoscenti, amici, compagni, vicini che ci portano, se non al male, ad atteggiamenti e comportamenti volgari, degradanti o semplicemente stupidi e vuoti. Dobbiamo cercare vicinanza e condivisione con chi è migliore di noi o insieme a cui possiamo aiutarci a diventare migliori.

Ma questo non è possibile, se non proviamo a tenere viva la nostra comunione con Dio e la fiducia incondizionata in Lui, non solo nelle circostanze ordinarie della vita, ma anche nei momenti di prova e di tentazione, come ha fatto Gesù, sempre fermo nella volontà di amore al Padre e di bene verso tutti, perfino verso i nemici.