Omelia alla Messa del crisma (13/04/2022 – Cattedrale di S. Marco, Latina)

13-04-2022

OMELIA

Messa del crisma

Mercoledì 13 aprile 2022, cattedrale di S. Marco

+ Mariano Crociata

 

L’invito ad alzarci, a rimetterci in piedi, l’abbiamo sentito rivolto a noi in maniera particolare e insistente nel corso di quest’anno pastorale. Esso risuona in una forma nuova e con una consapevolezza maggiore in questa celebrazione. Ci rendiamo conto, infatti, che rialzarci, prima che opera del nostro sforzo, è frutto della grazia del Risorto, che ci restituisce a noi stessi perdonati e dotati di nuova energia e volontà di bene. Tutto l’apparato sacramentale e la rete di relazioni ecclesiali che si intesse grazie anche alla Parola, ci convincono della necessità di essere risollevati e sostenuti dal Signore.

La formula messianica che condensa la nostra liturgia – “Lo Spirito del Signore è su di me” – è riferita propriamente al Messia Gesù, e per l’efficacia del mistero pasquale il suo Spirito rifluisce su di noi, innanzitutto in quanto battezzati e poi in quanto ministri ordinati. Perciò è di tutti noi che si tratta. A partire dal battesimo è all’opera in ogni credente una forza messianica trasmessa con l’intenzione di avviare una trasformazione di ciascuno e della situazione umana e sociale attorno a noi. Questo è il punto di caduta, l’approdo dell’iniziativa divina e della presenza messianica. Il dono di Dio è estroverso: dà forma e forza alla Chiesa perché si apra al mondo. Il nostro rialzarci si traduce, pertanto, in un aiuto ai fratelli a rialzarsi a loro volta, in un movimento a cerchi concentrici sempre più larghi che tende a raggiungere tutti.

Osserviamo la puntigliosità del testo biblico nel voler elencare le condizioni umane e sociali che il compito messianico deve raggiungere. L’abbiamo sentito: miseri, cuori spezzati, schiavi, prigionieri, afflitti; e ancora: poveri, ciechi, oppressi. Sono categorie sempre attuali, anche se nel nostro tempo possiamo arricchirlo menzionando malati, disoccupati, senza fissa dimora, profughi, lavoratori sfruttati; oggi, in particolare, dobbiamo aggiungere tanti giovani e adulti in preda alla depressione per le conseguenze della pandemia, della crisi economica, della paura per la guerra in corso in Europa, o semplicemente per il clima sociale che respiriamo. Non vi sembri strano se mi viene di inserire un’altra serie a queste categorie; intendo tutte le vittime delle inadempienze burocratiche, dei ritardi della giustizia, della noncuranza e della trascuratezza nella tenuta degli spazi e dei luoghi comuni e pubblici – da parte di tutti e non solo degli addetti –, dei danni spesso irreparabili all’ambiente, insomma dell’illegalità diffusa e della corruzione dilagante.

Non siamo chiamati a diventare una agenzia sociale; siamo chiamati a dare consistenza umana e sociale al vangelo e alla fede di cui viviamo. Un vangelo e una fede che non parlino alla condizione umana comune, alle angosce e alle speranze di donne e uomini di oggi, rischiano di ridursi a una forma di alienazione religiosa e di fuga dalla realtà. È una grande sfida, questa, soprattutto rispetto alle nuove generazioni, con le quali a volte sembra che non ci intendiamo più; noi non le capiamo e loro non ci capiscono. La nostra vita e la nostra umanità, abitate da Cristo risorto e dal suo Spirito, dovrebbero renderci e mostrarci così appassionati e significativi da contagiare anche loro. Le nostre stesse parole dovrebbero fiorire dall’emozione suscitata da un vissuto palpitante. Ma è diventato così difficile riscontrare una spiritualità viva e fervorosa, una gioia della fede e una serietà serena, insieme, che sappiano reggere l’urto di un pessimismo e di un malessere che sembrano inarrestabili!

Vorrei provare a dare nome alla chiamata e al compito che attendono noi credenti in Cristo. Il primo nome è quello di riparazione. A fronte del disagio che affligge tanta umanità attorno a noi, ci è chiesto di cercare rimedio, dare sollievo, portare aiuto, infondere fiducia e speranza. Già molto si è fatto e si fa in questo senso, ma il lavoro è infinito, perché “i poveri li avrete sempre con voi” e perché le cause di impoverimento sembrano accrescersi piuttosto che diminuire.

Il secondo nome è quello di ricostruzione. È il modo per dire che dobbiamo aver cura non solo dei marginali e degli offesi in qualunque modo dalla vita; dobbiamo aver cura anche del corpo sociale nel suo insieme, perfino nella sua parte più tranquilla e solida, perché si ricostituisca un tessuto sociale e civile nel quale il rispetto della persona sia al centro e l’attenzione alle relazioni, ai legami, al bisogno di comunità non venga mai meno, nonostante le resistenze, se non le ostilità, di un individualismo ottuso e corrosivo.

Di qui il terzo nome, e cioè rianimazione. Esso corrisponde al bisogno di immettere vitalità, cioè Spirito santo, in un corpo sociale stanco, lacerato e tendenzialmente in dissoluzione, a cui a volte assomiglia perfino il corpo ecclesiale. Tutto oggi reclama un bisogno di visione, di futuro, di speranza e di prospettive affidabili. La vera molla, il carburante di un motore vitale che spinga verso il futuro, è solo un condensato di ideali, di speranze, di propositi e progetti, di fiducia fondata in chi, risorgendo, ha reso mai perduta la lotta per un mondo più giusto e fraterno, e incrollabile la speranza in un avvenire che vincerà e travolgerà la morte.

Il discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret si conclude con l’espressione: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». L’accento è sul compimento che consiste nella verità e nella piena attualità di ciò che Gesù ha detto, riferendo a se stesso quanto diversi secoli prima aveva scritto il profeta Isaia, e che gli uditori in sinagoga hanno appena ascoltato. L’espressione originaria in greco sottolinea in modo particolare il coinvolgimento determinante degli ascoltatori, perché letteralmente dice: oggi si è compiuta la scrittura, quella nelle vostre orecchie. Questo realismo quasi fisico del riferimento alle orecchie degli ascoltatori in realtà riesce a far risaltare che solo quando si insedia e viene accolta attivamente nelle orecchie, che è come dire nella persona, nella sua mente e nel suo cuore, con una accoglienza profonda, la Scrittura può dirsi compiuta. Gesù deve insediarsi nelle nostre orecchie, cioè nel profondo delle nostre persone e delle nostre esistenze, se vogliamo che porti frutti maturi in noi, nelle nostre relazioni e nei nostri ambienti di vita, così da attuare efficacemente sempre nuovi processi di riparazione, ricostruzione, rianimazione.