Messa del crisma. Crociata: «Siamo chiamati a dare consistenza umana e sociale al vangelo e alla fede di cui viviamo»

Oggi pomeriggio, nella cattedrale di San Marco a Latina, il vescovo Mariano Crociata ha presieduto la Santa Messa del crisma, cui sono convocati in particolare tutti i presbiteri incardinati nella diocesi pontina, i quali hanno rinnovato le loro promesse pronunciate durante l’ordinazione sacerdotale.

La consacrazione del crisma

Inoltre, come da tradizione, il vescovo ha benedetto gli Oli santi, che poi saranno distribuiti tra le parrocchie in diocesi: il Crisma (per il Battesimo, Confermazione e Ordine sacro), l’olio per i Catecumeni e quello per l’Unzione degli infermi.

Di seguito l’omelia del vescovo Crociata:


OMELIA

Messa del crisma

Mercoledì 13 aprile 2022, cattedrale di S. Marco

+ Mariano Crociata

 

L’invito ad alzarci, a rimetterci in piedi, l’abbiamo sentito rivolto a noi in maniera particolare e insistente nel corso di quest’anno pastorale. Esso risuona in una forma nuova e con una consapevolezza maggiore in questa celebrazione. Ci rendiamo conto, infatti, che rialzarci, prima che opera del nostro sforzo, è frutto della grazia del Risorto, che ci restituisce a noi stessi perdonati e dotati di nuova energia e volontà di bene. Tutto l’apparato sacramentale e la rete di relazioni ecclesiali che si intesse grazie anche alla Parola, ci convincono della necessità di essere risollevati e sostenuti dal Signore.

La formula messianica che condensa la nostra liturgia – “Lo Spirito del Signore è su di me” – è riferita propriamente al Messia Gesù, e per l’efficacia del mistero pasquale il suo Spirito rifluisce su di noi, innanzitutto in quanto battezzati e poi in quanto ministri ordinati. Perciò è di tutti noi che si tratta. A partire dal battesimo è all’opera in ogni credente una forza messianica trasmessa con l’intenzione di avviare una trasformazione di ciascuno e della situazione umana e sociale attorno a noi. Questo è il punto di caduta, l’approdo dell’iniziativa divina e della presenza messianica. Il dono di Dio è estroverso: dà forma e forza alla Chiesa perché si apra al mondo. Il nostro rialzarci si traduce, pertanto, in un aiuto ai fratelli a rialzarsi a loro volta, in un movimento a cerchi concentrici sempre più larghi che tende a raggiungere tutti.

Osserviamo la puntigliosità del testo biblico nel voler elencare le condizioni umane e sociali che il compito messianico deve raggiungere. L’abbiamo sentito: miseri, cuori spezzati, schiavi, prigionieri, afflitti; e ancora: poveri, ciechi, oppressi. Sono categorie sempre attuali, anche se nel nostro tempo possiamo arricchirlo menzionando malati, disoccupati, senza fissa dimora, profughi, lavoratori sfruttati; oggi, in particolare, dobbiamo aggiungere tanti giovani e adulti in preda alla depressione per le conseguenze della pandemia, della crisi economica, della paura per la guerra in corso in Europa, o semplicemente per il clima sociale che respiriamo. Non vi sembri strano se mi viene di inserire un’altra serie a queste categorie; intendo tutte le vittime delle inadempienze burocratiche, dei ritardi della giustizia, della noncuranza e della trascuratezza nella tenuta degli spazi e dei luoghi comuni e pubblici – da parte di tutti e non solo degli addetti –, dei danni spesso irreparabili all’ambiente, insomma dell’illegalità diffusa e della corruzione dilagante.

Non siamo chiamati a diventare una agenzia sociale; siamo chiamati a dare consistenza umana e sociale al vangelo e alla fede di cui viviamo. Un vangelo e una fede che non parlino alla condizione umana comune, alle angosce e alle speranze di donne e uomini di oggi, rischiano di ridursi a una forma di alienazione religiosa e di fuga dalla realtà. È una grande sfida, questa, soprattutto rispetto alle nuove generazioni, con le quali a volte sembra che non ci intendiamo più; noi non le capiamo e loro non ci capiscono. La nostra vita e la nostra umanità, abitate da Cristo risorto e dal suo Spirito, dovrebbero renderci e mostrarci così appassionati e significativi da contagiare anche loro. Le nostre stesse parole dovrebbero fiorire dall’emozione suscitata da un vissuto palpitante. Ma è diventato così difficile riscontrare una spiritualità viva e fervorosa, una gioia della fede e una serietà serena, insieme, che sappiano reggere l’urto di un pessimismo e di un malessere che sembrano inarrestabili!

Vorrei provare a dare nome alla chiamata e al compito che attendono noi credenti in Cristo. Il primo nome è quello di riparazione. A fronte del disagio che affligge tanta umanità attorno a noi, ci è chiesto di cercare rimedio, dare sollievo, portare aiuto, infondere fiducia e speranza. Già molto si è fatto e si fa in questo senso, ma il lavoro è infinito, perché “i poveri li avrete sempre con voi” e perché le cause di impoverimento sembrano accrescersi piuttosto che diminuire.

Il secondo nome è quello di ricostruzione. È il modo per dire che dobbiamo aver cura non solo dei marginali e degli offesi in qualunque modo dalla vita; dobbiamo aver cura anche del corpo sociale nel suo insieme, perfino nella sua parte più tranquilla e solida, perché si ricostituisca un tessuto sociale e civile nel quale il rispetto della persona sia al centro e l’attenzione alle relazioni, ai legami, al bisogno di comunità non venga mai meno, nonostante le resistenze, se non le ostilità, di un individualismo ottuso e corrosivo.

Di qui il terzo nome, e cioè rianimazione. Esso corrisponde al bisogno di immettere vitalità, cioè Spirito santo, in un corpo sociale stanco, lacerato e tendenzialmente in dissoluzione, a cui a volte assomiglia perfino il corpo ecclesiale. Tutto oggi reclama un bisogno di visione, di futuro, di speranza e di prospettive affidabili. La vera molla, il carburante di un motore vitale che spinga verso il futuro, è solo un condensato di ideali, di speranze, di propositi e progetti, di fiducia fondata in chi, risorgendo, ha reso mai perduta la lotta per un mondo più giusto e fraterno, e incrollabile la speranza in un avvenire che vincerà e travolgerà la morte.

Il discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret si conclude con l’espressione: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». L’accento è sul compimento che consiste nella verità e nella piena attualità di ciò che Gesù ha detto, riferendo a se stesso quanto diversi secoli prima aveva scritto il profeta Isaia, e che gli uditori in sinagoga hanno appena ascoltato. L’espressione originaria in greco sottolinea in modo particolare il coinvolgimento determinante degli ascoltatori, perché letteralmente dice: oggi si è compiuta la scrittura, quella nelle vostre orecchie. Questo realismo quasi fisico del riferimento alle orecchie degli ascoltatori in realtà riesce a far risaltare che solo quando si insedia e viene accolta attivamente nelle orecchie, che è come dire nella persona, nella sua mente e nel suo cuore, con una accoglienza profonda, la Scrittura può dirsi compiuta. Gesù deve insediarsi nelle nostre orecchie, cioè nel profondo delle nostre persone e delle nostre esistenze, se vogliamo che porti frutti maturi in noi, nelle nostre relazioni e nei nostri ambienti di vita, così da attuare efficacemente sempre nuovi processi di riparazione, ricostruzione, rianimazione.