Omelia per l’Ordinazione presbiterale di quattro Diaconi salesiani

Latina, cattedrale di San Marco, 28 giugno 2014
12-09-2014

Oggi la famiglia salesiana è in festa e lo è tutta la Chiesa – anche la nostra – insieme a questa comunità parrocchiale che ha visto nascere e crescere la vocazione di Luca e ci fa partecipi ora della grazia dell’ordinazione, insieme a lui, di Nathan, Carmine ed Emanuele, in un movimento di inclusione che si estende ad abbracciare l’Italia intera fino al continente indiano. Ognuno di loro porta con sé un bagaglio di esperienza e di formazione che è già ricchezza della loro umanità per la vita religiosa e per il ministero ordinato. Ora tutto viene avvalorato e trasfigurato dalla grazia dello Spirito Santo, che imprime in ciascuno di loro l’immagine di Gesù buon pastore.

Luca, Nathan, Carmine ed Emanuele diventano sacerdoti secondo il cuore di Cristo e la mente della Chiesa, nello stile e nell’ordinamento di vita della congregazione salesiana secondo il modello di don Bosco, lui per primo sacerdote oltre che ispiratore e fondatore del carisma. Per un sacerdote salesiano guardare a lui è il modo migliore per riconoscere l’identità e la missione del proprio ministero. Questo siete chiamati a fare a partire da ora anche voi, cari ordinandi, perché in san Giovanni Bosco trovate una rappresentazione esemplare di che cosa significa vivere il presbiterato secondo la mente della Chiesa e nello spirito e nello stile della vostra famiglia religiosa.

Lo stretto rapporto tra ministero e consacrazione religiosa fa risaltare un aspetto che è costitutivo del sacerdozio come tale, e cioè la sua destinazione cattolica. Il ministero deve essere esercitato in una Chiesa particolare, ma la sua apertura è universale, la sua missione è il mondo. Voi avete modo di sperimentarlo in maniera peculiare per la caratteristica mobilità della vostra assegnazione pastorale, quasi a ricordare la libertà interiore con cui vivere anche il servizio, totalmente dediti, dove si viene mandati, al bene delle persone e dei fedeli affidati, pronti a riservare la stessa passione e la volontà di bene spirituale a persone nuove e sconosciute, a gruppi nuovi di fedeli, umanamente estranei forse, ma certamente inconfondibilmente noti e amati dal Signore.

La natura del ministero ordinato non cambia quando viene conferito a chi abbia emesso la professione religiosa. Si verifica, infatti, nel religioso una sorta di approfondimento dell’unica chiamata del Signore. Voi non avete ricevuto due vocazioni separate, ma un’unica vocazione che si realizza lungo un percorso di crescita e una specificità di attuazione: dunque presbiteri nello spirito del carisma, religiosi chiamati e conformati dal ministero pastorale. L’unico Signore che vi ha chiamati vi chiede di essere e vi rende pastori a sua immagine dentro il mondo variegato e complesso, carico di problemi e di speranze, delle nuove generazioni; pastori di generazioni nuove di uomini e donne credenti, di cristiani all’altezza di questo tempo; pastori dentro la grande sfida educativa di questa stagione culturalmente anti-educativa; pastori dell’umano da recuperare e restaurare sulla ribalta di areopaghi disumanizzanti non solo per derive etiche ma per opzioni ideologiche che mirano a legittimare la destrutturazione dell’umano, della persona, della famiglia.

Ma pastori come? La mente della Chiesa traspare con chiarezza lineare nel rito di ordinazione che stiamo celebrando, su cui avete già posto a lungo l’attenzione e che tutta l’assemblea si appresta a seguire con viva partecipazione orante. La Chiesa, che ha riconosciuto l’autenticità della vostra vocazione al presbiterato e l’idoneità conseguita lungo un cammino di formazione fatta di disponibilità alla grazia di Dio e di molteplice apprendistato teologico, spirituale e pastorale, ora completa la sua opera ammettendovi all’ordine sacro. Essa vi ricorda, attraverso la richiesta di esplicita assunzione degli impegni costitutivi del ministero, attraverso l’invocazione di tutti i santi, soprattutto l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione che trasmettono il dono dello Spirito Santo, e infine attraverso i segni esplicativi del ministero presbiterale, che la vostra ordinazione è opera divina, ha come finalità la santificazione del popolo cristiano in vista della salvezza di tutti gli uomini, si compie innanzitutto attraverso la preghiera e l’esemplarità della vita, si esercita mediante l’annuncio e la predicazione, la celebrazione dei divini misteri, in modo speciale l’Eucaristia, la comunione ecclesiale dei fedeli nell’obbedienza al superiore quanto allo stato di vita religioso e al vescovo nell’esercizio dell’attività pastorale.

Due aspetti non dovete mai perdere di vista. Il primo è, come detto, la preghiera e l’esempio della vita. La guida pastorale nei confronti dei fedeli un prete la svolge innanzitutto e fondamentalmente pregando e conducendo una vita cristiana esemplare. Un prete non è innanzitutto un organizzatore di attività religiose o simili, un promotore di buona socializzazione, un gestore di servizi pedagogici e ricreativi; se di compito bisogna parlare, allora il primo ed essenziale compito del prete è essere uomo di Dio, cioè un uomo di fede e di preghiera. Se è veramente tale, allora può fare di tutto quanto a iniziative e attività, perché tutto serve a incontrare e a far incontrare Dio. Il secondo riguarda il carattere collegiale del ministero presbiterale. L’ordinazione non è una promozione personale, è l’inserimento in un collegio, quello dei presbiteri, che agisce come un corpo solo. Per questo sono presenti oggi tanti confratelli sacerdoti che vi imporranno anch’essi le mani e vi daranno l’abbraccio di accoglienza nel presbiterio. Non liberi professionisti né tanto meno battitori liberi; personalità solide e autonome per la forza dell’adesione a quanto la Chiesa chiede, sì, ma mai separati o isolati dai confratelli, dai superiori, dal vescovo.

La solennità dei santi Pietro e Paolo conferisce una densità speciale alla nostra celebrazione, poiché ci riporta non solo alla memoria festosa delle colonne portanti dell’edificio ecclesiale, ma soprattutto ci offre due modelli di riferimento permanente del ministero pastorale. Le letture ci fanno cogliere tre aspetti importanti della personalità dei due santi, che anche noi siamo chiamati ad assimilare. Il gesto di guarigione miracolosa che Pietro fa alla porta del tempio riannuncia il primato dell’iniziativa di Dio: tutto ciò che voi farete come pastori non porterà mai frutto per merito della vostra capacità e iniziativa, ma solo perché il Signore si serve di voi per compiere le sue opere meravigliose. Del resto non diversamente Paolo fa appello alla chiamata straordinaria ricevuto sulla via di Damasco, per dire a sé e agli altri che la sua missione si regge sulla forza e sull’autorità del Signore stesso, e non di esseri umani, e il suo annuncio non ha un modello umano ma è rivelazione divina grazie a Cristo Gesù. Il vangelo ci ricorda, infine, che il cuore del ministero pastorale – non solo del successore di Pietro, ma anche di ogni successore del ministero apostolico e di ogni suo collaboratore come ministro ordinato – è il rapporto personale con il Signore: “Mi ami tu?… Mi ami tu più di…?”. La radice e la forza permanente del ministero sono l’unione personale d’amore, di fede e di preghiera con il Signore, da coltivare quotidianamente e assiduamente.

Cari Luca, Nathan, Carmine ed Emanuele, la solennità odierna, unendo in un’unica festa Pietro e Paolo, ci dice che nella Chiesa convivono unità e ricchezza nella varietà dei doni. Due apostoli, così diversi per storia, personalità, ruolo e messaggio, nondimeno concorrono in piena comunione di fede e di amore a edificare l’unica e concorde Chiesa di Cristo e di Dio. Anche voi, che oggi diventate sacerdoti, portate ciascuno una personalità, una sensibilità, un temperamento, una ricchezza di doti e di grazie che vi rendono unici e inconfondibili, ma nell’unico ministero siete chiamati ora, dovunque sarete posti, a concorrere in una comunione indefettibile a compiere l’unica missione di Cristo e della Chiesa, per il bene del popolo cristiano e per la salvezza del mondo intero.

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