Omelia per l’ordinazione diaconale di Paride Bove (04/10/2015 – Latina)

05-10-2015

OMELIA

Ordinazione diaconale di Paride Bove

Parrocchia S. Francesco, Latina, 4 ottobre 2015

+ Mariano Crociata

 

La celebrazione di oggi realizza e manifesta la grazia singolare che è concessa alla nostra Chiesa con l’ordinazione diaconale di Paride Bove. Il dono di un nuovo ministro ordinato è una ricchezza per tutti noi, perché ci assicura che il Signore continua ad aver cura di noi e non ci fa mancare le presenze necessarie alla fede e alla vita cristiana nelle nostre comunità.

La coincidenza – peraltro voluta – della nostra celebrazione con la festa di S. Francesco in questa chiesa parrocchiale a lui intitolata, nella quale tu, caro Paride, sei cresciuto, conferisce una luce speciale alla tua ordinazione. Permette infatti di leggere in un rispecchiamento e in una reciproca illuminazione il ministero del diacono e la vita di Francesco, che ha scelto di rimanere diacono, non per un diaconato permanente alla sua epoca da secoli non più esistente e ancora ben al di là dal tornare in auge, bensì per un bisogno di profonda corrispondenza al suo intimo sentire. Di fatto troviamo in lui una compenetrazione inestricabile tra compiti ministeriali ed esistenza personale. Francesco viene trovato a svolgere in varie circostanze una attività di predicazione eloquente ed efficace, in cui entrano in gioco non solo le sue parole ma l’espressività di tutta la sua persona; di lui è nota la venerazione nei confronti dei sacerdoti a motivo dell’Eucaristia che celebrano e distribuiscono ai fedeli, e insieme una rara intensità e assiduità alla preghiera; in lui, soprattutto, vediamo colui che si è fatto povero, si è posto cioè nella condizione non solo di venire in aiuto di chi è privo di tutto, ma di condividerne anche lo stato sociale e la storia di vita. Francesco rimane diacono perché la sua persona, il suo modo di vivere, il suo sentire profondo è spontaneamente diaconale. La sua ricchezza è Dio solo e la sua esistenza non può essere se non trasmettere in una rigenerata fraternità l’impagabile ricchezza dell’amore di Dio, senza che nessun possesso e orpello potesse fare da ostacolo in una condivisione perfetta del dono dall’alto. Per questo in Francesco i compiti diaconali scaturiscono con sovrana naturalezza da un sentire e da una identità costitutivamente diaconali, di persona fatta servizio, puro servizio alla gloria di Dio e al bene dei fratelli.

In questo modo Francesco ci appare davvero come una viva ripresentazione di Cristo, del quale uno dei titoli più espressivi che il Nuovo Testamento gli attribuisce è quello di servo. Servo, non solo per le opere che compie predicando, guarendo e conducendo alla fede e al Regno del Padre fino a morire in croce, ma perché tutto questo traduce nel codice dell’umana esperienza il suo inaudito abbassamento, che gli fa lasciare il credito e le prerogative della condizione divina per diventare uomo e l’ultima delle creature umane. Se c’è una cosa che Francesco ci fa capire, allora, è proprio il carattere intimamente cristologico e pasquale del ministero diaconale. In esso la croce di Cristo e l’impronta indelebile che essa lascia sulla persona del chiamato formano un contrassegno di rara eloquenza nella circolazione della vita della Chiesa e dei servizi ministeriali che in essa si dispiegano.

Nel tuo caso, caro Paride, parliamo di diaconato transeunte, poiché la prospettiva che la Chiesa ha accolto di assegnarti è quella del presbiterato; ma tu sai bene che transeunte è solo il tempo che potrai dedicare all’esercizio esclusivo di tale ministero; non è invece transeunte la vocazione e la destinazione della tua persona e del tuo ministero, chiamati a farsi permanentemente servizio a Dio e ai fratelli in ogni tempo e condizione. Con spirito di servizio, con animo di diacono sei chiamato e da ora in poi legato a svolgere i compiti che la Chiesa ti affiderà in futuro.

Le circostanze storiche in cui svolge la nostra celebrazione, in questo tempo di grandi trasformazioni e negli anni di pontificato di un uomo che, venendo da regioni provate comunque dall’incontro quotidiano con masse di diseredati e di infelici, ha voluto prendere il nome del santo che oggi veneriamo, ci inducono con maggiore consapevolezza a comprendere che l’attenzione e il contatto con i poveri, come nota caratteristica del servizio diaconale, ha bisogno di ritrovare nuova centralità come segno per tutti, chiamati a recuperare la nostra vera misura in un senso nuovo di fraternità che si apre a chi è bisognoso e viene a noi invocando aiuto e prossimità. In questo ti chiedo di imparare e di aiutarci a reimparare tutti l’arte eminentemente cristiana delle opere di misericordia e della carità intelligente e operosa.

Due note ancora le letture proclamate chiedono di porre in debita luce. La prima ci dice che il nostro ministero è per l’edificazione della Chiesa. Francesco ripara la Chiesa del suo tempo con un servizio umile e fraterno. In questo tempo di invadente spettacolarizzazione e di forte tentazione di penetrazione della logica mondana del successo e dell’affermazione di sé come unica condizione di efficacia, sei chiamato a riscoprire insieme a tutti noi il primato del servizio umile e nascosto, nella verità e nella carità, come principio di vera edificazione della Chiesa ma anche di una genuina umanità, anch’essa al giorno d’oggi profondamente minacciata.

E infine la letizia. La letizia di Francesco, così pieno di Dio da far diventare gioiosa anche l’esperienza delle percosse, del maltrattamento, della persecuzione. La letizia di Gesù, così unito al Padre da esultare in modo incontenibile e da consumarsi totalmente perché la gioia dei suoi discepoli e la nostra gioia sia anch’essa piena. È la gioia del servizio per amore che noi tutti auguriamo a te, Paride, e ci auguriamo gli uni gli altri, accompagnandoti con la nostra preghiera.