Omelia per l’inizio del ministero episcopale

Latina, chiesa del Sacro Cuore, 15 dicembre 2013
16-06-2014

«Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza»: è questa una rincuorante esortazione di Neemia (8,10) che abbiamo modo di ascoltare tra le formule di congedo liturgico della Messa. In questa domenica di Avvento, la gioia per l’imminenza del Natale si arricchisce, nella nostra diocesi, per l’inizio del ministero del nuovo Vescovo e si proietta sulla vita quotidiana di ciascuno di noi e delle nostre comunità. In che modo la gioia che viene dal Signore possiamo farla nostra e diventa nostra forza? 

C’è una gioia che giunge alla fine, come coronamento di un risultato o di una riuscita. Quella del Signore è un’altra gioia, perché non si appoggia su fatti o circostanze più o meno favorevoli, ma soltanto su di Lui. È la gioia della fede, che scaturisce dalla certezza che il Signore c’è, sta agendo e si accinge a manifestarsi. Tale gioiosa certezza suscita nuovo slancio, rigenera energia e conferisce forza, abilita ad affrontare le vicende liete e tristi della vita. Per questo il profeta oggi ci dice: «Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio […]. Egli viene a salvarvi”» (Is 35,3-4). 

Perfino la grandezza di Giovanni Battista, accoratamente elogiata da Gesù (cf. Mt 11,7-11), non giunge a tale gioiosa certezza; bisogna appartenere già al Re-gno, essere annoverati anche solo tra i più piccoli in esso, per attingerla in qualche misura. Quella dei piccoli del Regno è la gioia dell’attesa, che per fede fermamente sa e pregusta la venuta definitiva, l’arrivo del Salvatore. 

La drammatica domanda del Battista («Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?», Mt 11,3) a volte è anche la nostra. Il dubbio assale e si insinua lo sconforto. Se, però, ci riportiamo soltanto un poco alla fiducia che il Signore è vicino e ne sussultiamo di gioia, allora cominciamo a vedere come stanno veramente le cose. Lo abbiamo sentito da Isaia: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi» (35,5). Ci vuole la gioia della fede per vedere. E ci vuole la pazienza del contadino per saper attendere la maturazione dei frutti e poterli raccogliere. Ci vuole un animo grande, capacità di guardare e di sentire in grande, di attendere portando i pesi, quando invece si vorrebbe vedere fatta giustizia subito. La perseveranza sembra essere la via della salvezza finale, non la disperazione né la cattiva rassegnazione; essa sa comporre insieme l’attiva operosità e l’abbandono fiducioso e confidente nella vicinanza del Signore: «la venuta del Signore è vicina» e «il giudice è alle porte» (Gc 5,8.9). 

Scaviamo nel cuore della nostra fede, quella fede che l’annuncio originario di Gesù ha suscitato: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Allora ne vedremo spontaneamente sgorgare la gioia di essere destinati alla salvezza e alla vita; allora cominceremo a guardare con occhi nuovi attorno a noi e a scorgere i tanti segni che Dio va disseminando sulla nostra strada.

Oggi io sono chiamato a cominciare a vedere di quanti segni di bene, di santità e di grazia è ricca questa nostra diocesi, le nostre comunità, tutti voi popolo fedele di questa nostra Chiesa. 

Come voi siete portatori di doni di Dio, così anch’io vengo a voi come un segno di Dio. Nessun merito e nessun titolo possono darmi questo vanto, ma solo la benevolenza e la misericordia di Dio. Perciò vi chiedo: accoglietemi come il Suo inviato, non abbiate timore di vedere in me un segno, debole e limitato, ma un se-gno scelto da Dio, da aiutare a diventarlo sempre di più. Se ci guarderemo gli uni gli altri come un segno di Dio, con gli occhi di Dio, allora faremo sicuramente Chiesa, servendo Colui che è venuto e di cui attendiamo il ritorno, nel suo restituire sempre nuovi credenti al dono della vista, dell’udito, del movimento, in una parola di una vita piena. 

Viviamo sempre tempi difficili; quelli di oggi non lo sono più di quelli di ieri e nemmeno di quelli che ci aspettano. Ma osserviamo con pena tra di noi e attorno a noi che sono sempre troppi i ciechi, i sordi, gli zoppi, i malati, i poveri, nel corpo e nello spirito. Torniamo a poggiare la nostra vita unicamente su Dio, e impareremo a vedere e a favorire i segni della sua presenza. 

In certi momenti e in certe situazioni ci chiediamo, come il salmista: «da dove mi verrà l’aiuto?». Con lui vogliamo anche noi rispondere: «Il mio aiuto viene dal Signore» (Sal 121,1-2). Il Signore è all’opera nella nostra vita e nella nostra storia. Non dimentichiamolo. Qualcosa di nuovo sta fermentando nelle case, nelle famiglie, nelle nostre comunità. Allarghiamo il nostro cuore per riconoscerlo, accoglierlo e promuoverlo.