Omelia per le esequie di mons. Mario Sbarigia (07/10/2023 – Cattedrale di S. Marco, Latina)

07-10-2023

OMELIA

Esequie di Mons. Mario Sbarigia

Cattedrale di San Marco, Latina, 7 ottobre 2023

(1Gv 3,14-16; Gv 6,37-40)

+ Mariano Crociata

Ho notizia che la morte di don Mario ha avuto una profonda eco presso tantissime persone, come mostrano – insieme alla partecipazione a questa affollata assemblea e alla ininterrotta processione di fedeli e amici per l’ultimo saluto alla camera ardente allestita ieri a san Luca – i messaggi diffusi in tutti i tipi di canali di comunicazione e le parole e i gesti di rammarico e di commozione di cui ho avuto diretta testimonianza. Devo portare qui, tra altre, la partecipazione del cardinale Petrocchi, che ha avuto parole speciali per questo amato collaboratore e amico, come pure ha fatto mons. Lambiasi. Mons. Accrocca ha chiesto anche lui di far giungere la sua partecipazione, che comunque si è vista nella presidenza della veglia funebre di ieri sera a S. Luca. E anche mons. Checchinato si è fatto presente, nonché la presidenza della Fondazione Migrantes della CEI, memore del suo servizio a favore dei migranti.

Sentiamo tutti il dolore per la sua perdita, uniti in questo alla sorella e ai parenti. Insieme alla pena del distacco, in molti abbiamo avvertito in particolare la sofferenza di questi ultimi due anni per la difficoltà a comunicare, così acuta per lui che aveva fatto della sua vita un movimento inarrestabile di apertura e di accoglienza. Nativo di Filettino, ordinato prete nel 1966 a Velletri, fin dall’inizio si dedicò al servizio pastorale in parrocchia, a S. Maria Goretti prima, e poi per lunghi anni a S. Benedetto a Borgo Piave e ancora più a lungo a S. Luca, fino a due anni fa. Un aspetto apparentemente marginale denota il tratto missionario della sua vocazione: si trovò a Latina, dove ha trascorso tutta la sua vita di prete, non per nascita ma nemmeno per caso, bensì per scelta. È uno di quelli che ha amato questa città e l’ha in qualche modo costruita abbracciandola e dedicandovisi senza riserve.

Ha interpretato in modo creativo e vitale la parrocchia, per lo più sinonimo di una condizione ecclesiale stanziale, ripetitiva e talora quasi inerte. Ne è segno la ricchezza di presenze e di iniziative che ha caratterizzato le parrocchie in cui ha svolto il suo ministero, con la considerevole attività di gruppi, associazioni e movimenti, e la non meno ricca serie di responsabilità assunte al di fuori delle solite pratiche parrocchiali, come insegnante, come promotore di incontri e di associazionismo studentesco, in quanto impegnato nella cura dei migranti e dei circensi, come direttore della Caritas, in ogni circostanza attento ai poveri nelle più diverse situazioni di indigenza e di bisogno. La sua sensibilità spirituale formata all’esperienza dei Focolari è stata innanzitutto una energia interiore che ha animato la sua vita e i suoi rapporti, non una bandiera da ostentare o una organizzazione in cui rinchiudersi. Non ha mai perduto la sua cordialità, il buonumore, la gioia direi, il suo essere pronto, il suo prendere l’iniziativa quando sentiva di essere chiamato da qualcuno o interpellato da una situazione. E poi ha dimostrato sempre un grande fervore. La sua non è stata una fede abitudinaria e scontata, ma sempre viva, ogni giorno. Coglievo in lui lo sforzo di resistere alla banalizzazione dei discorsi e il desiderio di portare pensieri e parole sempre all’altezza della fede che gli scaldava il cuore.

A riprova di questa apertura di cuore e di mente c’è da segnalare la sua sensibilità sociale. Vedeva che i problemi della povera gente, ma più in generale della città, non si risolvono con l’assistenzialismo, ma con iniziative e decisioni adeguate di amministratori e cittadini, oltre che della comunità ecclesiale. Questa sensibilità si apriva anche a dimensioni più vaste, al grande mondo con i suoi drammi e le sue sofferenze, come lo mostrava anche la sua partecipazione assidua, fin quando ha potuto, alla marcia annuale della pace, e, non ultimo, il lungo periodo di vera e propria missione trascorso in Albania.

In questo spirito di apertura e di visione più grande, oltre che di animo sereno e cordiale, colgo il motivo della decisione del mio predecessore di nominarlo vicario generale. Lo è stato anche per me nei primi otto anni, collaboratore prezioso e insostituibile. Il suo animo pacato e distaccato, intenzionalmente pacificatore nel senso più nobile della parola, era una condizione indispensabile per guardare con equanimità le varie situazioni personali ed ecclesiali, alla ricerca solo del maggior bene di tutti e di ciascuno. Incondizionatamente affidabile, non gli ho mai sentito dire qualcosa che fosse meno che di rispetto e di attenzione nei confronti di chiunque si dovesse parlare. Promotore del bene delle persone, credeva fermamente, come dice il vangelo, che il male si combatte innanzitutto promuovendo il bene, comunque e dovunque si trovi. Era veramente convinto che l’odio rende omicidi, come ci ha detto oggi san Giovanni, e che l’amore fraterno è insieme il segno e il frutto dell’amore che Dio ci dona nel suo Figlio morto e risorto per noi. Solo chi ama è veramente vivo. Chi odia si muove comunque già nei meandri tenebrosi di una morte all’opera dentro e fuori di lui.

Il vangelo poi ci suggerisce che l’animo e l’intenzione di Gesù, che rivela il Padre come colui che accoglie incondizionatamente, in qualche modo don Mario ha cercato di farli propri. Anche lui ha cercato di accogliere tutti e di non perdere nessuno, sforzandosi delicatamente di instillare in ciascuno un po’ di quella fede che è stata l’anima e la forza della sua persona e di tutta la sua vita.

Adesso che se n’è andato, sappiamo che rimane con noi nello spazio di quella vita che è eterna, come scrive l’evangelista Giovanni, non per successione post-temporale ma per condizione permanente propria di chi partecipa della comunione di Dio. Il Signore ci ha donato un sacerdote nel quale abbiamo riconosciuto i tratti del vero pastore. Gli chiediamo, ora che ne siamo rimasti privi, di concedercene altri, come ci invita a fare proprio Lui che è il padrone della messe.