Omelia per la prima visita alla comunità ecclesiale di Sezze

Sezze, concattedrale di Santa Maria, 6 gennaio 2014
16-06-2014

Sono contento di incontrare per la prima volta in questa celebrazione eucaristica la comunità di Sezze, i presbiteri della città e della forania, le autorità civili e militari, i consacrati e i fedeli. A voi tutti rinnovo il mio cordiale saluto.

Il mio ingresso, lo scorso 15 dicembre, è stato un grande scambievole abbraccio con l’intera diocesi. Con l’appuntamento di oggi la conoscenza reciproca e la comunione si approfondiscono attraverso l’incontro del Vescovo con questa porzione della comunità diocesana.

Proprio la memoria che oggi ricorre e che celebreremo domani, della nascita al cielo di san Carlo, permette di cogliere prontamente un aspetto della peculiarità di questa parte di Chiesa e del suo insostituibile apporto all’identità e alla vita della nostra diocesi. Un santo – san Carlo – dai carismi straordinari, quali sono l’esperienza mistica, una sapienza di fede e di vita che supera ogni sapere imparaticcio, le grazie speciali che si manifestano nella sua persona; ma un santo che vive tutto ciò con profonda umiltà in mezzo a ostacoli di ogni genere, perfino all’interno del suo Ordine, e che nondimeno rimane fedele fino in fondo alla Chiesa, in un’obbedienza che nasce dalla certezza che la dolcezza dell’amore di Dio, che egli canta anche con accenti poetici, non è sperimentabile se non in una comunione anche sofferta dentro la comunità ecclesiale. È questo il primo invito che viene a me e a voi dalla storia e dalla tradizione di questa parte significativa della nostra diocesi: stare dentro la più grande comunione ecclesiale. Adoperiamoci per accoglierlo, questo invito, consapevoli che attorno al nucleo spirituale della comunione tutta la ricchezza della memoria rimane viva a vantaggio dell’integro tessuto della nostra Chiesa. Sussiste un’essenziale circolarità e apertura tra la parte e il tutto; e noi abbiamo la responsabilità di coltivarla e tenerla viva. Non possiamo privarci del tesoro accumulato e conservato attraverso una storia di secoli in questa comunità di Sezze; ma un tesoro serbato gelosamente e tenuto chiuso risulta sprecato e rischia di disperdersi; per valorizzarlo e potenziarlo bisogno investirlo, farlo conoscere, metterlo in circolo, condividerlo a vantaggio di tutta la Chiesa diocesana, nello stile della parabola dei talenti. Questo so che è stato fatto e sarà nostro costante impegno anche nel futuro.

Lo stesso clima spirituale ci fa respirare l’odierna solennità dell’Epifania, che esalta una dimensione essenziale dell’incarnazione e della nascita del Gesù. Tale dimensione è l’apertura ai pagani, l’annuncio che tutti sono chiamati a conoscere e incontrare Gesù. Fin dalle origini, dunque, il mistero cristiano si proietta oltre gli asfittici confini nazionalistici in cui rischiava di rimanere rinchiuso. La fede cristiana è per tutti, ha un carattere pubblico, non è prelazione o privilegio esclusivo di nessuno. Questo fa la grandezza del cristianesimo e scongiura il settarismo e il localismo esasperato. Radicati nella storia e nel territorio, questo sì; ma rivolti a chiunque mostri interesse e disponibilità con l’offerta libera e generosa della testimonianza credente.

È proprio la fede a dirci che essa non è, per nessuno, un possesso acquisito una volta per tutte e mai più alienabile. Non basta aver incontrato una volta Gesù; bisogna imparare a camminare con Lui, condurre la vita in sua compagnia, rinnovare l’esperienza dell’incontro e della comunione di amore. La pagina evangelica, propria della festa di oggi, ci illumina in tale direzione. Ci dice infatti che non si incontra veramente il Signore senza averlo prima desiderato, intuito, cercato. È il desiderio che fa vedere il Signore; è esso a risvegliare la ricerca e ad aguzzare tutte le facoltà umane in modo da riconoscere la sua presenza. Ma il desiderio che suscita la ricerca non nasce dal nulla né attecchisce nel deserto interiore; piuttosto è preparato e attizzato proprio dalla venuta di Gesù. Alla sua nascita si è accesa una stella: essa è il segno cosmico che rimanda al nuovo re ed è anche la luce interiore che si è accesa nel cuore dei Magi. Pure nel nostro cuore deve scoccare la sua scintilla e diventare fiamma che incessantemente risplende, per fare della nostra esistenza cristiana un’ardente relazione d’amore con il Signore.

Mi sembra proprio questo l’impegno che ci lascia la celebrazione di oggi e questo nostro primo incontro: non separare mai la vita cristiana quotidiana e l’azione pastorale ordinaria dal desiderio del Signore, dalla ricerca di Lui, dall’ardore dell’amore che Egli ci dona e instancabilmente risveglia in noi. Tutto ciò che ostacola questo impegno non dobbiamo avere timore di bruciarlo al fuoco di quell’amore. Ci invita a farlo San Carlo da Sezze, e con lui tutti coloro che con la loro testimonianza hanno fatto crescere la santità di questa terra, a cominciare dall’abate san Lidano d’Antena.

Avete la responsabilità di coltivare l’eredità ecclesiale che la storia vi consegna; ma l’unico modo per farlo è raccogliere e ricreare quell’eredità nella vostra vita e lasciarla rifluire nel più vasto alveo spirituale e pastorale della nostra Chiesa particolare, curando la conservazione delle memorie ma pronti a rispondere alle attese e alle sfide del presente e, con la forza di Dio, protesi a dare un futuro alla fede di questa terra e di tutta la nostra Chiesa.