Omelia per il Mercoledì delle Ceneri (22/02/2023 – Cattedrale di S. Marco, Latina)

22-02-2023

OMELIA

Mercoledì delle Ceneri, Cattedrale, 22 febbraio 2023

+ Mariano Crociata

La pagina evangelica di oggi è retta da una affermazione iniziale che detta le condizioni: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli».

È importante fare l’elemosina, pregare e digiunare. Sono infatti pratiche religiose riconosciute e imprescindibili in Israele, ma anche universalmente apprezzate. Ciò che però conta, per Gesù, non è il loro semplice compimento. Si può fare l’elemosina, e anche pregare e digiunare, per diversi motivi. Soprattutto lo si può fare «per essere ammirati» dagli uomini. In questo caso la ricompensa consiste nell’ammirazione ricevuta e con essa si chiude. Fatte per essere ammirati, le pratiche religiose non hanno nulla di religioso. Rimangono infatti chiuse nel cerchio delle relazioni umane, non arrivano a superare l’orizzonte umano. Non giungono a Dio, poiché non hanno Lui nell’intenzione del loro compimento, ma solo l’ammirazione reciproca. Viene in mente una formidabile espressione del vangelo di Giovanni, che riferisce un rimprovero di Gesù: «E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?» (Gv 5,44). Secondo questa parola di Gesù, cercare di ricevere la gloria – l’ammirazione – gli uni dagli altri equivale a non credere. Chi cerca solo la stima e l’apprezzamento degli altri, perfino nella pratica religiosa, non può credere, perché crede chi cerca «la gloria che viene dall’unico Dio».

L’accento della pagina evangelica non cade dunque sulle opere religiose menzionate, che sono evidentemente tipiche ma non per questo le uniche; cade invece sulla motivazione che spinge a farle. E la motivazione che corrisponde alla natura propria di elemosina, preghiera e digiuno è quella di chi li pratica per amore di Dio e per la sua gloria. Un segno di tale motivazione, e quindi della fede in Dio che la suscita, sta nel compiere quelle opere «nel segreto», un’espressione che ricorre 6 volte nel vangelo di oggi. Il segreto consiste in questo, che gli altri non vedono, ma Dio e solo Lui lo vede, eccome! La parola “segreto” ha una connotazione negativa in tutta la Scrittura, ma in essa troviamo due riferimenti, precisamente nel libro dei Salmi, che risultano illuminanti per capire il vangelo. Nel salmo 139 si ribadisce la conoscenza di Dio: «Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra» (Sal 139,15). Ma non solo Dio conosce nel segreto, bensì agisce in esso, come dice il salmo 51: «tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza» (Sal 51,8).

Dio non si accontenta di vedere nel segreto, ma interviene nel segreto del cuore per insegnare la sapienza. E la sapienza del Padre è il Figlio nello Spirito Santo. Il Padre insegna trasmettendo se stesso nel cuore del credente, cioè nella profondità più intima della sua persona, là dove si genera l’interiorità che pensa, sente e agisce. Il segreto di cui parla il vangelo non è dunque soltanto il segno di un luogo o di una modalità nascosta, riservata, invisibile. Il segreto indica lo spazio primo e proprio della presenza di Dio nel cuore del credente e della risposta del credente al dono di amore di Dio, attraverso l’elemosina, la preghiera e la carità.

Il credente autentico non cerca l’ammirazione e la lode degli altri, perché agisce sempre, e soprattutto nel compiere pratiche di rilievo religioso, a cominciare dalla carità, per rispondere al dono di Dio con il dono di qualcosa di sé con lo stesso amore ricevuto. L’agire religioso del vero credente nasce dalla coscienza di un dono e dal desiderio di accogliere e rispondere a quell’amore.

Non si tratta pertanto di fare le cose di nascosto (senza sminuire il senso di riservatezza e la discrezione), ma di farle con il cuore e di farle per il Signore, per amore suo e per la sua gloria. Questo non vuol dire non guardare in faccia le persone a cui si fa la carità, ma piuttosto guardarle non solo con la nostra attenzione e la nostra premura, ma con quella carità che viene da Dio e che anima il nostro cuore. I nostri gesti di carità dovrebbero far giungere attraverso il nostro amore l’amore stesso di Dio.

Resta da dire che imparare a compiere le pratiche religiose con il cuore e per amore di Dio significa semplicemente coltivare assiduamente il rapporto con Dio, e cioè quella che quest’anno abbiamo indicato come spiritualità. Questo è il cuore della spiritualità: compiere tutto con fede e amore, con il cuore e per amore di Dio. La Quaresima che oggi inizia diventi un tempo favorevole, come ci dice san Paolo, per imparare a vivere di Dio e con Dio.