Omelia Messa del crisma 2015 (01/04/2015 – Latina)

01-04-2015

Messa del crisma

Cattedrale di Latina, 1 aprile 2015

+ Mariano Crociata

 

Vorrei dare voce al sentimento di gratitudine al Signore da cui tutti siamo animati in questo momento. Siamo stati convocati da ogni parte della diocesi e in tutte le sue componenti – vescovo, presbiteri, diaconi, consacrati, fedeli laici – per dare espressione al nostro cammino comune di credenti e attingere al dono di un rinnovato incontro con Dio. La grande settimana e l’imminenza del triduo santo conferiscono al nostro raduno il suo carattere proprio di evento sorgivo da cui scaturisce la grazia del sacramento che feconda incessantemente la comunità ecclesiale.

Tra i segni sacri attraverso cui si compie il dono di grazia, un posto eminente occupa il crisma, con il quale – nella potenza dello Spirito Santo – viene consacrato ogni battezzato, segnato ogni confermato, ordinato ogni sacerdote, dal quale ultimo, in particolare, viene celebrata la santissima Eucaristia, e prima ancora il battesimo (al quale prepara l’olio dei catecumeni), come pure l’unzione dei malati (ai quali è destinato l’olio degli infermi) e tutti gli altri gesti di santificazione. Così, dalla Pasqua di Cristo sgorgano tutti i beni di salvezza e specialmente i sacramenti, che come un fiume di grazia inondano l’umanità chiamata alla fede. In quest’unica celebrazione pregustiamo, dunque, il frutto della Pasqua di cui ci nutriamo lungo l’intero anno liturgico e sperimentiamo l’unità corale dell’assemblea ecclesiale.

I presbiteri, in modo particolare, sanno di essere vocati ad accogliere e a testimoniare questa unità, in comunione con il vescovo, insieme a tutti i fedeli. Per questo motivo voi rinnoverete le vostre promesse, cari confratelli nel sacerdozio, per ravvivare la radice del nostro ministero, al quale siamo stati ammessi per grazia e al quale abbiamo consacrato la nostra vita per la gloria di Dio e il bene dei fratelli. Grande è la vostra responsabilità di coltivare la coscienza e agire come un unico presbiterio strettamente unito al vescovo. Da questa unità dipendono l’autenticità vocazionale di ciascuno e l’efficacia del ministero pastorale di voi tutti.

Le letture proclamate ci fanno intravedere un nesso che non viene sempre adeguatamente colto e posto nella giusta evidenza. Infatti, l’unzione dello Spirito, che viene effuso sul Messia e che Gesù proclama compiersi in lui, si attua per mezzo della parola e in vista della sua proclamazione: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Il compimento consiste nella realizzazione e nella manifestazione di ciò che la parola del profeta annuncia: nella parola si rivela l’unzione dello Spirito Santo; e ciò che questa unzione rende possibile è, a sua volta, la proclamazione della parola di liberazione e di salvezza. «Per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Ci vuole l’unzione dello Spirito per ascoltare ciò che Dio sta facendo e per compiere l’opera di annuncio e la missione che egli affida. Il nostro sacerdozio ministeriale, come pure il sacerdozio battesimale di tutti i fedeli, riceve l’unzione dello Spirito Santo per rendere idonei ad accogliere la parola di Dio e attuarla nella vita e nel servizio ecclesiale.

In questo modo la celebrazione ci conduce a fare il punto sul cammino pastorale che le nostre comunità stanno compiendo nel corso di quest’anno. Possiamo a pieno titolo fare nostre le parole dell’Apocalisse: «A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli». È la misura dell’ascolto che ci rende idonei a rendere gloria al nostro Messia liberatore e salvatore, che per amore ha versato il sangue per noi e ci ha inondati di Spirito Santo.

Qual è stato, qual è il nostro ascolto? Non vi nascondo che sono toccato dal fatto che tanti sforzi si stanno compiendo in questo senso. Molti hanno ripreso o imparato a coltivare la lettura orante della Scrittura o, in qualche forma, l’ascolto della parola di Dio attraverso il testo sacro. Tutti avvertiamo con nuova consapevolezza la responsabilità che abbiamo di fronte alla parola di Dio; sappiamo con più profonda convinzione che la fede nasce dall’ascolto e con l’ascolto cresce la vita cristiana. Non c’è dubbio però che ancora siamo lontani dall’aver dato il giusto posto alla parola di Dio nella vita delle nostre comunità.

Per questa ragione ritengo che i nostri orientamenti pastorali attendano un approfondimento e uno sviluppo che raccolgano anche gli stimoli che provengono dal cammino della Chiesa in Italia e, soprattutto, dall’impulso del magistero di papa Francesco. Vi propongo, pertanto, alcune indicazioni, che affido alla comune preghiera e riflessione nelle varie sedi della vita ecclesiale parrocchiale e diocesana.

La prima – che ho già avuto modo di anticipare – la ricavo dall’esigenza di consolidare gli sforzi compiuti nel dare consistenza e continuità all’impegno di ascolto della parola di Dio e di discernimento conseguente. È ben evidente che il centro della nostra vita ecclesiale è costituito dalla celebrazione eucaristica, in modo particolare quella domenicale. In un contesto culturale estremamente dispersivo e disorientante, avvertiamo la mancanza di un polo di attenzione che, accanto alla celebrazione eucaristica, permetta di coltivare espressamente la consapevolezza credente di quanti nella comunità hanno a cuore il destino e la responsabilità della fede. Tale polo di attenzione è proprio l’ascolto della parola, da distinguere dal compito proprio di un consiglio pastorale e da non ridurre a una sorta di nuova devozione da coltivare in sostituzione di altre come sorta di loro versione aggiornata. Costituire un gruppo, aperto alla presenza di chiunque lo voglia, all’unico scopo di coltivare l’ascolto ordinato e sistematico nel segno del discernimento personale e comunitario: questo è probabilmente il compito e il passo avanti che ci attendono. Le nostre comunità hanno bisogno di un’anima, non meramente organizzativa né intimisticamente devozionale, ma spirituale nel senso alto, di quella unzione di Spirito Santo che rende capaci di ascolto, di discernimento e di missione.

Proprio qui sta la seconda indicazione. Sarebbe pericolosamente fuorviante ridurre l’ascolto della parola di Dio a un momento autosufficiente, magari appagante, che si risolva in una compiaciuta sensazione di maggiore cognizione e di accresciuta formazione. Proprio le pagine messianiche della Scrittura ascoltate spingono l’unto del Signore e il suo ascolto verso una missione impellente di annuncio e di liberazione. Il vero ascolto mette in moto, crea un bisogno di condivisione e diffusione dell’annuncio e di attuazione del suo messaggio. Mentre constatiamo con apprensione la riduzione delle forze necessarie ai bisogni pastorali delle nostre comunità, non possiamo e non dobbiamo cedere al peso delle preoccupazioni, al senso della stanchezza e della sfiducia. Proprio questo è il momento di cominciare a ripensare la nostra attività pastorale come l’espansione di una fede che nasce non da organizzazioni vincenti, ma dalla forza interiore di un contagio di fede e di entusiasmo spirituale che diffonda, secondo una circolarità virtuosa, parola di Dio, senso cristiano della vita, fermenti di fraternità.

Le circostanze ecclesiali ci suggeriscono una prospettiva che si compone in una formula sintetica che metta insieme il linguaggio del nuovo umanesimo del convegno di Firenze e dell’anno santo della misericordia. Abbiamo bisogno di un nuovo senso dell’umano che nasca dalla misericordia; abbiamo bisogno di un umanesimo della misericordia. Siamo tutti dei salvati per la misericordia di Dio. Dalla comune accoglienza della divina misericordia e dall’annuncio e dalla testimonianza di essa può nascere una umanità rinnovata, non più confusa e devastata come quella che ci portano nelle case le cronache quotidiane, ma come quella che il Risorto ci fa intravedere attraverso le piaghe da cui siamo guariti e la croce che salva e dona una vita nuova per sempre.