Omelia Mercoledì della II Settimana di Quaresima (04/03/2015 – Collegio Leoniano di Anagni)

05-03-2015

OMELIA

Mercoledì della II Settimana di Quaresima

Collegio Leoniano di Anagni, 4 marzo 2015

+ Mariano Crociata

Il primo elemento a risaltare nella lettura della pagina evangelica (Mt 20,17-28) è il contrasto tra la drammatica prospettiva annunciata da Gesù e la preoccupazione di affermazione personale che, senza soluzione di continuità, prende i discepoli a lui più vicini o, come in questo caso, perfino i congiunti. Non è l’unica volta in cui nei sinottici emerge questo contrasto, che denota la profonda incomprensione dei discepoli anche di fronte ai segni e alle dichiarazioni più sconvolgenti fatte da Gesù.

Alla radice di questo contrasto si rileva immediatamente l’ambiguità dell’istituzione religiosa, come emerge nella pagina di Geremia (Ger 18,18-20), il quale viene respinto e perseguitato per le sue affermazioni fatte passare da bestemmie contro il tempio e la legge, mentre in realtà sono accuse rivolte alle incoerenze e alle contraddizioni morali degli uomini religiosi, che si coprono dietro la difesa del tempio e della legge con la sicumera di chi non vede più, o non vuole vedere, la negazione che esercitano con i fatti verso una religiosità decantata solo a parole. Situazioni simili si riscontrano nei contrasti tra Gesù e gli scribi e i farisei, o ancora i sadducei e i sacerdoti del tempio. La contraddizione ora, però, emerge anche nei suoi discepoli.

Questo ci conduce all’ultima radice del contrasto, ovvero la legittimazione sacrale dell’istinto naturale di conservazione e di affermazione di sé. La pratica religiosa esteriore e la corretta professione verbale della dottrina coprono, come un falso rivestimento religioso, un atteggiamento e una pratica di vita che esistenzialmente negano l’una e l’altra. Il dramma nel dramma si dà quando non ci si avvede di tale situazione spirituale, così che sembra naturale e perfino doveroso assecondare il bisogno di primeggiare, di emergere sugli altri, di affermarsi sopra e contro gli altri, di lasciarsi travolgere perfino dall’invidia (si veda l’atteggiamento degli altri discepoli verso i due figli di Zebedeo). Qui non è in questione soltanto una immagine erronea del messianismo e una falsa aspettativa nei confronti di Gesù, bensì una vera e propria visione religiosa distorta che utilizza la religione, alla fine, per raggiungere fini meramente umani, di autorealizzazione e di autoaffermazione. Ciò che la natura e l’istinto portano l’essere umano (decaduto a causa del peccato) a fare, ottiene perfino l’avallo e una sorta di sacralizzazione da una religione ormai svuotata di contenuto esistenziale e morale, ridotta a una copertura esteriore fatta di immagine devota e di parole e gesti rituali.

Questa tentazione incombe su ogni persona religiosa e in ogni tempo, anche oggi; incombe non meno sui ministri e sui responsabili pastorali. Non è raro incontrare preti che usano l’autorità conferita dal ministero e dall’incarico affidato per affermare se stessi e il proprio piccolo potere sugli altri; non è raro nemmeno cogliere la ricerca del sottile piacere di dominare gli altri attraverso l’esercizio, o l’esibizione dell’esercizio – magari non autorizzato –, di pratiche come quella dell’esorcismo o, più semplicemente, di direzione spirituale e di organizzazione pastorale. Ci vuole un fine discernimento e un esercizio instancabile di conversione e di autoformazione per accorgersi e scongiurare che, perfino dietro le azioni più sante e le più coinvolgenti iniziative pastorali, emerge la ricerca di sé e non quella di Dio.

Gesù non si scandalizza di fronte a questa incomprensione e nemmeno nega la dimensione legittima del desiderio di «diventare grandi»; conduce, però, pazientemente i suoi a capire che la vera grandezza sta nel servizio, nel dono di sé come ha fatto lui fino alla morte di croce. Questa non è una verità semplice e facile, né un obiettivo che uno si possa proporre di perseguire e raggiungere con le sole proprie forze; è invece il compito di una vita di credenti e di ministri che si espongono alla forza trasformante e plasmante dello Spirito del Risorto.

Ciò che non dobbiamo dimenticare è che c’è un dinamismo umano anche nella vita di ministero su cui bisogna costantemente vigilare, senza stancarsi; esso consiste appunto nella ricerca – alla fine – di se stessi perfino nello svolgimento della azioni più sacre. Perciò non dobbiamo dimenticare che i fedeli che ci sono affidati, hanno bisogno di conoscere e incontrare Gesù e solo lui unico salvatore. Come dice di sé Giovanni Battista, anche noi dobbiamo dire che lui – Gesù – deve crescere e noi diminuire. Questo è il cammino della vita cristiana; ed è anche il cammino della vita nel ministero.