Omelia corso nazionale di aggiornamento per Insegnanti di Religione Cattolica (27/10/2015 – Assisi)

28-10-2015

OMELIA

Corso nazionale di aggiornamento

per gli Insegnanti di Religione Cattolica

Assisi, 27 ottobre 2015

+ Mariano Crociata

 

L’uomo non è senza la creazione tutta. Non c’è spazio per una ricerca di salvezza che pretenda di spezzare il suo legame con la terra, che prescinda dalla sua corporeità, dal suo essere la coscienza del mondo intero, appunto perché intimamente impastato della materia di cui è fatto l’universo. Con l’essere umano che ne esprime il vertice spirituale, la realtà tutta in quanto creazione anela verso un superamento, un compimento che tutto assuma in un movimento di trascendimento generato da una irresistibile attrazione dall’alto, da Dio, meglio ancora da Cristo, il risorto Signore che tutto domina con la sua signoria d’amore che l’ha condotto fin sul Golgota, per esservi confitto su una croce.

In questa pagina di Rm 8 non si può fare a meno di sentire risuonare il racconto della creazione di tutte le cose fino a quella dell’uomo, per avvertire che insieme a quella umana, tutte le creature sono state volute per partecipare della relazione con Dio che uomini e donne redenti vedranno, quando saranno pienamente rivelati a se stessi come suoi figli. Tutta la creazione è chiamata a partecipare di questa relazione filiale con Dio che negli esseri umani raggiunge dimensione compiutamente personale. Solo che l’esperienza del peccato è intervenuta a rendere quella relazione bisognosa di una redenzione e di un recupero che passano – per primo in Cristo Gesù – attraverso «le sofferenze del momento presente», alle quali non rimane estranea la creazione tutta, che anzi «geme e soffre le doglie del parto fin ad oggi». C’è una passione d’amore e di croce che deve purificare il mondo intero dalla «schiavitù della corruzione» per farlo «entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio».

Non si può cancellare la distanza tra la condizione attuale, con «le sofferenze del tempo presente», e «la gloria futura che sarà rivelata in noi». La relazione filiale ha un carattere escatologico, deve sopportare una distanza escatologica, senza la quale nemmeno il presente può essere effettivamente redento e vissuto nel suo reale significato. Il futuro di Dio non è, infatti, estraneo al presente, ne è invece l’anima segreta, il significato recondito, la forza interiore, la molla che lo spinge in avanti. Il futuro di gloria filiale giungerà come novità inaudita e, nello stesso tempo, come esito finale e frutto maturo di un cammino condotto da quel Signore della gloria che tutto ha messo in moto con la sua morte e risurrezione.

La verità profondamente attuale che tutto questo ci fa scoprire è che l’umanità dell’uomo ha essa stessa un carattere escatologico, poiché solo se ha una meta e un compimento, il presente riceve la capacità di possederne un indizio, di esserne un anticipo. Nella forma del cammino nella fede e nella speranza, l’esistenza umana è veramente se stessa se può guardare al futuro e a ciò che ultimamente attende, dal di dentro degli affanni quotidiani che solo prendono senso se assunti e trasfigurati nella luce del futuro di Dio. Ciò che congiunge il presente dell’uomo al suo compimento è la speranza fondata su una fede certa, che riesce a vedere ciò che sarà al punto da attivarlo fin da ora come effettivamente già dato in anticipo anche se in forma germinale. Un autentico umanesimo cristiano avrà sempre una radice creaturale e un vertice escatologico intrinsecamente collegati attraverso il passaggio della croce portata nella certezza della speranza. Fuori da queste due polarità l’umanità dell’uomo è minacciata.

Le due parabole del Regno (Lc 13) trasmettono un messaggio prossimo a quello già raccolto, insegnando a vedere insieme e a tenere uniti, questa volta, inizio e compimento. L’inizio è qualcosa di piccolo, di nascosto, di non riconoscibile, ma portatore di una straordinaria potenzialità. Non conta che sia piccolo, ma piuttosto che abbia dentro di sé una sorprendente vitalità e capacità di crescere, così da raggiungere presto la solidità di un albero e la fragranza del buon pane. Ma non godrà della frescura all’ombra dell’albero e del sapore del pane chi ne avrà dimenticato gli umili inizi; anzi, solo chi riesce a leggere dentro modesti esordi la presenza della signoria di Dio riuscirà a godere del frutto maturo dei loro sviluppi.

Tutto questo è profondamente umano e rivela anche una singolare sapienza pedagogica. In una cultura dell’immagine che esalta le apparenze dei grandi e dei potenti, che ha il culto del “tutto e subito”, sembra stonare l’idea del valore di ciò che è piccolo e nascosto, di ciò che possiede una potenzialità nascosta, di ciò che ha bisogno di tempo per giungere a una pienezza e a una grandezza insospettate. Ma se ci facciamo caso, è lo stesso il mistero della persona umana, di cui misuriamo con rinnovata meraviglia la distanza tra la fragilità incommensurabile del neonato e l’umanità compiuta dell’adulto. Ma tutta la vita, poi, ce l’insegna. Piccoli inizi e pazienti cammini, animati e guidati da un fuoco interiore e da una sapienza di vita, conducono a grandi realizzazioni. E non è diverso il cammino del credente e del Regno di Dio. È come Gesù, il vero piccolo seme (che – Giovanni dirà – caduto in terra muore e porta frutto) e il vero lievito che fermenta il cuore e la storia dell’uomo.

Non ho bisogno di dirvi come tutto questo assuma risonanze particolari in mezzo a noi qui raccolti stasera. Seme e lievito siete anche voi, è il vostro insegnamento, è il messaggio e la cultura cristiana oggi. Sentiamo la minaccia dell’essere piccoli, fragili, esposti a ogni pericolo; abbiamo però la certezza che la forza di Dio è dentro ciò che siamo e facciamo, e non ci facciamo abbattere dall’esperienza di marginalità e di irrisorietà del momento presente, poiché la speranza della gloria è inimmaginabilmente più grande. Ne sono un segno i frutti disseminati in questi decenni: quanti studenti e famiglie e colleghi hanno apprezzato il vostro lavoro e ne hanno raccolto un fermento di vita. Tanto futuro è atteso ancora da voi, ma bisogna che crediate ai tanti ragazzi e giovani che hanno bisogno e aspettano da voi una presenza e una parola che li illumini e li riscaldi; soprattutto bisogna che crediate che Dio è all’opera in voi e in loro.