Discorso al Convegno diocesano “La Chiesa per la scuola” (28/03/2014, Curia Vescovile)

18-06-2014

Questo convegno con il mondo della scuola della nostra diocesi è dominato dall’attenzione al cammino della Chiesa in Italia nel quadro degli orientamenti pa-storali del decennio, in particolare nella sua proiezione verso l’appuntamento con papa Francesco che avrà luogo il prossimo 10 maggio a Roma in piazza san Pietro. A tal fine abbiamo invitato il prof. Marco Tibaldi, che cordialmente saluto e ringrazio.
Dal momento che questo costituisce anche il primo incontro con il nuovo vescovo, sento di dovere, a voi dirigenti scolastici, docenti, personale amministrativo e ausiliario, studenti, genitori, che saluto e ringrazio, una parola che non sia solo di circostanza. Considero la vostra presenza e il vostro lavoro nella scuola decisivi per la vita e per il futuro della comunità umana insediata in questo territorio. Vorrei, perciò, trasmettervi il desiderio che nutro di veder crescere la collaborazione e l’impegno di quanti hanno fatto della scuola il luogo del loro lavoro e l’orizzonte della loro missione di vita.
La circostanza è propizia per porre almeno tre interrogativi o spunti di riflessione: in primo luogo riguardo alla situazione della scuola, poi sul senso della pastorale scolastica e infine su ciò che noi possiamo fare. Naturalmente sono questioni così vaste che nei limiti di un’introduzione possono essere solo evocate.
Come in tutta la scuola italiana, anche nella scuola della nostra diocesi è in corso una fase di trasformazione. Questa situazione di passaggio riguarda sia un dato strutturale che uno culturale. Il dato strutturale concerne il cosiddetto “dimensionamento”, vale a dire l’accorpamento di più istituti scolastici al fine di avere scuole autonome soltanto al di sopra di un determinato numero di alunni. Si tratta, chiaramente, di un’operazione dettata esclusivamente da ragioni economiche e non pedagogico-didattiche. Il dato culturale, di portata ben più ampia, attiene alla progressiva perdita di centralità educativa che la scuola fa registrare da diversi anni, a favore dei nuovi strumenti della comunicazione sociale.
Sempre per motivi di natura economica, il personale scolastico (personale amministrativo e collaboratori scolastici) è spesso al di sotto del numero di figure necessarie a garantire servizi efficaci ed efficienti. Accanto a pochi istituti scolastici ubicati in edifici di nuova costruzione e ben forniti per quel che riguarda materiali didattici adeguati, la maggior parte delle scuole della nostra diocesi è ospitata in edifici con notevoli problemi ed è carente di strumenti in grado di sostenere una didattica al passo con i tempi.
In linea con una tendenza nazionale, le scuole superiori che fanno registrare un aumento progressivo delle iscrizioni sono gli istituti professionali e comunque quelli immediatamente spendibili sul mercato del lavoro, mentre si registra una flessione di alcuni indirizzi liceali, in primo luogo il Liceo Classico.
La presenza nelle nostre scuole di alunni figli di immigrati, già da tempo notevole nella scuola primaria, è ormai fenomeno diffuso in tutti gli ordini e gradi. Complessivamente, questo dato fa rilevare sia casi di difficoltà d’integrazione che situazioni di positiva accoglienza.
La gran parte dei docenti appare spesso sfiduciata, tentata fortemente di rinunciare alla propria funzione educativa, vuoi per la scarsa considerazione socio-economica di cui si sente vittima, vuoi per la percezione di una scuola sempre più preoccupata degli aspetti burocratici anziché della propria missione.
La scuola, nella nostra diocesi, infine, è specchio della eterogeneità storica del nostro territorio, ancora non integrato fra area collinare e area della pianura, fra zone agricole e zone industriali, fra area nord e area sud.
In una situazione così delineata, che cosa significa fare pastorale scolastica? Anche a rischio di apparire evasivi, non possiamo omettere un riferimento al significato dell’azione pastorale della Chiesa come tale, intesa ad accompagnare e favorire la vita di fede nel suo sorgere e nel suo formarsi e svilupparsi. Ascoltare la Parola, celebrare e pregare, coltivare relazioni di fraternità, e tutto ciò che si costruisce attorno a queste espressioni costitutive della vita della Chiesa, formano un insieme che non ha altro scopo fuori di quello di suscitare e far crescere la fede.
È importante tenere presenti due dimensioni inseparabili della vita di fede e di ogni attività ecclesiale: la cura dei fedeli e l’iniziativa missionaria. La Chiesa non può mai accontentarsi di coltivare quelli che stanno dentro, ma ha un bisogno incomprimibile di dirigersi verso quanti sono fuori dell’ovile, per una premura che sente nei loro confronti e per il desiderio disinteressato del loro bene. È per questo che papa Francesco non si stanca di ribadire che bisogna «fare in modo che esse [le strutture pastorali] diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita”» (Evangelii gaudium, n. 27).
Dobbiamo, a questo scopo, osservare che la cura della fede e l’iniziativa missionaria si possono realmente attuare se tengono conto della situazione personale e sociale di quelli ai quali si rivolgono, se cercano cioè di conoscere, prendere in considerazione e incontrare i reali destinatari. L’annuncio di salvezza e la luce della fede raggiungono le persone nella loro concreta condizione di esistenza e di relazioni.
Ci sono due livelli di presenza e di azione che devono integrarsi vicendevolmente. Il primo è quello della testimonianza personale. Essa esige solida coscienza di fede e chiarezza di motivazioni, da cui soltanto scaturiscono atteggiamenti e scelte coerenti. Credere è lasciarsi trasformare dalla fede e trasformare la realtà a partire dalla fede. Questo comporta anche la volontà di assumersi le proprie responsabilità, di collaborare lealmente con tutti al raggiungimento delle finalità proprie dell’ambiente di vita e di lavoro, di stare dentro i problemi e adoperarsi per risolverli, di costruire relazioni positive di impegno e di solidarietà, di contribuire al formarsi di un mondo di vita accogliente e rispettoso nei confronti di ciascuno.
Il secondo livello è quello che vede emergere l’iniziativa coordinata dei credenti come comunità ecclesiale; una iniziativa che, sul piano diocesano, trova il suo riferimento ultimo nel vescovo, ma si articola sul territorio, attraverso la parrocchia e tutte le forme di aggregazione e di presenza della Chiesa. In un intreccio di indirizzo autorevole e di creatività che scaturisce dall’esperienza sul campo, ci si pone alla ricerca della maturazione della fede e del bene della comunità e delle persone, realizzando così la missione della Chiesa e la fecondità della sua presenza.
Come si traduca tutto questo in riferimento all’ambiente della scuola è la domanda con cui dobbiamo misurarci, così da lasciarla emergere con chiarezza e avviare una riflessione nella quale non bisogna far troppo conto su risposte preconfezionate. Non possiamo innanzitutto aggirare la valenza personale dell’impegno credente. Devo chiedermi come io mi pongo da credente nello svolgimento del mio compito di docente o di studente, di operatore scolastico o di genitore. Devo chiedermi come mi adopero per qualificare il mio lavoro scolastico attraverso una attiva formazione permanente e facendo rete con quanti condividono l’esperienza credente; senza dimenticare che qualificare non significa utilizzare strumentalmente o giustapporre forme religiose estrinseche, bensì perseguire le finalità proprie della scuola nella luce e con l’esperienza di una fede condivisa. Ma dobbiamo anche chiederci, tutti, cioè come comunità ecclesiale, in che modo sosteniamo e accompagniamo chi opera da credente nella scuola, consapevoli del ruolo decisivo che questa ha per la crescita delle nuove generazioni e per il bene dell’intera collettività.
Ci sono alcune esigenze da raccogliere e alcuni compiti che dobbiamo darci. L’esigenza di fondo è quella di conoscere e comprendere il mondo della scuola così come esso si va evolvendo anche in ordine alla configurazione delle sue finalità istituzionali. Pur in presenza di un quadro sempre più complesso, la scuola conserva una centralità sociale indiscutibile. Bisogna far leva su questa coscienza diffusa non ancora del tutto smarrita per rilanciarne il ruolo e il peso sociale. Tale centralità va orientata sempre più decisamente verso la dimensione educativa e la formazione completa della personalità del giovane, secondo uno stile e in un clima che vedano lo studente quale soggetto attivo, partecipe del percorso di studio e di apprendimento.
Da questo punto di vista bisogna essere avvertiti del rischio che ben mettono in evidenza gli orientamenti pastorali del decennio, quando rilevano la tendenza a ridurre «l’educazione a un processo di socializzazione che induce a conformarsi agli stereotipi culturali dominanti» o alla trasmissione di «informazioni funzionali, abilità tecniche, competenze professionali» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 13). Come credenti abbiamo la responsabilità di tenere viva la valenza educativa della scuola, proprio in conformità alla sua natura di preparazione alla vita e al pieno inserimento nella società delle nuove generazioni, di cui salvaguardare l’affermazione e il riconoscimento di una visione integrale della persona. La scuola ha il compito di abilitare a orientarsi di fronte alle sfide del nostro tempo, e perciò di «trasmettere il patrimonio culturale elaborato nel passato, aiutare a leggere il presente, far acquisire le competenze per costruire il futuro, concorrere, mediante lo studio e la formazione di una coscienza critica, alla formazione del cittadino e alla crescita del senso del bene comune» (Ib., n. 46).
Questi ardui obiettivi possono essere perseguiti a due condizioni: che la scuola diventi sempre di più una comunità educante e che si allei con le agenzie e le istituzioni che presentano contiguità di interesse nei confronti della generazione che cresce e del futuro della collettività. Ragazzi e giovani di oggi segnalano una acuta sensibilità verso valori come la pace, i diritti umani, la difesa dell’ambiente, la solidarietà, la gratuità, la legalità, il rispetto delle diversità. Si tratta di ideali che sono connaturali alla coscienza credente e possono diventare il luogo di un lavoro comune per il bene della persona e della società intera, e che già Paolo VI, in forma diversa, enunciava insistendo sulla necessità di operare “al di dentro” dell’uomo, sulla radice stessa della sua umanità in formazione, intervenendo là dove si forma-no «i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità» (Evangelii Nuntiandi, n. 19).
Queste esigenze, che toccano direttamente la vita della scuola, si estendono poi alla fascia ulteriore di istruzione e formazione, e cioè all’università, l’accostamento alla quale ci fa intravedere come la responsabilità educativa della società nei confronti dei giovani può essere assolta adeguatamente se risponde a una visione d’insieme, a un progetto che abbracci il processo complessivo di sviluppo e di perfezionamento della persona.
Ci è chiesto molto, dunque, come credenti e come Chiesa per la scuola. Mi limito qui a enunciare tre compiti, importanti anche se tutt’altro che esaustivi di una adeguata pastorale scolastica.
Il primo riguarda l’animazione culturale della scuola. I credenti devono saper stare nella scuola con una serietà e una professionalità se possibile maggiori degli altri, coltivando non solo le finalità proprie ma proponendo fattivamente un modello e perseguendo un ideale di eccellenza intellettuale e umana, nello studio e nell’insegnamento, nelle relazioni e nella partecipazione alla vita e alla progettazione della comunità scolastica, non disdegnando di elaborare progetti, di costruire reti, di promuovere circolazione di idee e di iniziative.
In secondo luogo la comunità ecclesiale deve trovare spazi di accoglienza nei quali i credenti che operano nella scuola possano sviluppare un confronto e una riflessione sull’esperienza personale e comune di presenza e di lavoro nel mondo della scuola. La scuola sta a cuore alla comunità cristiana; questo si sperimenta attraverso l’accoglienza, l’accompagnamento, la cura di tutto ciò che consente a chi vive la scuola di maturare un giudizio, una condivisione, una iniziativa propositiva per vivere con crescente dedizione e responsabilità il proprio ruolo scolastico. Ci vuole più spazio per la dimensione scolastica nelle nostre comunità.
In terzo luogo è necessario rafforzare un polo di riferimento diocesano in cui possa essere monitorata la vicenda della scuola nel territorio, coltivata e rafforzata la rete di presenze, esperienze e iniziative ecclesiali, elaborata una visione d’insieme da cui far nascere proposte, percorsi, progetti che facciano interagire l’impegno per la scuola con il cammino pastorale diocesano.
Sono, queste, appena delle tracce, su cui lavorare ancora insieme, soprattutto alla luce dell’itinerario che la Conferenza episcopale italiana sta guidando e che avrà un momento significativo di riflessione e di proposta nell’incontro del 10 maggio prossimo.