Lettera Pastorale per l’anno 2023/2024 «Insegnaci a pregare»

“Insegnaci a pregare!”

Lettera pastorale 2023-2024

✠ Mariano Crociata

 

Dalla spiritualità alla preghiera

Ha preso da subito l’evidenza di un’ispirazione dall’alto l’unanimità con cui è venuta la richiesta di prolungare l’attenzione rivolta alla spiritualità durante lo scorso anno pastorale. È emersa la coscienza di essere non solo di fronte a un tema importante, ma soprattutto di aver toccato un punto nevralgico per la nostra esistenza credente e per la nostra vita di Chiesa. È sembrato necessario completare il percorso facendo quel tratto ulteriore di strada in grado di dare maturazione e consistenza al cammino spirituale compiuto, e di farlo precisamente attraverso la preghiera. Questa era già considerata, ovviamente, ma abbiamo avvertito la necessità di dedicarci ad essa con maggiore puntualità e assiduità, per scongiurare una deriva che di frequente affligge i discorsi sulla spiritualità, e cioè una certa vaghezza e indeterminazione.

Se c’è infatti un equivoco in cui incorre facilmente chi si incontra con il discorso spirituale – equivoco contro il quale ci siamo chiaramente espressi –, esso è quello di confonderlo con qualcosa di incorporeo, di etereo, di astratto dalla realtà viva dell’esistenza delle persone e delle comunità. È questo l’errore in cui cadono non poche forme di “spiritualità”, oggi come in passato; ma la spiritualità cristiana ha questo di peculiare, che ha un carattere tremendamente concreto, anzi corporeo, carnale; per un cristiano una spiritualità senza corpo è inautentica, falsa. È questa, quantomeno, una delle implicazioni della nostra fede nell’incarnazione del Verbo.  La preghiera cristiana possiede una costitutiva corporeità, senza la quale semplicemente non si dà. Il cristiano non prega solo con la testa o con il cuore, ma anche con il corpo, con tutta la persona; non solo quando è in chiesa, ma non meno quando è fuori di essa; non solo quando compie atti religiosi o gesti di carità, ma perfino nei passaggi più ordinari e più banali delle azioni quotidiane.

 

L’assemblea diocesana di inizio anno

È stato dunque un desiderio nato dal basso a dar forma a questa scelta, espressione di quell’intuito di fede del popolo cristiano che scaturisce dal comune battesimo e dall’azione interiore dello Spirito Santo. L’assemblea diocesana di inizio anno ha fatto emergere le linee su cui il nostro cammino avrebbe dovuto muoversi. E così di fatto è avvenuto, poiché il cammino diocesano si è avviato attraverso le iniziative che sono state intraprese per dare consistenza a una più viva presenza della preghiera nella nostra vita e nelle comunità. Ora è tempo di riprendere gli esiti di quell’incontro di Chiesa per rilanciarne lo spirito e i contenuti a metà corso dell’anno pastorale per una Quaresima di vera conversione. Non senza avere ricordato che questa scelta ci mette ancor più in sintonia con la Chiesa universale, la quale, su indicazione di papa Francesco, dedica l’anno in corso alla preghiera, in preparazione immediata al giubileo che ci accingiamo a celebrare l’anno prossimo. Una circostanza, questa, che sprona ancora di più ad abbracciare cordialmente ciò che lo Spirito ci ha suggerito e che abbiamo messo in comune.

Il resoconto della condivisione avvenuta nei 24 gruppi nei quali l’assemblea si è suddivisa e ha lavorato si può descrivere come un grande affresco in cui tutti i colori della tavolozza e le loro sfumature sono stati valorizzati. Non possiamo riprendere qui esattamente tutto, ma alcuni richiami saranno sufficienti a delineare il disegno e a coglierne la tonalità e lo stile. La prima cosa da notare è che possiamo osservare un quadro nel quale non è importante solo il dipinto sul frontespizio, ma anche il retro o il verso della trama che compone la tela. Non si parla cioè solo di preghiera, ma di riflesso anche di come vive o agisce pastoralmente una Chiesa che riscopre la centralità della preghiera.

Proviamo a raccogliere allora, anche solo nella forma di un elenco, la serie di parole associate ad essa o alcune delle definizioni che ne sono state date nella condivisione nei gruppi. Tra le parole troviamo: alimento, relazione, dono, colloquio, comunicare, silenzio, ascolto, dialogo, spirito, vita, adorazione silenziosa, discernimento, intimità, presenza (Gruppo 1). E anche: lodare, adorare, liberare, vivere i sacramenti, coinvolgere (22).

Riprendendo a volte questi stessi termini, incontriamo definizioni della preghiera come: mettersi in contatto con Dio (7), dialogo intimo con Dio (4), incontro (8), relazione con l’Altro (12, anche 15, 23), mettere Dio al centro (5), comunicazione e relazione con Dio e con i fratelli (16). E perciò anche: risposta al Signore (11), esperienza che unisce (11, 12), pane quotidiano (2).

Sul piano della risonanza umana della preghiera troviamo affermazioni come queste: prima di tutto l’importanza o anche il bisogno di silenzio (6, 10, 12, 14, 18), e quindi di fare esperienza di silenzio, rilassare il corpo e la mente, rasserenare le emozioni per entrare in noi stessi ed aiutarci a leggere la realtà, mettere in relazione la mente, il corpo e lo spirito, perché la preghiera interrompe la frenesia della vita e ci rimette in contatto con la nostra parte spirituale (13). E ancora: l’importanza di ritrovare l’essenzialità della vita e riscoprire un’esperienza di fede che coinvolga i vari aspetti della vita: essere preghiera e ascoltare la vita con le orecchie di Dio (13).

In queste ultime espressioni la dimensione umana si connette con la preghiera come esperienza di fede. Se uno sottolinea che nella preghiera si scopre se stessi (12), diversi altri attribuiscono un posto importante alla Parola di Dio nella preghiera, in particolare al Vangelo insieme a tutta la Scrittura (2, 3, 7, 8, 10, 16, 17, 20, 21, 23). Dobbiamo riscoprire la potenza che c’è nella Parola di Dio, dice un altro (14).

Pregare è recuperare il rapporto con Dio e ravvivare la fede (13). Determinante si presenta allora nella preghiera l’azione dello Spirito Santo: la preghiera nasce come azione dello Spirito in noi; l’invocazione dello Spirito Santo dà movimento alla vita, ci fa sentire continuamente persone diverse, rinnovate (14). Perciò è necessario ripartire dall’invocare lo Spirito Santo e l’aiuto della Vergine Maria nella preghiera personale e poi comunitariamente, nell’adorazione, nella lode, nell’intercessione gli uni per gli altri: mettendosi davanti al Signore e lasciandosi plasmare, lavorare. Mente, bocca, cuore si devono accordare (22). La preghiera, prima di esprimersi nelle forme e nei contenuti, deve nascere da un sentimento, da un dialogo intimo con Dio: il desiderio di imparare a pregare, espresso dai discepoli a Gesù, sorge quando, nei momenti importanti, vedono Gesù stesso pregare e trasfigurarsi (14).

Tocchiamo così il punto centrale: la domanda a Gesù di insegnarci a pregare. La preghiera è un dono da chiedere (9) riaccendendo in noi il desiderio, per esempio nella meditazione sui misteri della vita di Cristo (7); perciò l’unico modo di imparare a pregare, è pregare (12), cercare ogni giorno il tempo e lo spazio per la preghiera (21), che diventa così esercizio per lo spirito che aiuta la crescita della fede (4). La Chiesa ha un compito specifico in tal senso, nell’insegnare a pregare (15), ma perché essa lo assolva c’è bisogno di maestri di preghiera (18) e di scuole di preghiera (12, 14, 16, 18), che accompagnino e offrano formazione tenendo conto dell’età, della condizione di vita, dell’esperienza e della storia di ciascuno (16). Un loro posto trovano anche i carismi propri di gruppi, movimenti e aggregazioni (18), o ancora carismi di ben più antiche tradizioni spirituali.

L’esperienza spirituale della preghiera può essere fatta non a partire da se stessi, perché se non si prega è spesso per la paura di guardarsi dentro (21); si tratta invece di ripartire da Dio: nella preghiera è Dio che ti cerca (21); è la riscoperta dello sguardo amorevole di Dio sulla nostra vita che ci fa desiderare di pregare (13). Per questo la preghiera è lode e ringraziamento prima che richiesta (2), è confidenza in Dio (11).

Quanto alle modalità e alle forme della preghiera vengono richiamati tutti gli aspetti che caratterizzano l’esperienza ecclesiale e la tradizione cristiana, dalla preghiera personale (9, 15) a quella comunitaria (9, 11), in chiesa (1) o comunque in luoghi e spazi adeguati (10). Al primo posto sta la celebrazione eucaristica, specialmente quella domenicale (3, 9, 10, 16, 23), ma poi anche l’adorazione, la liturgia delle ore, il rosario (2, 3, 8, 9, 10, 13, 14, 18), come pure la “preghiera del cuore” (13) e la contemplazione (18). Non mancano esperienze nuove e forme più libere di preghiera (1), o anche spontanee e semplici (2, 3).

Non sono mancate suggestioni sullo stile della preghiera, che richiederebbe il gusto del bello e il senso della bellezza del pregare e del celebrare (2, 3, 13), particolarmente nell’equilibrio da cercare sempre tra canti, Parola di Dio, preghiera e silenzio (13). Tutto ciò rende la preghiera un’esperienza (17) che lascia una traccia profonda, fa vincere ogni forma di aridità (2, 5), apre agli altri (6), si intreccia con la vita quotidiana e con la vita sociale (5). Per questo bisogna imparare a dare tempo alla preghiera (1, 7, 10), secondo l’esempio che anche i santi ci danno (1).

In realtà bisogna anche dire che la preghiera per molti è cambiata, nel senso che è considerata uno stile di vita, cosicché, come qualcuno ha detto: prego vivendo (16), o considero il servizio come preghiera (18). Troviamo qui il segno di un cambiamento che vede in atto nuovi modelli di società e in molti casi un contesto sociale religiosamente indifferente (11). Ciò richiede una risposta pastorale adeguata, come segnala il verso o retro del quadro di cui si diceva. Perciò qualcuno suggerisce che come Chiesa, dobbiamo assumere fino in fondo le domande della modernità, le risposte facili non bastano più, serve la formazione, serve provare a stare nel mondo e abitarlo (18).

Non troviamo proposte radicalmente nuove rispetto a quelle che la prassi pastorale anche recente ci ha fatto conoscere, perciò in tal senso è insistito il richiamo alla necessità della formazione (6, 10), da cui nessuno dovrebbe ritenersi esonerato, con uno spazio privilegiato da dare alla conoscenza della Scrittura (3), e poi alla lectio divina (2, 18) e a gruppi di ascolto della Parola (18). Decisivo dovrebbe essere mettersi in ascolto e riscoprire il senso della vita comunitaria (6, anche 2) e fare comunità nelle parrocchie (18), persuasi che a convincere e coinvolgere, particolarmente i giovani ma non solo loro, è la capacità di attrarre (2, 15, 17), che viene dalla testimonianza (1, 5, 6, 7, 19) così da rispondere alla sete di spiritualità sempre presente (21). Per i ragazzi un ambiente sempre adeguato è rappresentato dagli oratori (5, 13 17). Ci vuole soprattutto nuovo slancio e la pazienza dei piccoli passi (11), in un compito educativo (7) e di accompagnamento (11) che è sempre più difficile svolgere, soprattutto per la debolezza della famiglia di oggi (1), fino allo sfinimento (5). È nella famiglia infatti che bisognerebbe cominciare a fare esperienza di preghiera (8, 9, 11, 13, 14, 20, 21, 23).

Torna allora in evidenza l’importanza di guide spirituali all’altezza (8) e di proposte formative (6, 8, 19) svolte in un clima di dialogo empatico e di esperienze coinvolgenti (11). Tra le proposte concrete non manca quella degli esercizi spirituali (10), e poi la cura della liturgia (2), anche il ruolo della Caritas (5) e, in generale, l’apertura verso l’altro e verso il territorio (6), fino all’utilizzo dei social (14, 19), tutto al fine di giungere a maturare una spiritualità personale (5).

 

Pregare per credere e credere pregando

Volendo riprendere quanto così emerso dall’assemblea diocesana di inizio anno, il primo aspetto da richiamare è il rapporto tra fede e preghiera. La preghiera infatti è la prima e insostituibile manifestazione della fede; è il primo segno che in una persona c’è fede. C’è sempre una stretta correlazione tra fede e preghiera: dove c’è l’una ci deve essere l’altra. Questo è particolarmente evidente per la fede cristiana, grazie alla quale si instaura un rapporto personale tra Dio e il credente. In realtà l’essere umano è fatto per credere, ma è solo l’incontro con il Signore Gesù Risorto, con la sua parola e il suo invito, che suscita il desiderio di rispondere, abilita a fidarsi e porta ad affidarsi con una fede sempre più consapevole. La fede è l’accoglienza del dono di Dio in Gesù, la corrispondenza all’incontro con lui. Essa significa amicizia, relazione di fiducia, di conoscenza, di amore, che cerca una comunicazione sempre più intensa e il desiderio di una comunione sempre più profonda, perché fa scoprire e sentire come rivolto a sé il desiderio ardente che muove il Signore all’incontro con noi. Ce lo insegna la costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II parlando della rivelazione cristiana: «Dio invisibile (cf. Col 1,15; 1Tm 1,17) per la ricchezza del suo amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con loro (cf. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (DV 2).

Allora una fede che non giunga a una relazione e a una comunicazione personale costante, e quindi alla preghiera e ad un dialogo assiduo, con il Signore, non è ancora vera. La preghiera scaturisce spontaneamente come il dialogo di fiducia e di amore tra Colui che si è offerto all’incontro e chi – come noi – è stato incontrato e, soprattutto, si è lasciato incontrare scoprendo un orizzonte sconfinato di bene e di grazia. Siamo fatti per credere, e perciò per l’incontro, il dialogo, la preghiera. E finché non raggiungiamo questa condizione, non saremo veramente noi stessi, non avremo raggiunta la nostra identità umana e credente. Se ci tocca osservare tante manifestazioni di malessere e di alienazione vicino e attorno a noi, e forse anche in noi, è perché siamo poco o molto lontani dall’incontro con l’esperienza della fede, che guarisce, risana, ridona vitalità e senso alla nostra umanità. Tocca anche questo il tema della preghiera.

Non stiamo parlando dell’una o dell’altra pratica religiosa che si sbriga ripetendo determinati riti e formule; stiamo parlando di ciò che è ultimamente in gioco nelle nostre persone e nella nostra condizione umana. Il bisogno di spiritualità che abbiamo colto e su cui ci siamo interrogati come il bisogno che tocca la dimensione profonda del nostro essere è innanzitutto questione di fede e di preghiera. Per questo ci chiediamo se e come preghiamo, se e come crediamo. E se qualcuno dovesse pensare che, se scegliamo la preghiera, lo facciamo perché abbiamo voglia di rinserrarci nelle nostre chiese e sacrestie, deve sapere che è esattamente il contrario: non riusciamo a “uscire” da noi stessi, dai nostri schemi e dalle nostre abitudini anche religiose spesso divenute asfittiche e formali, perché preghiamo poco e preghiamo male, e quindi crediamo poco e male.

 

Una fede che vince ogni paura

Viene spontaneo pensare alla comunità dei discepoli dopo la morte del Signore, a proposito dei quali l’evangelista Giovanni racconta: «mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei» (Gv 20,19); e gli Atti degli Apostoli registrano: «si trovavano tutti nello stesso luogo» (At 2,1). Non a caso, secondo l’evangelista Matteo, le prime parole di Gesù alla comunità così radunata sono: «Non temete!» (Mt 28,10). C’è molto di più di un voler fronteggiare un timore umano nelle parole di Gesù, è in gioco la fede in lui risorto. E nondimeno, nel misto di sentimenti e di pensieri che affolla l’animo della comunità dei primi discepoli, ciò che manca è la chiarezza, la convinzione, il coraggio, lo slancio della piena fiducia e dell’amore. Sarà la Pentecoste, il dono dello Spirito del Risorto, a ribaltare le sorti e gli animi e a far entrare in una relazione piena di fiducia e di amore con il Signore Risorto, in un dialogo nuovo con lui creduto e sentito vivo e presente (cf. At 2,2ss).

Questa condizione caratterizza non solo gli inizi precari di una storia di fede come quella cristiana, ma accompagna ogni passo e ogni nuovo inizio della comunità credente. Siamo perennemente in regime pasquale, con tutto ciò che comporta di incertezza e di reali possibilità di novità. Con l’aggravante di un tempo lungo – quello della ormai lunga tradizione cristiana comunque vissuta personalmente e in comunità – che ci ha resi assidui ma anche abituati, assuefatti, forse un po’ stanchi, a fronte di una storia attuale che non ci risparmia nulla per farci sentire delusi di noi stessi e per minare il vigore del nostro credere, mentre la certezza che la morte è stata vinta viene continuamente sfidata da una morte che assedia da ogni parte e, anzi, sembra diventare sempre più baldanzosa e sicura di sé. Ma il dono dello Spirito non è stato ritirato, anzi la Pentecoste è sempre all’opera nelle mille forme che assume il dono dall’alto, a partire dalla parola e dai sacramenti che sostengono la vita cristiana, anche al di là dei loro immediati spazi di efficacia, e poi a continuare nei mille ambiti di volontariato, di servizio, di dedizione agli altri nella creatività e generosità della carità cristiana.

 

Scrutare i segni dei tempi

Ciò di cui abbiamo più bisogno in questo momento solo la preghiera ce lo può dare. Vogliamo nominarlo meglio ciò di cui abbiamo bisogno? Provo a dirlo così: abbiamo bisogno di capire ciò che sta succedendo, dentro e fuori la Chiesa, nel cuore delle persone, dentro le nazioni, tra i popoli. Stanno davvero cambiando molte cose e ci chiediamo quale direzione prendere e che cosa conservare. Qualcuno preferirà rinchiudersi, ritirarsi nelle presunte sicurezze di un passato che in realtà non basta più, dimenticando che il vero e il bello di ciò che abbiamo ricevuto si riscopre e si riappropria solo nello scrigno prezioso del presente, dell’attimo che sta passando, e della scelta rinnovata che ogni momento richiede, non tanto nella meccanica ripetizione di formule e gesti ritualizzati, ma nell’invenzione/scoperta che fa tesoro insieme di cose nuove e di cose antiche. Il dono che riceviamo dalla storia della fede è veramente accolto quando esso viene assunto e appropriato, e anzi rigenerato da una interiorità che lo vive come fosse il primo attimo della sua elargizione e della sua accoglienza. Qui scopriamo un miracolo che la preghiera non cessa di compiere, sempre di nuovo.

 

Crescere figure mature di nuovi cristiani

C’è un punto che va aggiunto proprio a questo riguardo. Avvertiamo sempre più forte e viva l’esigenza di presenze e di collaborazioni qualificate – insieme a quelle dei presbiteri e dei diaconi – da parte di laici e laiche, al di là del fatto che abbiano richiesto o meno di ricevere – o siano stati richiesti di prepararvisi – i ministeri istituiti o di fatto. Per vivere e per svolgere la sua missione la Chiesa ha bisogno di nuove presenze ed energie, non solo perché si riducono quelle dei ministeri ordinati, ma perché scopriamo che solo così, con la partecipazione corale più vasta possibile (sulla linea del cammino sinodale in corso a tutti i livelli nella comunità ecclesiale), la Chiesa può rispondere oggi alla chiamata del Signore e alla missione che il mondo attende da essa. Da questo punto di vista ci scontriamo con gli effetti di un passato che ha visto concentrare tutte le responsabilità e la capacità di iniziativa e di azione nelle mani del clero, con il risultato di aver lasciato per lo più i laici in una condizione di passività o di collaborazione meramente esecutiva, che non ha fatto crescere consapevolezze e competenze adeguate ad una vita ecclesiale sempre più articolata.

Nello scenario che si schiude dinanzi a noi la fretta, cattiva consigliera, può indurre ad avvalersi di qualche iniziativa, chiamata formativa, dal carattere più o meno scolastico e intellettuale. Non si considera che la formazione della personalità cristiana e della qualificata abilitazione ad un servizio ecclesiale è un processo complesso che abbraccia diverse dimensioni. In particolare, soprattutto quando si tratta di adulti, la formazione o è auto-formazione o non è. E lo è quando si tratta di conoscenza e studio (comunque necessari), lo è quando si deve mettere mano praticamente, come in un tirocinio, alle attività che una vita di comunità e di parrocchia richiede; lo è soprattutto quando si tratta di dare forma alla persona, alla sua identità credente e alla sua competenza relazionale ecclesiale. Perciò il suo profilo è delineato dall’orientamento spirituale, cioè da ciò che anima più intimamente la coscienza e l’intenzionalità della persona. E la persona del credente è più che mai segnata dalla relazione originaria che l’ha generata alla fede. È da lì che prende le mosse ogni processo formativo, che poi comunque impregna tutta l’esistenza credente quali che siano gli sviluppi ulteriori e la chiamata a specifiche collaborazioni alla vita della Chiesa e al servizio della comunità.

In questa maniera il tema della preghiera incrocia vari filoni che attraversano il nostro tempo e la nostra vita di Chiesa: l’esigenza di discernimento del tempo che viviamo, lo sguardo sulla situazione della comunità ecclesiale e sui suoi compiti, l’esigenza di formazione alla collaborazione pastorale e alla missione con sensibilità sinodale, oltre che soprattutto la conduzione di una esistenza credente nelle condizioni date della vita e della storia di ciascuno e di tutti. Dobbiamo allora chiederci: quale preghiera e come la preghiera?

 

Pregare con il vangelo

Questa domanda si scontra con una idea che i più diamo per scontata, che cioè i più assidui frequentatori della chiesa, a cominciare naturalmente dai ministri ordinati e dai praticanti abituali, sappiano già che cos’è la preghiera e come si prega; di qui l’altra idea, secondo cui c’è chi deve insegnare agli altri la preghiera e chi deve ascoltare e apprendere, per cui la situazione viene considerata definita e solo da organizzare meglio, sempre che da parte degli ascoltatori non ci si annoi anche prima di cominciare per la presunzione di sapere a loro volta già tutto e di non avere bisogno di “sentire sempre le stesse cose”. Volendo tornare al vangelo, le cose non sembra siano esattamente come i più ce le rappresentiamo.

 

Insegnaci a pregare

Naturalmente non è questo il luogo per riprendere tutti i riferimenti anche solo dei vangeli sulla preghiera, cogliamo invece qualche spunto utile a indirizzare il nostro cammino e a farlo procedere in maniera feconda e significativa. E il primo è necessariamente quello che ricaviamo dalla scena nella quale Gesù insegna la preghiera del Padre nostro, in particolare nella versione lucana, la quale si apre in questa maniera:

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite: Padre” (Lc 11,1-2).

I discepoli sono indotti a porre la domanda dall’esperienza della preghiera di Gesù, dal vedere che Gesù prega e da come lo fa, e poi anche dalla conoscenza del rapporto tra Giovanni Battista e i suoi discepoli. Proprio il confronto con il gruppo del Battista lascia supporre che i discepoli cerchino da Gesù qualcosa che li caratterizzi in maniera distintiva rispetto ad altri gruppi, una maniera certamente riduttiva per una presenza come quella di Gesù, che non è venuto per costituire un nuovo gruppo accanto ad altri, ma per portare la novità inaudita e inimmaginabile della relazione filiale con il Padre grazie alla sua presenza di Figlio eletto dell’Eterno fatto uomo.

Si impara a pregare vedendo pregare, soprattutto vedendo pregare Gesù. E non si impara a pregare una volta per tutte. Rimaniamo sempre apprendisti della preghiera, perché non ci sono formule, moduli, pose, metodi o anche esperienze che rispondano una volta per tutte a ciò che significa pregare, cioè stare alla presenza, aperti all’ascolto e al dialogo della fede con Dio. Nella preghiera siamo tutti discepoli e rimaniamo sempre discepoli. «Non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26).

Con quest’ultimo riferimento possiamo entrare un po’ più profondamente nel mistero della preghiera cristiana, poiché essa si compie davvero quando guardiamo a Gesù e lo ascoltiamo, e nello stesso tempo ci rendiamo docili all’azione dello Spirito. Comprendiamo infatti come la preghiera non sia qualcosa che produciamo noi, non sia all’altezza delle nostre umane possibilità; di nostro non sappiamo che cosa sia e come si faccia; è una grazia, cioè qualcosa che vive in Dio e di Dio. Pregare è essere ammessi al dialogo intimo che si svolge tra il Figlio e il Padre nello Spirito. Ben altro che sapere delle formule e ripeterle meccanicamente! Per questo dobbiamo sapere che saremo sempre discepoli: «Un discepolo non è più grande del maestro» (Mt 10,24; cf. anche Lc 6,40). Possiamo aiutarci gli uni gli altri, ma solo per fare in modo che personalmente e insieme ci lasciamo ammettere al dialogo intimo delle divine Persone. Dobbiamo ricordarci di questo ogni volta che ci mettiamo in preghiera.

Proprio a questo riguardo bisogna che riflettiamo attentamente sul rapporto tra il tempo della preghiera e il resto del tempo della vita. Il vangelo di Luca presenta la famosa parabola del giudice e della vedova, che viene introdotta così: «diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Dunque, pregare sempre senza stancarsi. È un invito che troviamo anche nelle lettere paoline, in particolare quando l’apostolo invita ad essere «perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12; cf. anche Col 4,2; e poi 1Tm 5,5) o ancora quando esorta: «pregate ininterrottamente» (1Ts 5,17). Su questo punto si mostra quanto la preghiera cristiana sia lontana dall’appagarsi di formule e di ritualità, poiché il suo ideale sussiste e il suo modello è incarnato nel dialogo incessante che Gesù intrattiene con il Padre.

Proprio in ragione di questo dialogo vediamo come Gesù avverta il bisogno irresistibile di appartarsi per dedicarsi totalmente alla preghiera al Padre (cf. Mt 26,39.42.44; Mc 1,35; 14,35.39; Lc 3,21; 9,29; 22,41.44.45; Gv 6,15), ma anche come da essa attinga una presenza costante al Padre e una coscienza vigile del legame con Lui insieme a quello del rapporto con tutto e con tutti, tanto che in alcune circostanze vediamo Gesù passare spontaneamente dall’azione alla preghiera e viceversa. Questo modo di essere segnala uno stato costante di comunione profonda di Gesù con il Padre, senza che questo lo renda distratto dinanzi alle persone e alle situazioni, semmai rendendolo ancora più acutamente sensibile (si veda, per esempio, dinanzi alla tomba di Lazzaro, Gv 11,41,42; o ancora nel caso del cosiddetto inno di giubilo, Lc 10,21-22 e Mt 11,25-30).

Preghiera essenziale

Guardando a Gesù possiamo riconoscere quanto sia essenziale per Gesù la preghiera, ma scopriamo anche l’essenza della preghiera come presenza, rapporto, dialogo col Padre. Nella preghiera Gesù attualizza, rivive e alimenta la sua identità e la sua missione, la sua coscienza di sé come Figlio indivisibilmente unito al Padre, il suo sentire all’unisono con il Padre, con la sua bontà e la sua misericordia; bontà e misericordia che sa di essere stato mandato ad annunziare e a portare al suo popolo e all’umanità tutta. Il bisogno essenziale del Padre lo spinge ad andare verso gli altri in un movimento inarrestabile di missione, e il suo andare verso tutti lo riporta continuamente a Colui con il quale e per il quale è stato inviato. La comunione con il Padre vive di questo movimento di invio e di missione che accresce, se possibile, l’unione essenziale di cui vive, nello Spirito, con il Padre. La preghiera è il luogo in cui egli attinge, alimenta e compie la sua missione nella comunione con il Padre.

La preghiera è, non solo per Gesù, ma pure per noi il modo umano di rimanere in profonda comunione con Dio, sorgente inesauribile di vita e di amore. L’esperienza umana e religiosa universale può testimoniare come il contatto e l’apertura all’oltre e all’Altro in qualche forma di preghiera siano condizione imprescindibile per ritrovare la radice della propria coscienza e il senso del proprio essere al mondo. Gesù attua tutto questo in modo pieno e perfetto non solo in senso religioso ma non meno come modello di compiuta umanità. Egli ci dice che senza rapporto attuale con Dio attraverso la preghiera non c’è autentica e piena umanità, perché l’uomo è se stesso da un Altro e in rapporto ad un Altro.

La preghiera cristiana permette al credente di raggiungere la coscienza della propria essenza e identità in rapporto al Creatore e Redentore, e in tale coscienza di vivere alla presenza costante di Dio per assolvere al compito che l’esistenza chiede e affida. Nella comunione con Dio che la preghiera tiene desta e attiva, il credente guarda se stesso nella verità, riesce a guardarsi dentro e a vedersi nella sua verità alla presenza di Dio, riconosce di essere creatura ma anche di essere amato e salvato da Colui che lo ha voluto per amore e tutto è disposto a fare per non perderlo.

La preghiera nel dialogo della Trinità divina

Una preghiera così essenziale non è possibile se non in un movimento e in una correlazione con la circolarità della vita delle Persone divine. Essa infatti si rivolge al Padre tramite il Figlio Gesù nello Spirito. Senza il Figlio e senza lo Spirito non può esserci preghiera. La preghiera cristiana non è un atto solamente umano, frutto di uno sforzo e di una capacità autonoma. In taluni momenti e situazioni essa può essere avvertita come un bisogno di superare i limiti della condizione umana, come il desiderio di andare oltre, ma da solo l’uomo non riesce a compiere un tale passo.

Ci voleva il Figlio per riaprire il cielo e attraverso di lui veder salire e scendere gli angeli di Dio e lasciarci condurre dentro il mistero, inarrivabile e accogliente allo stesso tempo, che è il Padre. La scala che scende dal cielo attraverso cui anche noi possiamo salire verso il cielo è Gesù stesso e la parola che egli ci indirizza da parte del Padre suggerendo egli stesso le parole e il modo per rivolgerci insieme a lui come figli al Padre. Ma anche questo non basterebbe senza un cuore nuovo, e il cuore nuovo, capace di amare e di volere rispondere all’amore eterno del Padre, lo crea e ce lo dà soltanto lo Spirito Santo.

Chiedere il dono della preghiera e pregare sono indistinguibili, poiché la preghiera comincia sempre con l’invocazione del suo dono, che è invocazione dello Spirito mediante la Parola eterna del Verbo. Entrare in questo modo nel dialogo eterno delle Persone divine è la grazia della preghiera cristiana, nella quale lo sforzo umano, il desiderio e la decisione di pregare sono preceduti, sostenuti e presentati al Padre dalla Sapienza del Verbo e dall’amore dello Spirito Santo. Per questo ogni preghiera dovrebbe cominciare con l’invocazione del dono della preghiera e prepararsi perché un cuore amante e labbra piene delle parole sapienti di Cristo e della Scrittura possano far giungere al Padre la preghiera capace di fendere le nubi e toccare la soglia dell’Eterno. In verità l’amore del Padre è toccato e raccoglie ogni più piccolo gemito dell’umanità dolente, da chiunque provenga, perché Gesù se ne è fatto interprete senza riserve fino a identificarsi con gli ultimi e i diseredati, e con tutti coloro che riconoscono di essere bisognosi di lui o nemmeno sono arrivati ancora a riconoscerlo. È lui che permette alle nostre povere parole, anche quando risuonano la sua stessa parola, di giungere al Padre, perché egli le fa sue e con lui formiamo un unico corpo, mai senza l’amore dello Spirito Santo, che a una sola voce dice al Padre la sua santità, e quindi la lode, il ringraziamento, la richiesta di perdono e ogni genere di suppliche.

Parola, silenzio, contemplazione

Quanto detto non deve trarre nell’errore di far pensare che pregare sia questione di parole, come Gesù stesso dice: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,7-8). Quella che è la forma essenziale della preghiera si compie almeno in due modalità che possono sembrare opposte quando invece sono integrate e complementari, ovvero la celebrazione comunitaria e la preghiera personale.

Per dire di quest’ultima, essa può anche essere espressa con parole pronunciate nel segreto del cuore e nell’attenzione della mente, ma può giungere ad essere un movimento di amore che si protende verso Dio nel silenzio non solo esteriore ma anche interiore. È in questa direzione che la preghiera tende a diventare contemplazione, quando a poco a poco concetti, parole e immagini lasciano il posto a uno stato di immersione profonda in Dio e di amore per Lui senza altre condizioni al di fuori di una crescente concentrazione su di Lui. È importante ritenere anche che ogni preghiera, pure espressa in parole, ha bisogno per essere vera di una partecipazione interiore profonda e sincera.

L’ascolto della Parola

Una considerazione a parte richiede la preghiera che invece mette al centro proprio la Parola nella forma della lettura, della meditazione e della preghiera a partire dalla Sacra Scrittura. Essa dovrebbe avere un posto eminente nella vita del singolo credente e di ogni comunità cristiana. Quella Scrittura che è sacra perché ispirata dallo Spirito, il quale ha permesso alle parole umane – che lungo una storia non poco complicata hanno condotto alla sua messa per iscritto – di esprimere la Parola di Dio che è personalmente Gesù, è anche il protagonista misterioso della lettura e dell’ascolto credente delle sue pagine. Già il solo leggere e soffermarsi su una parola o su una frase o su una pagina, quando è la fede a sottenderne la volontà e l’iniziativa, comporta l’ingresso del lettore sotto i riflettori, per così dire, di colui – lo Spirito Santo – che in quelle pagine parla e che le anima dal di dentro con la luce della sapienza e dell’amore di Dio, e quindi comporta anche l’essere introdotti in qualche modo già nel mistero e nella grazia della preghiera. Per questo deve essere incoraggiata ogni forma di ascolto e di meditazione e di preghiera sul testo della Bibbia, in forma personale o in gruppo o, soprattutto, in assemblea liturgica.

La preghiera liturgica

La stessa partecipazione interiore profonda e sincera di cui si diceva è richiesta in quella che è il vertice della preghiera cristiana, e cioè la celebrazione eucaristica in modo particolare, e con essa tutta la liturgia cristiana. In essa la preghiera si compenetra nell’intera celebrazione come risposta dell’assemblea a Dio che parla e agisce mediante l’Eucaristia e i sacramenti della fede, in un dialogo di fede e di amore che apre a una esperienza integrale dei doni di Dio indivisibilmente nella Parola e nel sacramento. La circolazione della vita delle Persone divine raggiunge la massima intensità dentro la vita dell’umanità, poiché si offre a Dio il culto perfetto nella attualizzazione del mistero pasquale di Cristo e nell’effusione dello Spirito, che illumina ed effonde con la sua luce la parola e la sapienza del Verbo e rende possibile il compiersi del sacramento che vede Dio agire mediante il suo Cristo nella vita e nella storia dell’umanità.

 

Come pregare, perché e per che cosa

In riferimento al rito un significato preciso assume la parola di Gesù quando mette in guardia dal perdere di vista che Dio è il centro di ogni ritualità religiosa, di ogni celebrazione, che deve assorbire l’attenzione, l’intenzione e l’amore del credente che celebra e crede: «E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6,5). La riflessione meriterebbe di essere sviluppata, perché rimanda a una purezza di fede e di intenzioni che non sopporta di vedere gli atti di culto e di preghiera venire strumentalizzati ad altri fini snaturando così intimamente il senso del loro essere posti e portati a compimento. C’è una verità del rito che abbraccia anche la rettitudine e la sincerità delle intenzioni, senza la quali ogni forma di preghiera perde il suo senso e viene privata di ogni suo frutto.

Tra le caratteristiche che la preghiera di Gesù e tutte le testimonianze evangeliche ci fanno incontrare e conoscere ne troviamo alcune che valgono un po’ per tutte le forme di preghiera in quanto espressione di fede. Una prima è l’insistenza nella preghiera, sull’esempio di quanto ne dice la parabola del giudice che non ascolta e della vedova che non si rassegna alla sua indifferenza (Lc 18,1-8); la conclusione dell’evangelista è una domanda retorica e una risposta ferma: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente» (18,7-8a). L’attenzione del Padre verso la condizione dei figli non esonera questi dal dovere di non stancarsi mai di pregare.

Altro aspetto rilevante messo in luce nei vangeli è il rapporto tra preghiera e perdono. Esemplare in tal senso è la stessa preghiera del Padre nostro e il commento che vi aggiunge Matteo sottolineando così quanto sia importante il perdono perché una preghiera giunga gradita a Dio: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15). E l’evangelista Marco non manca di sottolineare il tipo di nesso tra preghiera e perdono: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe» (Mc 11,25).

Il dolore è a sua volta occasione per una preghiera implorante rivolta al Signore. Come accade di frequente nei vangeli, Gesù non rimane mai indifferente di fronte all’esperienza del dolore, come mostrano gli innumerevoli miracoli di guarigione e di liberazione. La preghiera fa emergere che la condizione del credente – o semplicemente di ogni essere umano – confina con la morte e diventa una battaglia vittoriosa contro la morte e contro il maligno per la potenza di vita che porta in sé e di cui è sorgente inesauribile. In questo senso l’evangelista Marco presenta un invito specifico alla preghiera: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera» (9,29). Ma è soprattutto in rapporto alla tentazione che l’esperienza cristiana conosce la forza vittoriosa della fede, come testimonia Mc 14,38: «Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (cf. anche Mt 26,41 e Lc22,49.46). Infine Gesù non teme di annunciare la certezza di ricevere ciò che viene chiesto nella preghiera: «E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete» (Mt 21,22); come pure: «tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà» (Mc 11,24). Insomma i vangeli ci attestano una preghiera dentro la vita e per la vita, non avulsa dalla realtà ma radicata nelle condizioni, spesso estreme, di sofferenza e di lotta dei credenti, e quindi chiamata a portarvi il soffio della fede per rianimarla ed elevarla secondo la volontà e il disegno del Padre di Gesù e di Gesù stesso.

Pregare con i salmi

Questa caratteristica la ritroviamo pienamente nella preghiera biblica per eccellenza, i salmi. Essi sono la preghiera del popolo d’Israele, e come tali sono stati la lingua materna della preghiera di Gesù. Gesù si serve dei salmi per interpretare ed esprimere il senso del suo vissuto. Così li ha sentiti la Chiesa delle origini e anche quella dei secoli successivi fino ad oggi, facendone in maniera privilegiata la forma della propria preghiera. Per questo la Chiesa ha sempre ritmato il tempo della sua vita con quella forma liturgica di preghiera che ha nei salmi il proprio perno, e cioè la Liturgia delle Ore. Questa fedeltà alla preghiera dei salmi non ha inaridito la loro ricchezza straordinaria in una sterile ripetizione, al contrario li ha inseriti in un processo di reinterpretazione infinita e come di una loro inesauribile ri-creazione continua nella vita e attraverso di essa: ancor più per i salmi si deve dire che pregare con essi è pregare nella vita e con la vita. In maniera privilegiata essi hanno la capacità di penetrare e assumere il senso della condizione umana in tutte le sue principali circostanze e condizioni, e così assumere essi stessi sempre nuova luce e più profondo significato nel dare senso alla vita dell’uomo che crede e non rinuncia a dialogare con Dio. I salmi riescono a dare voce a una infinità di situazioni e sempre di nuovo ristabiliscono la relazione con Dio come la novità decisiva in ogni circostanza della vita e della storia.

Pregare nella Chiesa

La tradizione cristiana non ha mai smesso di creare sempre nuove forme di preghiera, dando origine anche a carismi e tradizioni singolarmente caratterizzati nell’accompagnare a fare esperienza di preghiera su percorsi originali. Nella varietà degli stili e degli accenti, secondo il carattere proprio di ogni carisma e scuola di preghiera, essa si riconosce dall’esigenza di esprimere lode e ringraziamento per i doni di Dio, richiesta di perdono per i peccati, invocazione di aiuto per sé, per gli altri, per la Chiesa e per il mondo intero nelle infinite circostanze e situazioni che la vita presenta nella storia dei singoli, delle comunità, dell’umanità tutta. Un posto singolare occupa, poi, nella preghiera della Chiesa, Maria, la madre di Gesù e madre nostra, che ha – dopo la memoria nella celebrazione eucaristica e in una molteplicità incalcolabile di modalità – nella recita del santo Rosario una delle forme più sentite e praticate da tutto il popolo cristiano.

Preghiera e cura pastorale

La preghiera non scorre a fianco della vita, nemmeno della vita della Chiesa. Essa assomiglia piuttosto a un fiume dentro il quale i credenti navigano assecondando la forza dello Spirito che porta verso il grande mare di Dio. Quando è forte la portata di acqua, tanto più scorrevole è la navigazione, quando invece lo è meno, allora è grande il rischio di procedere lenti se non perfino di arenarsi. Il fiume della fede ha bisogno dell’acqua della preghiera.

Essa deve stabilire il clima spirituale e alimentare atteggiamenti e motivazioni da cui può e deve nascere ogni attività che sia feconda nell’accompagnamento e nella cura del popolo cristiano. La Chiesa sente la grazia e il peso di sostenere con la preghiera i propri figli, dalla nascita alla vita e alla fede fino al congedo da questa terra. Ed essa svolge questo compito essenziale invitando a pregare e insegnando a pregare. I figli di Dio hanno questo di proprio e caratteristico, il rapporto incondizionato di fiducia e di amore verso il Padre coltivato nel dialogo vivo e costante della preghiera. E questo si compie lungo tutta la vita.

Inserire nel respiro della preghiera della Chiesa è il compito che deve caratterizzare ogni passo del Percorso dell’Iniziazione Cristiana, e in continuità con esso tutte le azioni con cui la comunità ecclesiale svolge la sua missione pastorale attraverso la formazione e la catechesi, nelle celebrazioni e nell’esercizio della responsabilità della comunione e della carità. Non può esserci trasmissione della fede e accompagnamento nel cammino di fede che non passi dalla preghiera e dalla educazione alla preghiera. Tutti quelli sui quali abbiamo responsabilità hanno il diritto di aspettarsi la nostra preghiera per loro prima che la nostra parola e la nostra azione dirette a loro.

In questo senso, il cammino sinodale che stiamo conducendo insieme a tutta la Chiesa ci ha reso edotti di almeno due indicazioni fondamentali. La prima ci dice che quando le riunioni e gli incontri della comunità ecclesiale, per non parlare delle celebrazioni, si svolgono in un clima personale e comunitario di preghiera (e questo è cosa diversa dalla pur opportuna recita di una preghiera, secondo tradizione, all’inizio e alla fine di ogni attività) il frutto spirituale e pastorale è sensibilmente percepibile. Questo vale non meno per la seconda indicazione, che si riferisce alla composizione dei passi adeguati da compiere nei processi decisionali, per i quali la maturazione delle scelte non dovrebbe avvenire attraverso un equilibrio di pareri ma nella ricerca di una consonanza degli spiriti maturata in un clima di ascolto e di preghiera, l’unico nel quale lo Spirito trova spazio per agire e guidare. La valorizzazione necessaria degli organismi di partecipazione, nelle parrocchie e nella diocesi, può compiersi veramente soltanto in un tale clima spirituale, fuori del quale degenera in tutt’altro, il cui spettacolo è facilmente riconoscibile in tante forme di aggregazione sociale. Solo così il cammino sinodale avrà un effetto di reale rinnovamento e cambiamento della forma ecclesiale, così che essa sempre più e meglio, con la partecipazione di tutti, risponda alla chiamata del Signore e al dono della sua presenza.

Una situazione che la preghiera aiuta pure ad affrontare è quella determinata dalla duplicità di condizione in cui si trovano, per così dire, ripartiti i fedeli oggi. La transizione che la Chiesa con tutta la società attraversa, comporta per essa in particolare di avere a trattare con due tipi di persone o di richieste religiose. La prima è quella dei fedeli abituali, che da sempre hanno seguito le indicazioni alle quali sono stati formati e apprezzano uno stile di Chiesa quale hanno da sempre conosciuto e praticato. Non pochi tra essi mal sopportano cambiamenti alle loro abitudini e non di rado si accontentano di una osservanza formale esteriore – con il più grande rispetto per il loro sentire interiore – che non dispone quasi mai a proposte di momenti di formazione o di celebrazioni che esulino da quelle prescritte. Di questa lunga schiera fanno parte tanti che in qualche modo tengono alla pratica religiosa nei quali sono sempre vissuti e perciò chiedono i sacramenti, dal battesimo all’Eucaristia, alla cresima, al matrimonio, fino alla celebrazione delle esequie. Talvolta può non essere facile capirsi con questi fedeli, che costituiscono ancora la presenza numerica maggiore nelle nostre parrocchie, con la varietà di tipologie e di qualità che si possono rilevare.

Quale sia l’atteggiamento da assumere e l’iniziativa da prendere con questi fedeli non è questione che possa essere risolta in poche battute in questa sede. C’è però una cosa che la preghiera suggerisce e anzi chiede, e che potrebbe risultare la più importante. Uno stile di preghiera, quando caratterizza il tono e l’alone emotivo e spirituale insieme di una comunità parrocchiale, è in grado di parlare e di toccare le persone ben più di molte parole e di molte indicazioni e ingiunzioni che giustamente sentiamo di dover dare per un ordinato svolgimento della vita di una parrocchia. Ciò che vale per noi vale anche per questi altri: se non si tocca il cuore, non cambia nulla. E il cuore che per primo deve cambiare è il nostro, che deve ammorbidirsi fino a renderci pasta nelle mani del Creatore, Redentore e Salvatore. Tutto questo può essere frutto solo della preghiera, non certo ridotta ad attività produttiva da cui ottenere risultati programmabili e quantificabili, ma vissuta nella sua verità di fede, di amore, di speranza. Le nostre attività e soprattutto le nostre celebrazioni dovrebbero esprimere e far percepire ciò che solo la preghiera è in grado di creare e far crescere.

Lo stesso vale, anche se in maniera diversa, nei confronti di quanti si accostano alla Chiesa – o spesso solo attendono – per la prima volta alla ricerca di qualcosa che essi stessi non sanno definire. La cosa peggiore che può succedere loro è sentirsi classificati e inquadrati in schemi, magari religiosamente inappuntabili, che non solo sono troppo rigidi per loro ma che, al momento, nulla hanno a che fare con quanto essi sentono e cercano. Hanno bisogno di essere ascoltati, capiti, accompagnati. E questo possiamo farlo e dobbiamo imparare a farlo tutti, ministri ordinati e fedeli laici che condividono la passione pastorale della Chiesa. Ma in tutto questo, e prima ancora, ciò che ha bisogno di trovare chi si avvicini per la prima volta o ritorni dopo tanto tempo, è trovare una comunità che ci crede davvero a quello che fa, e lo esprime in un ritmo e in uno stile di preghiera che avvolge e plasma ogni presenza e ogni iniziativa. Non sempre è facile comporre tutto, ma vedere con chiarezza ciò che è necessario può salvare dal far perdere a noi e ad altri occasioni di grazia che potrebbero non tornare più.

Preghiera e politica

La formula che mette insieme preghiera e politica può risultare stridente e disturbante, poiché siamo abituati a pensare le due cose radicalmente estranee l’una all’altra e incomponibili (e per molti versi in effetti lo sono). Ciò che però tale accostamento dice senza mezzi termini è, come abbiamo più volte richiamato, che la fede, e quindi la preghiera che la esprime, non sono fuori dalla vita, dalla società, dal mondo. Non si crede per astrarsi dalla storia ma per assumerla e farsene carico. Il Figlio di Dio non si è fatto uomo per finta o in apparenza, non ha coltivato una spiritualità e una preghiera fuori dal mondo, ma ha impastato, per così dire, la divinità con la storia degli uomini e delle donne, con i loro problemi e i loro successi, con le loro scelte e i loro errori, mettendo tutto in relazione con Dio perché la vita donata dal Creatore ritrovasse il suo splendore originario o almeno la possibilità di essere riscattata e salvata.

Il credente discepolo di Gesù è uno che sente e coltiva una passione per il bene e la vita dell’umanità intera, a cominciare dai più vicini e, tra di essi, da quelli che si trovano in difficoltà, che fanno più fatica, che patiscono le ingiustizie degli uomini e le ingiurie delle malattie e delle avversità. Per questo quando egli prega, non si rende o, se lo è stato, non rimane avulso dai drammi dell’umanità vicina e lontana, e nemmeno dai suoi progetti e dalle sue speranze. Porta tutto dentro la sua preghiera, perché se crede davvero, sa che i drammi, le fatiche, le speranze del mondo intero toccano e trovano posto innanzitutto nel cuore di Dio. Il credente questo lo sa e non si sogna di chiudersi al cuore di Dio, perché sarebbe un affronto e un tradimento, ma con la preghiera lo fa suo e implora quel bene che il Padre vuole per tutti i suoi figli, nessuno escluso, arrivando a trasformare la sua preghiera in molla per agire, nei modi e nei tempi che sono consoni a ciascuno. La preghiera è luce e guida anche nell’esercizio della responsabilità civica e nell’impegno sociale e politico per il bene comune.

La Chiesa, una famiglia unita

Il sogno e la richiesta di Gesù nella passione – ancora una volta, sino alla fine, in dialogo con il Padre – sono che i suoi discepoli siano una cosa sola con lui e tra di loro, come lui lo è con il Padre (cf. Gv 17,1-26). La preghiera per l’unità – non quella prodotta da imposizioni di sorta, ma dalla convergenza amorevole guidata dallo Spirito che crea concordia – raccoglie e compone tutto, oltre le naturali e legittime differenze, nella ricerca di un bene e di una verità più grandi di quelli che ciascuno può raggiungere da solo. La Chiesa ha il mandato di crescere come famiglia unita, e l’anima di quel mandato è la preghiera, perché solo così può diventare una Chiesa più viva e ardente, più lucida e presente, più attenta alla crescita del bene comune nella società e nel mondo, più segno di una presenza altra e più alta per tutti, quella che Cristo Gesù ci ha consegnato nel testamento del suo amore e nel dono di sé sulla croce. In essa troviamo anche noi la gloria di Risorto che agisce nelle nostre persone di credenti e nella storia di uomini e donne che oscuramente anelano con noi a immergersi nella luce e nell’ardore dell’eterno amore.

Latina, 14 febbraio 2024, Mercoledì delle Ceneri