Questa mattina si è tenuto il consueto incontro mensile di formazione permanente per il clero. Di particolare attualità l’argomento affrontato, che si riferisce alle condizioni di lavoro nel settore agricolo specie nel territorio pontino, che vede parecchie inchieste contro il caporalato in agricoltura, fino ad arrivare al caso di cronaca di giugno scorso, con la morte di Satnam Singh nelle campagne alle porte di Latina.
Come aveva già spiegato il vescovo Mariano Crociata, ora è ancora più pressante la necessità di andare oltre il mero aspetto dell’aiuto materiale, già portato avanti dalla Caritas diocesana, per mettere al centro delle attività la formazione delle coscienze su questo grave fenomeno, in particolare interrogarsi per i preti e i diaconi sulle implicazioni pastorali quando si affrontano questi argomenti.
Per questo motivo, oggi è stato chiamato a intervenire don Bruno Bignami, Direttore dell’Ufficio nazionale per i Problemi sociali e il lavoro della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il quale ha relazionato sul tema “La pastorale sociale di fronte allo sfruttamento del lavoro”. Nella sua relazione Bignami, oltre ai “numeri” sullo sfruttamento nel lavoro, ha rimarcato che per un parroco, ma per un credente in generale, la prima dimensione da considerare è quella morale e parla di strutture di peccato che «sono frutto di omissione di responsabilità, di avidità che calpesta la ricerca del bene comune e legittima l’ingiustizia».
Più nel dettaglio, ha affrontato anche i problemi che pone il caporalato dal punto di vista etico e umano, con almeno tre aspetti da non trascurare. Bignami li spiega nel dettaglio: «Il primo è la visione strumentale della persona e il primato degli interessi particolari. La dignità della persona è calpestata in nome dell’esclusivo profitto. Il secondo aspetto è l’impatto economico dello sfruttamento lavorativo. Talvolta dovremmo chiederci chi paga la differenza dei prodotti agricoli venduti sottocosto nei supermercati e nelle grandi catene della distribuzione. Il terzo aspetto è l’illegalità, che favorisce un degrado sociale diffuso. L’illegalità porta ad annebbiare la moralità sociale e a pensare che in fondo fare il furbo paga abbondantemente».
Principi, quelli enunciati da don Bignami, che devono tradursi in scelte pastorali concrete e sensate che devono tendere a riaffermare la legalità e a favorire la formazione delle coscienze. «Non possiamo rinunciare al compito di denuncia. Le forme di corruzione e sfruttamento dei poveri e dei lavoratori hanno impoverito i terreni (le terre dei fuochi sono molteplici!) e hanno impoverito la qualità dei rapporti sociali», ha precisato don Bignami che ha elencato altre ipotesi di azione, «poi, possiamo promuovere un’azione preventiva che coinvolga le istituzioni locali, le agenzie educative, soprattutto le scuole, i sindacati e le associazioni di categoria. Si evitino fughe solitarie e isolate, protagonismi da prima pagina, ma si cerchi di creare condivisione e buone alleanze che siano generative sul territorio. Ancora, impariamo a saper raccontare le buone pratiche presenti sul territorio, farle diventare narrazioni di vita cristiana. Sul versante opposto, si eviti con accuratezza ogni forma di sostegno (offerte, sponsorizzazioni…) alle strutture o alle attività diocesane o parrocchiali da aziende che sottostanno al cappello della morte: caporalato, mafia, massoneria, illegalità. Tenersi le mani libere e non essere comprati è dono straordinario».
Da ultimo, l’aspetto importante per i parroci: «Non possiamo rinunciare al ruolo di formatori delle coscienze, a partire dall’educazione agli stili di vita». Pe restare con i piedi per terra, «quanto sarebbe importante la testimonianza di parrocchie che per la festa patronale offrono prodotti a chilometro zero a sostegno del lavoro giusto», ha concluso don Bruno Bignami ricordando anche che «se la Chiesa fa la chiesa, è antivirus per lo sfruttamento del lavoro. Un calcio all’ingiustizia».