I religiosi nella Chiesa locale. La comunione reciproca via che rende possibile la fede e l’incontro con Dio

Il tema dei religiosi nella Chiesa locale è stato trattato dal vescovo Mariano Crociata al corso di formazione per superiori generali, tenuto domenica 11 gennaio a Roma, e promosso dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica (CIVCSVA), diretta dal Prefetto cardinal João Braz de Aviz. Un argomento di stringente attualità visto che il 2015 è stato dichiarato da papa Francesco «Anno della Vita consacrata», una decisione che ha riportato ancor più l’attenzione verso questo mondo così particolare della Chiesa, rappresentato da uomini e donne che scelgono in modo speciale di vivere i consigli evangelici. Cioè vivere in castità, obbedienza e povertà per essere più intimamente uniti a Cristo, allo stesso tempo essere anche un segno profetico dell’eternità nella finitezza del mondo attuale. 

Necessità della vita consacrata. Il ruolo svolto dai religiosi a livello apostolico e pastorale è “toccato con mano” da ciascuno: catechismo, cappellani in vari settori, le scuole, la carità, solo per citare i più conosciuti. Tuttavia, questo grande impegno viene svolto in contesti territoriali ben definiti e precisi, come le diocesi fino a scendere nelle singole parrocchie, con diversi risultati e situazioni che riportano a interrogarsi sempre sul quale sia il rapporto tra i religiosi e la Chiesa locale al giorno d’oggi. Intanto, in via preliminare mons. Crociata ha ricordato che «si deve perciò dire, con il magistero della Chiesa, che la vita consacrata è necessaria alla vita e alla santità della Chiesa». Un’affermazione giunta dopo aver ricordato l’evoluzione del pensiero sulla vita consacrata negli studi di ecclesiologia e nei documenti del Concilio Vaticano II, come la Lumen Gentium (44) in cui si esplicita la natura della vita religiosa presentando il tema della «consacrazione» nella sua dimensione ecclesiale e apostolica, sottolinea il ruolo di segno assunto dalla vita religiosa e il suo inerire al momento carismatico della Chiesa più che alla sua struttura gerarchica.  

In diocesi come in famiglia. Per una attenta analisi non va dimenticato il documento Mutuae relationes, del 1978, ricordato dal vescovo Crociata come «espressione dell’esigenza diffusamente avvertita di dare forma ai rapporti che l’insegnamento conciliare e l’esperienza successiva avevano fatto emergere come compito corrispondente alla nuova coscienza della Chiesa e degli istituti religiosi. Perciò afferma: “I religiosi […] anche se appartengono a un istituto di diritto pontificio, devono sentirsi partecipi della “famiglia diocesana” e assumersi l’impegno del necessario adattamento”. Viene naturalmente indicata l’esigenza di sottomissione dei religiosi ai vescovi e, di converso, il compito di promozione e di vigilanza da parte di questi ultimi nei confronti della vita religiosa. Anche l’inserimento nell’opera evangelizzatrice della Chiesa è, allo stesso tempo, impegno dei religiosi e responsabilità dei vescovi».

Alleanza tra vescovi e consacrati. Per entrare più nel dettaglio dell’argomento, nella sua relazione monsignor Mariano Crociata circa la Chiesa locale e il suo Ordinario ha ricordato che «i vescovi trovano nei consacrati alleati preziosi perché la pianificazione pastorale delle diocesi non sia tentata dall’uniformità e si eviti ogni involuzione localistica. Fatto salvo il criterio dell’unità della fede, la Chiesa locale è essa stessa interessata a valorizzare e promuovere i doni di tutti e di ciascuno per la migliore realizzazione della cattolicità». Su queste basi è evidente che esista un complesso meccanismo di diritti e doveri reciproci tra vita religiosa e Chiesa locale, che tra l’altro si fonda sul «riconoscimento della rispettiva identità teologica». Cosa implichi in termini pratici, seppur in linea generale, il vescovo Mariano lo ha spiegato chiaramente: «Si deve dire che alla vita religiosa non può essere chiesto di modificare i connotati costitutivi della sua regola e del suo stile, nemmeno per motivi di ordine pastorale. All’opposto, la Chiesa locale non può accettare di vedere affermarsi zone franche di azione pastorale impermeabili alla sua responsabilità di coordinamento diocesano o parrocchiale, poiché in tal caso si introdurrebbero lacerazioni e contraddizioni nel tessuto ecclesiale».

Religioso e presbitero. Non è mancato un accenno all’evoluzione storica della vita religiosa maschile che ha reso comune oggi la figura del religioso che sia allo stesso tempo anche sacerdote. Un dualismo che può portare alla difficoltà di comporre «esigenze diverse che ricadono sulla stessa persona». Basti pensare solo al fatto che un sacerdote per sua natura si colloca solo in quel soggetto ecclesiale che è il presbiterio attorno al vescovo. «La regolamentazione di tale esercizio si intreccia con le esigenze e la regola della vita religiosa, ma in modo tale che non venga mai meno la comunione nel presbiterio con il vescovo quando è in gioco il servizio pastorale di un presbitero religioso», ha spiegato con chiarezza monsignor Crociata. 

Apostolato e pastorale. Un altro ambito di grande fecondità che può al tempo stesso generare criticità come «forzature e confusioni» è quello dell’attività apostolica e del servizio pastorale. «Confusioni sono quelle che si producono quando una attività di competenza propria dell’azione pastorale della comunità ecclesiale – pensiamo alla iniziazione cristiana – venga svolta da religiosi come una libera attività apostolica di annuncio e testimonianza. Del resto anche iniziative di proposta formativa, catechetica, incontri di preghiera e di testimonianza devono collocarsi nel quadro di una vita di Chiesa condivisa in piena comunione. Pertanto forzature sarebbero quelle che si verificano quando, in nome dell’esigenza della unitarietà dell’azione pastorale della Chiesa, venga di fatto mortificata ogni forma di manifestazione e di condivisione della fede e della vita cristiana ispirata dal carisma della famiglia religiosa», ha continuato il vescovo di Latina. 

Le opere. C’è stato spazio anche per affrontare una problermatica di stringente attualità, recentemente d’interesse pure della cronaca giornalistica. «Quella delle opere è senza dubbio la questione che può diventare più spinosa. In essa si mette in gioco lo specifico del carisma di un istituto e, insieme, un investimento di personale e di risorse a volta perfino senza riserve. Ci sono aspetti che vanno con delicatezza lasciati alla competenza esclusiva dell’istituto con i suoi autonomi organi di governo e sotto la responsabilità superiore della Congregazione competente; nondimeno spesso bisogna fare i conti con l’ambiente, con il territorio e con il tessuto ecclesiale in esso insediato. Certamente il rapporto con la Chiesa locale va coltivato nello svolgimento ordinario delle attività proprie di una istituzione religiosa». In questi passaggi monsignor Crociata ha rimarcato la «imprenscidibile esigenza di non smarrire la logica evangelica ed ecclesiale che deve presiedere a tutte le scelte». Altrettanto importante è «non rimanere prigionieri delle vicissitudini legate alle opere, perché il rischio è quello di perdere di vista il senso del carisma e della propria vocazione nella Chiesa».

Il valore della comunione. Tra le considerazioni finali, il vescovo Mariano Crociata ha evidenziato la necessità di recuperare il rapporto tra vita religiosa e Chiesa locale rendendolo “nuovo” e non più solo basato su una «seppur necessaria e puntuale regolamentazione giuridica», come accaduto fino ad oggi. La chiave suggerita da monsignor Crociata è quella di «accogliere come dono e coltivare come compito la comunione della vita religiosa nell’orizzonte della comunità ecclesiale racchiude la condizione fondamentale per l’attuazione di un rapporto autentico e pieno dell’una con l’altra. Espressione dell’impegno sincero a fare comunione è la volontà di conoscenza reciproca e di dedizione all’unica missione della Chiesa, l’annuncio e la testimonianza del Vangelo, nel quale i religiosi e tutti i consacrati ritrovano il momento sorgivo e il senso permanente della loro singolare vocazione e del loro comune carisma di consacrazione». 

Fedeltà e testimonianza della fraternità. Particolarmente significativa anche la conclusione dell’intervento del vescovo Mariano Crociata: «Specialmente un tempo come l’attuale deve vedere convergere l’impegno di tutti, in fedeltà alla propria specifica vocazione, ad adempiere all’unica missione della Chiesa di rendere possibile la fede e l’incontro con Dio». Anche perché «tutto questo deve servire a testimoniare la centralità di Cristo nella vita e nella storia dei credenti come promessa per ogni persona e per l’umanità intera». Senza dimenticare che per la condizione di consacrati la fraternità è «il segno più eloquente della qualità rivelativa della vita religiosa» in rapporto alla sensibilità individualistica dominante nella società attuale.