Due nuovi diaconi per la diocesi pontina: «Chiamati a vivere per il Regno di Dio con la donazione di tutta la nostra vita»

Ieri pomeriggio, solennità di Cristo Re, nella cattedrale di S. Marco a Latina, il vescovo Mariano Crociata ha ordinato diaconi permanenti per la diocesi pontina Angelo Castellucci e Walter Marchetti.
I novelli ordinati sono entrambi coniugati e con figli. Angelo Castellucci, 40 anni, proviene dalla parrocchia di San Francesco d’Assisi di Cisterna. Qui è stato sempre impegnato in vari servizi pastorali, specialmente nell’ambito catechetico. È responsabile tecnico in una multinazionale che opera nel settore sanitario. Walter Marchetti, 61 anni, ufficiale dell’Esercito da poco in congedo per limiti d’età, è di Latina. La sua vocazione diaconale è nata, cresciuta e maturata in ambito salesiano, nella parrocchia di San Marco a Latina. Con loro due il collegio diaconale pontino sarà composto da 23 diaconi, tutti permanenti.

Di seguito l'omelia pronunciata dal vescovo Mariano Crociata:

«Il messaggio racchiuso nell’ordinazione di due nuovi diaconi permanenti interessa, senza timore di esagerare, la vita degli uomini di oggi e interpella tutti noi credenti. Due persone che hanno la loro famiglia e il loro lavoro – e sappiamo quanto queste due dimensioni essenziali dell’esistenza oggi presentino difficoltà aggiuntive e crescenti – avvertono la chiamata del Signore a servire in modo speciale la Chiesa e il popolo cristiano, si affidano al giudizio della Chiesa attraverso la Commissione diaconale e ultimamente il Vescovo e si sottopongono a un percorso di formazione di diversi anni che comporta a sua volta impegni talora anche gravosi, percorso al quale peraltro partecipa attivamente la moglie e, in misura diversa, l’intera la famiglia. Tutto ciò gratuitamente, e anzi onerosamente, al solo scopo di dedicarsi agli altri nello spirito di donazione che Cristo ci ha insegnato e ha per primo perfettamente vissuto. Questo che dico di Angelo e Walter vale anche, pari pari, per ciascuno dei diaconi permanenti e per gli aspiranti che oggi fanno corona agli ordinandi.

Ho voluto esplicitare quanto appena detto, non certo per piaggeria, ma per guardare le cose come stanno e per auspicare che il segno sia colto da noi, dall’intera comunità diocesana e anche al di fuori dei suoi confini. Abbiamo bisogno di raccogliere tale messaggio, perché troppe volte la fede e il senso dell’appartenenza ecclesiale sono tiepidi, non trovano in noi passione, impegno, generosità. Abbiamo tanti doni, ma manchiamo della volontà di metterli a frutto e a disposizione degli altri. L’indolenza, poi, si respira nell’aria al giorno d’oggi; ognuno vuole solo stare tranquillo, non avere grattacapi, passare il tempo senza pensieri. Un simile modo di vivere non può esserci consono. Disponiamo del tempo della vita per portare frutto. Noi credenti dobbiamo avvertire questa urgenza, e quasi la sua necessità, come una responsabilità nei confronti di Dio e degli altri, perché la vita è un dono di cui rendere conto, in ogni suo attimo e in ogni suo respiro. Non voglio certo entrare nel merito dell’età della pensione di cui tanto si discute, ma è bello comunque vedere persone che hanno concluso la loro carriera lavorativa e colgono l’opportunità del nuovo tempo libero per dedicarsi agli altri, certo in primo luogo alla famiglia, ma non solo ad essa. Tanti diaconi si trovano in questa condizione ed è consolante vedere testimoniare che per rispondere al Signore e vivere al suo servizio e al servizio della sua Chiesa non c’è tempo di pensione, come non c’è impedimento a farlo anche nel tempo del lavoro, seppure con ritmi diversi come altrettanti diaconi dimostrano. Si dà il caso che Angelo e Walter rispecchino rispettivamente le due situazioni, del lavoro e della pensione. Per il credente la vita è una militanza, un impegno costante e mirato, che dà gioia a chi rende il servizio prima che a quelli ai quali esso viene reso. Se lo imparassimo tutti un po’ di più, anche la convivenza sarebbe diversa, staremmo tutti un po’ meglio.

Questo messaggio che viene, dunque, dall’ordinazione diaconale di oggi ci parla anche della regalità di Cristo e del cristiano. Perché per Cristo e per i suoi discepoli regnare vuol dire non comandare e spadroneggiare, ma servire. Cristo è re sulla croce e dalla croce, il punto supremo della sua vita di dedizione e di servizio agli altri che si compie, prima di essa, con l’annuncio del Regno e della Parola di Dio, e poi con la preparazione e attuazione del suo avvento. Cristo agisce così perché Dio, innanzitutto, è così. Dio regna servendo, mettendosi a servizio. Egli lo fa già, dall’eternità, nell’intimità della sua vita divina attraverso lo scambio infinito d’amore delle persone divine, per cui nessuna di esse trattiene niente per sé, ma ciascuna dona tutto di sé alle altre in una circolarità d’amore perfettamente reciproca in un crescendo infinito. Dio lo fa anche nel rapporto con le sue creature, come rivela, a suo modo, il profeta Ezechiele nella prima lettura di oggi: il pastore passa in rassegna le pecore, le raduna, le conduce al pascolo, va in cerca di quella perduta e riconduce all’ovile la smarrita, fascia quella ferita, cura quella malata, ha cura della grassa e della forte. Vedete come ci siamo tutti in questa descrizione? E che cosa è servizio se non quello del pastore che in prima persona si prende cura delle sue pecore, cioè di ciascuno di noi? Questo è il modo di agire di Dio. Quando Gesù, allora, compie guarigioni e esorcismi, quando istruisce, corregge e incoraggia, quando soprattutto abbraccia la morte in croce, non fa altro che realizzare umanamente, plasticamente, ciò Dio fa e vuole fare sempre per noi e nei nostri confronti.

Se così è e agisce Lui, anche noi dobbiamo essere e agire allo stesso modo. I diaconi ci sono nella Chiesa per ricordarci tutto questo con la loro sola presenza e con il loro servizio. Ce lo ricordano e ce lo chiedono in modo molto concreto, non attraverso discorsi, come sono tenuto a fare io in questo momento. E nel loro servizio, un aspetto in particolare ha un ruolo preponderante, precisamente quello suggerito dalla pagina di Matteo. In essa sono esemplificate quelle che poi saranno chiamate opere di misericordia corporale, successivamente completate con le opere di misericordia spirituale. Pensate davvero che Gesù volesse dire che sono solo queste le opere da compiere? Sette è un numero simbolico che, partendo da situazioni tipiche e ordinarie di bisogno delle persone più disagiate del suo tempo, come anche del nostro, invita ad avere occhi per vedere le condizioni di disagio che incontriamo. Sette è il numero della pienezza, della completezza; in esse perciò ci sono tutte le situazioni possibili. In questo spirito la Chiesa ha allargato alla dimensione psicologica, intellettuale, morale e spirituale l’ambito dei bisogni da riconoscere e di cui prendersi cura. I diaconi devono trovare in questo settore l’ambito privilegiato del loro servizio, secondo lo spirito del Vangelo e la più antica tradizione della Chiesa, che vedeva affidata ai diaconi la cura dei poveri. Questo, essi lo fanno già in larga misura, ma vogliamo vederlo crescere. Nessun diacono dovrebbe svolgere servizi che escludano del tutto una attenzione a poveri e bisognosi. Perché lì dove c’è realmente carità verso i poveri, lì si manifesta in maniera privilegiata il Regno di Dio e di Cristo. Che Cristo regna lo si vede nel servizio ai poveri («l’avete fatto a me»), perché ad essi giunge la premura di Dio e a partire dagli ultimi tutti impariamo a riconoscere che la vita è un dono e non una maledizione. Ora che Cristo è venuto e regna, cominciando così a regnare per sempre, diventa nostra responsabilità che per qualcuno la vita non sia ancora una grazia ma una maledizione.

Proprio questa duplice, alternativa, possibilità schiude il nostro sguardo all’ultima definitiva dimensione del Regno, e cioè il giudizio. Già il profeta Ezechiele annuncia che il pastore giudicherà fra pecora e pecora, fra montoni e capre. Gesù ripresenterà tutto questo in quella scena sempre impressionante chiamata del giudizio finale o universale. E la differenza in base alla quale avverrà il giudizio preannunciato da Ezechiele sarà il riconoscimento o meno di Gesù proprio nelle persone più indigenti e indifese. Dio regna cercando innanzitutto proprio queste persone, perché sono le più esposte e in pericolo di disperazione e di rifiuto di Lui e della grazia della vita; se essi vengono salvati dalla disperazione e dalla dimenticanza di Lui, allora tutti, compresi quelli che stiamo meglio, potremo essere salvati. Ma perché questo avvenga, bisogna che chi sta bene si dia da fare per recuperare chi sta male. Così comincia a vedersi delineare la presenza del Regno di Dio in mezzo a noi.

La celebrazione di oggi, che arricchisce la nostra Chiesa con due nuovi ministri ordinati nel grado del diaconato, è un segno forte dell’avvento del Regno e una chiamata a vivere per esso con la donazione di tutta la nostra vita».  

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