Omelia S. Messa anniversario Dedicazione della Cattedrale (18/12/2014 – Latina)

18-12-2014

OMELIA

Dedicazione della Cattedrale

Latina, 18 dicembre 2014

+ Mariano Crociata

 

L’anniversario della dedicazione della nostra Cattedrale e della fondazione della nostra città ci raggiunge in un anno pastorale nel corso del quale abbiamo scelto di privilegiare l’ascolto di Dio nella nostra vita di credenti e di cittadini.

La celebrazione della dedicazione viene a ricordarci una verità di fede fondamentale: e cioè, che il nostro radunarci (soprattutto qui, come comunità diocesana attorno al vescovo, ma poi anche in tutte le chiese) ha l’unico scopo di edificare noi stessi giorno per giorno come Chiesa viva di Dio, corpo di Cristo, tempio dello Spirito. La chiesa di pietra esiste per noi, che siamo il vero edificio di Dio (cf. 1Cor 3,9c.11.16-17), non noi per essa. E come noi possiamo crescere e diventare sempre di più edificio di Dio? Tutta quanta la vita della Chiesa è diretta a favorire tale crescita.

Il vangelo ci mette in guardia dal ridurre la casa del Padre a un mercato. Dicendo così Gesù non si riferisce tanto all’attività commerciale che si svolgeva nel tempio di Gerusalemme, quanto alla tendenza a fare della religione un’opera umana e della relazione con Dio un prodotto dell’iniziativa umana. Solo Dio ci rende degni e capaci di comunione con lui; solo lui può purificarci e trasformarci in pietre vive del tempio santo del Cristo risorto. Per questo Gesù nel vangelo (Gv 2,13-22) parla di distruzione e ricostruzione del tempio. È il tempio del suo corpo, spiega l’evangelista, che deve morire e risorgere; è necessario – vuole dire – che egli passi attraverso la morte per risorgere alla vita di Dio. Se questo vale per lui, allora quel tempio che deve essere distrutto e ricostruito siamo anche noi, grazie al mistero pasquale di Cristo. E infatti il sacramento del battesimo ci rende nuovi, ci fa rinascere. E con il battesimo, tutto ciò che alimenta la nostra fede e ci aiuta a vivere da cristiani permette di diventare sempre di più edificio di Dio, luogo della sua presenza.

Questa verità san Paolo la condensa nella formula “sapienza della croce” o, anche, “parola della croce”. In essa si racchiude tutta la rivelazione di Dio e tutta la nostra salvezza. Per essere autenticamente Chiesa abbiamo bisogno di acquisire quella sapienza e ascoltare quella Parola. Ci accorgiamo ancora una volta che l’ascolto credente non è solo questione di parole, ma di vita. Chi ascolta veramente Dio e il suo Verbo, riceve vita, si lascia cambiare la vita. E infatti chi ascolta con il cuore e con tutto se stesso diventa sempre di più dimora di Dio, spazio per la sua santità. Essere Chiesa significa essere santi, interamente votati a Dio e alla sua volontà. Ecco allora la nostra chiamata; ecco il compito che ci viene affidato ancora una volta quest’anno come comunità diocesana: dare ospitalità nella nostra vita alla santità di Dio attraverso l’ascolto della sua Parola.

Ma ascoltare Dio significa anche ascoltare ciò che egli compie e trasmette attraverso le vicende della vita e della storia. Dovremmo imparare a porci in ascolto di ciò che accade nel mondo di oggi, per chiederci che cosa Dio vuole da noi. In questo anniversario della fondazione di Latina, tante domande salgono alla nostra coscienza di credenti e di cittadini. Una di queste ci fa chiedere: dove batte il cuore di questa città? Avvertiamo che essa è ancora molto frammentata per poter giungere alla coscienza di una unità anche solo elementare. Essa può vantare tante ricchezze, tante potenzialità, ma ancora lontane dall’essere raccolte da una comunità concorde, volta a costruire un progetto condiviso. Non se ne può fare sbrigativamente colpa a qualcuno, perché troppo breve è la sua storia. Ma si deve interpellare la responsabilità di tutti affinché il cammino verso la costruzione di un tale progetto sia intrapreso da tutti. Forse non è del tutto infondata la sensazione che, insieme a tanta laboriosità e impegno, ci sia qualcuno che opera in senso contrario, che rema contro l’edificazione di una città più umana e più giusta. C’è un compito di vigilanza e c’è un dovere e un impegno per costruire una comunità solidale a misura umana; compiti e impegni che non toccano solo le istituzioni e quanti vi operano, ma esigono una risposta coerente da parte di tutti i cittadini. Abbiamo tutti un diritto-dovere civico di custodia e di sorveglianza, di essere sentinelle della città. Molta responsabilità nei confronti di come vanno le cose, non solo nel male ma anche nel bene, ricadono sull’intera società civile. Dobbiamo aiutarci a prendere coscienza di tale responsabilità.

Quanto a noi credenti, siamo consapevoli che la nostra responsabilità è, se possibile, ancora maggiore, perché a chi è stato dato di più sarà chiesto di più. E noi abbiamo avuto una grazia speciale di fede, di Parola di Dio e di dono dello Spirito per la vita cristiana. Proprio in riferimento a questo, la prima lettura (Ez 47,1-2.8-9.12) ci offre un’indicazione significativa. Dice infatti che dal lato destro del tempio esce un fiume di acqua viva che feconda il terreno arido rendendolo fertile e risana le acque nelle quali si riversa. Non dovremmo essere noi cristiani, con la nostra presenza e con la nostra testimonianza, quest’acqua viva che feconda e risana tutto ciò che incontra in questa nostra città e nell’intera società? Eppure tante volte non sembra che questo si verifichi. Dobbiamo perciò chiederci che cristiani siamo, per aiutare tutti a domandarsi che cittadini vogliamo essere.  

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