Omelia per la Solennità del Corpus Domini

Latina, cattedrale di San Marco, 22 giugno 2014
12-09-2014

Tutti insieme – Vescovo, presbiteri, diaconi, consacrati e fedeli laici – ci ritroviamo oggi per vivere, testimoniare e annunciare il mistero che sta al cuore della nostra esperienza di fede e di Chiesa. Il carattere cittadino della sua convocazione non attenua la pienezza di questa celebrazione, anche perché in comunione con noi in tutti i centri della diocesi ha luogo oggi il medesimo evento. In questo ritrovarci, ci è chiesto di accrescere la consapevolezza e la fede nel sacramento dell’Eucaristia, attorno al quale quotidianamente si edifica la Chiesa. Siamo qui a dirci l’un l’altro, e a ricordarlo a tutti, che ogni volta che una comunità o un gruppo, sia pur piccolo, celebra questo supremo sacramento, è unito con tutta la Chiesa, come in questo momento e come nei momenti dell’anno liturgico in cui l’assemblea eucaristica diocesana si raccoglie al completo. Non si comincia, dunque, dalle singole celebrazioni quotidiane e domenicali tenute nelle tante chiese della diocesi; all’origine stanno le celebrazioni diocesane e, comunque, quelle con il Vescovo; in esse si riscontra la celebrazione principe, il modello, l’esemplare di riferimento, in cui la Chiesa è pienamente se stessa. A questa piena e compiuta celebrazione rimandano e con essa dichiarano di essere in comunione tutte le altre celebrazioni che si svolgono nei luoghi deputati a tale scopo. Queste ultime manifestano che il mistero della comunione sacramentale raggiunge effettivamente tutti, non esclude nessuno, non è lontano da nessuno; ma la comunione sacramentale è tale in quanto riconduce all’unica Chiesa attorno al Vescovo tutti gli atti ecclesiali, a cominciare da quello eucaristico.

Qui vediamo che cosa significhi l’unico pane e l’unico calice: tutti mangiamo il pane, ma il pane che mangiamo è uno solo, Cristo Signore. Di Lui, unico nostro Redentore e Salvatore, è sacramento il pane consacrato dal Vescovo insieme al suo presbiterio, con il servizio dei diaconi e la partecipazione di tutti i fedeli. E il pane consacrato da ogni sacerdote non solo è identico, ma è sempre l’unico pane consacrato dal Vescovo insieme al suo presbiterio. Dobbiamo educarci a questa coscienza della centralità della celebrazione episcopale e assembleare diocesana come punto di riferimento e di attrazione, termine di convergenza e di tensione unitaria di tutte le celebrazioni, vero evento ordinario rispetto a tutti gli altri eventi, da qualificare come straordinari in quanto disseminazione, espansione e riverbero dell’unica Eucaristia. Dobbiamo adoperarci per destituire di ogni aspetto di privatezza, di esclusività, di isolamento le nostre celebrazioni feriali e festive compiute in tutti i luoghi in cui vivono le nostre comunità, per fare spazio all’attuazione della Chiesa nella sua interezza e totalità, nella quale inabita l’integra presenza del suo Signore.

Questo avverrà se, come vuole farci sperimentare e ricordare questa festa, il Signore Gesù Cristo, compiutamente presente nella Chiesa particolare, diventerà sempre più il centro spirituale del nostro agire celebrativo e della nostra vita di fede. Mangiare la carne di Gesù significa certo ricevere l’Eucaristia; ma ricevere l’Eucaristia sta al culmine di un cammino di accoglienza integrale della persona, della presenza, della parola, della volontà di Gesù stesso; aderire a Lui e farsi trasformare da Lui e in Lui: questo è il senso e il frutto dell’Eucaristia. Possiamo essere certi che quando l’agire e il vivere ecclesiali si attuano nella loro integrità, la conformazione a Cristo e l’immedesimazione con Lui si compiono realmente.

Da questa formidabile unità sacramentale ed ecclesiale attorno all’unico pane, che è ultimamente la persona stessa di Cristo Gesù, discende una vitalità che rianima tutte le dimensioni dell’esistenza personale e comunitaria. Si tratta di una vitalità che plasma anche l’orientamento del nostro pensare e del nostro agire, i quali vengono educati a prendere la forma e lo stile di Gesù, di donazione, di sacrificio di sé, di servizio per amore. Di qui allora le domande: in che modo l’Eucaristia modella la mia vita personale sull’esempio di Gesù? In che modo l’impostazione del nostro agire pastorale, come diocesi e come comunità parrocchiali, porta l’impronta dello stile eucaristico? In che modo la nostra presenza sociale e pubblica trova ispirazione, spinta, obiettivi nella celebrazione sacramentale della cena del Signore? Se queste domande non trovano risonanza in noi e almeno un inizio di risposta, vuol dire che le nostre Messe non raggiugono il loro bersaglio, non compiono ciò per cui ci vengono chieste e donate.

La celebrazione che stiamo compiendo ci dia luce e forza, anche grazie alla preghiera di lode, di adorazione e di meditazione che ci accompagnerà durante la processione, perché le nostre Eucaristie diventino effettivamente per noi ciò che di per se stesse sempre sono, e cioè sorgente inesauribile di fede, di amore, di speranza nella comunione indefettibile del Signore dentro l’esistenza personale, a volte faticosa e drammatica, e dentro la travagliata storia degli uomini e delle donne di oggi, principio di trasformazione e di rinnovamento delle coscienze e dei comportamenti.

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