Omelia per l’Accolitato di Walter Marchetti

Latina, chiesa del Sacro Cuore, 21 giugno 2014
12-09-2014

Felice coincidenza quella di oggi, che vede l’istituzione di Walter Marchetti come accolito della nostra diocesi nel giorno in cui la Chiesa celebra la solennità del SS. Corpo e Sangue del Signore. Il ministero che egli riceve nasce dall’attrazione che il sacramento per eccellenza esercita su tutto il corpo ecclesiale. Come ministero laicale, infatti, l’accolitato fa ulteriormente risaltare la centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa; al suo servizio anche i laici si pongono, accompagnando il ministero del sacerdote e del diacono. Si rallegra, dunque, in modo particolare il corpo dei diaconi permanenti, di cui Walter si prepara a diventare parte, ma è tutta la Chiesa a gioire per la cura accresciuta di cui viene circondato il sacramento eucaristico.

Il conferimento di questo ministero deve ricordare a presbiteri e diaconi che non è mai abbastanza preparata e attenta la nostra partecipazione alla celebrazione eucaristica; e deve richiamare tutti i fedeli ad amare l’Eucaristia al di sopra di tutte le forme di celebrazione, di preghiera, di devozione. A Walter in modo particolare voglio dire che il suo servizio all’altare deve vivere allo stesso tempo di diligente cura del rito e di intenso culto interiore, nella preghiera personale, nell’adorazione, nell’aiuto che gli altri fedeli attendono per una partecipazione sempre più fruttuosa al mistero dell’altare, nel sostegno ai poveri, che sono il prolungamento nella carne sofferente dell’umanità del corpo crocifisso del Signore.

Il punto principale di questa celebrazione è l’incontro con Gesù nell’Eucaristia e la sua richiesta di diventare presenza trasformante delle nostre persone e anima della nostra intera esistenza. Un culto diligentemente svolto in termini rituali è tanto più vero, e quindi spiritualmente efficace, quanto più si riverbera nella vita ordinaria quotidiana. Come Gesù ha voluto lasciare il segno indelebile del suo amore consumato sulla croce nel sacramento del pane e del vino, così anche noi siamo chiamati a diventare offerta viva insieme a Lui con le nostre persone e nelle vicende dell’esistenza, proprio grazie alla celebrazione che plasma la nostra personalità conformandola sempre di più a quella di Cristo.

Con questi sentimenti di gratitudine e di responsabilità grande verso il culmine dei doni che il Signore ci elargisce, accogliamo l’invito che ci viene dalla Parola attraverso la Scrittura per penetrare e vivere ancora più intensamente il mistero che celebriamo. La pagina di Deuteronomio insiste sul ricordare e sul non dimenticare. Che cosa dobbiamo sempre avere presente? Semplicemente la premura con cui il Signore ha guidato il cammino della nostra vita. L’Eucaristia è il punto culminante dell’amore con cui il Signore ci ha sostenuto nel corso della nostra storia. Non ci ha fatto mai mancare il nutrimento e il sostentamento materiale, e non ci ha fatto mancare nemmeno l’altro nutrimento senza il quale rischiamo di non avere più le forze per andare avanti, e cioè la sua Parola. Non viviamo di solo pane ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio, perché dell’uno e dell’altra c’è bisogno per camminare, della forza del nutrimento e della luce della Parola, il nutrimento per fare un passo dopo l’altro, la luce per vedere dove mettere i piedi. Ma se non riconosciamo che questo ci è accaduto già, sarà difficile accettarlo come possibilità e compito dinanzi a noi. Per celebrare l’Eucaristia abbiamo bisogno di memoria, di coscienza di quanto il Signore ha fatto per noi, soprattutto nei momenti più difficili, quando Egli sembrava lontano se non assente. Il nostro ritrovarci qui è il segno che Egli non ci ha mai persi di vista, non si è dimenticato di noi in nessun momento. Siamo noi che abbiamo bisogno di ricordarci di Lui. Celebrare tiene desta la nostra memoria e la coscienza della nostra storia e della nostra condizione dinanzi a Dio.

San Paolo ai Corinzi ci fa cogliere un altro aspetto straordinario del mistero che celebriamo. È Lui, il Signore risorto che si fa cibo per noi nell’Eucaristia, a creare unità, a renderci un solo corpo. È un fatto sacramentale quello che sperimentiamo, ma è anche una responsabilità grande quella che assumiamo. Senza il fatto non v’è capacità di responsabilità, ma senza un impegno responsabile il sacramento viene contraddetto e vanificato. Solo l’unico Signore che tutti mangiamo crea unità tra di noi, ma questo non senza di noi. Dobbiamo far nostro ciò che riceviamo, dobbiamo scegliere ciò che ci viene donato, dobbiamo abbracciare come interamente voluta da noi la comunione che solo il Signore con il suo corpo è in grado di creare.

Infine tutto si condensa nella necessità di mangiare. È l’atto umano più comune e necessario: nutrirsi per vivere. La crudezza di questo brano evangelico che porta gli astanti a chiedersi come possa Gesù dare la sua carne da mangiare dice la difficoltà ma anche la necessità di ciò che annuncia. E ciò che annuncia è che noi abbiamo bisogno di Dio come del pane. Come non possiamo vivere senza nutrirci, così non possiamo vivere senza Dio. Gesù non è venuto solo a insegnarcelo e a ricordarcelo, ma a realizzarlo, poiché Lui in persona è la Parola di Dio di cui abbiamo bisogno come del pane, e ascoltarLo e mangiarLo sono necessari e indivisibili. Accogliere la Sua persona, ascoltare la Sua parola, mangiare il Suo corpo sacramentale sono un unico atto di fede e di comunione, con Lui e con Dio. Ormai riconosciamo che questo è il solo modo per essere vivi, di quella vita che è eterna perché anticipatamente è già nell’essenza quella di Dio.

L’augurio che facciamo a Walter e la preghiera per lui si racchiudono nel sacramento che celebriamo: il Signore accolga la sua disponibilità, lo sostenga nel servizio ecclesiale, lo ricolmi dei suoi doni e lo renda sempre più conforme al mistero a cui è stato ammesso.

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