L’avvio delle celebrazioni per la ricorrenza del centocinquantesimo anniversario di rifondazione dell’abbazia di Valvisciolo, con il ritorno dei monaci cistercensi per iniziativa del beato Pio IX, ci vede radunati in questo suggestivo edificio sacro per rinnovare nell’Eucaristia l’esperienza del nostro essere Chiesa e ritrovare le ragioni della nostra fede e del nostro servizio ecclesiale. È motivo di consolazione e di incoraggiamento per un vescovo annoverare nella propria Chiesa particolare un monumento storico, artistico e religioso di così straordinario valore come questa abbazia, ma lo è ancora di più poter contare su una comunità monastica come quella dei circestensi, che da secoli e, in ultimo, per un secolo e mezzo ha ininterrottamente testimoniato il primato di Dio in questa terra e ha sostenuto il cammino della Chiesa con il servizio al popolo cristiano che vive nelle nostre comunità.
Un anniversario fa volgere lo sguardo al passato, per tenere desta la memoria del servizio e della laboriosità, della preghiera e della spiritualità, della vita fraterna e della fedeltà alla loro vocazione dei tanti monaci che si sono succeduti in un lasso di tempo così lungo. Lo sguardo rivolto al passato, però, non deve indugiare su di esso in atteggiamento di fatuo autocompiacimento, bensì cercare le radici e attingere in profondità la linfa di un carisma e di una tradizione che hanno plasmato la storia, e ora chiedono di alimentare il presente e preparare un futuro in cui non manchino frutti di santità e di cultura cristiana. Voler celebrare un anniversario esprime il rinnovato proposito di fedeltà alla chiamata del Signore.
Dobbiamo, perciò, innanzitutto ringraziarlo, il Signore, per la presenza dei monaci cistercensi nella nostra terra e nella nostra diocesi; ma dobbiamo ringraziare anche gli stessi monaci che attualmente vivono questo luogo, come pure tutti quelli che li hanno preceduti, per il bene con cui hanno fecondato il cammino di santità della nostra Chiesa.
Questa celebrazione ci dice che tutto prende senso adeguato nel sacramento supremo della nostra fede, nel quale si rinnova il sacrificio di Cristo redentore e la gioia della comunione con Dio viene ridonata per rifluire in una rigenerata fraternità, in un senso nuovo delle relazioni e in una solidarietà sempre più inclusiva. L’Eucaristia è stata il centro delle giornate e della vita dei monaci, il momento di massimo splendore manifestato quotidianamente da questo luogo per quanti lo hanno frequentato, anche nelle giornate più bigie e monotone. Aprire l’anno anniversario con questa celebrazione deve esprimere il desiderio e il proposito di ritrovare proprio nel sacramento dell’altare il senso della storia, l’impegno del presente, il desiderio di futuro.
Lasciando risuonare le letture di questa domenica, vogliamo sottolineare come l’assiduità di ogni comunità ecclesiale alla celebrazione eucaristica è il segno e la grazia in cui si ravviva la certezza di essere seguiti e sostenuti senza posa da un Padre amorevole e provvidente. Un Dio che si dona nel Figlio con il sacramento eucaristico, non potrà far mancare nulla ai suoi figli che incessantemente lo invocano e rinnovano una fiducia incondizionata in Lui. Egli, con le parole del profeta Isaia (49,14-15), ha promesso che non si dimenticherà mai di noi. L’assidua fedele presenza monastica è come un annuncio quotidiano che si irradia da questo luogo verso distanze illimitate, per ricordare a ogni creatura, soprattutto se in affanno o in pena, che Dio non si dimentica mai dei suoi figli, e che non abbiamo motivo di preoccuparci oltremisura o, peggio, di disperarci.
In realtà è grande la tentazione di entrare nella confusione spirituale e psicologica di chi si sente smarrito e si vede perduto per le difficoltà materiali che è costretto a soffrire di questi tempi. Non faremo la predica facile, come ci ammonisce san Giacomo quando invita a non lasciar andare con belle parole chi ti chiede un pezzo di pane (cf. Gc 2,15-16); ci ricorderemo, invece, che, per molte persone, la provvidenza di Dio ha bisogno della nostra collaborazione, perché i suoi segni incoraggianti e rassicuranti raggiungano efficacemente chi non sa come fare per andare avanti. La solidarietà che nasce dalla carità è il sacramento vissuto della provvidenza di Dio.
Ma dobbiamo imparare tutti, chi sta bene e chi è nell’indigenza, a non diventare schiavi delle preoccupazioni per la sicurezza materiale. Non è la quantità di beni che darà mai senso di sicurezza, ma solo la serenità e la libertà di un cuore pieno di fede, che si abbandona in Dio perché incondizionatamente certo di essere amato da Lui: «Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (cf. Mt 6,24-34).
Questo luogo e la comunità che la abita diventino ancora di più punto di irradiazione di una nuova sapienza di vita che scaturisce dalla fede in Cristo Signore. E anche noi, che ci uniamo alla gioia della comunità monastica, impariamo quella sapienza che Gesù comunica e, poi, richiede a tutti i suoi discepoli: «Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena». Il passato va rivisitato per ringraziare e fare penitenza, e comunque affidato alla misericordia di Dio; il futuro non lo conosciamo, ma lo attendiamo dalle mani di Dio. Il presente è ciò di cui disponiamo; ma, in esso, l’unico nostro potere risiede nella fede, cioè nella fiducia che Dio è Padre e ha cura di tutti i suoi figli. In questo presente vogliamo tornare a impegnarci con tutto di noi stessi e usare del tempo e delle possibilità che ci sono date per essere trovati, in ogni momento, «servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (cf. 1Cor 4,1-5).
Omelia per l’inizio delle celebrazioni per il 150° anniversario di rifondazione di Valvisciolo
Sermoneta, abbazia di Valvisciolo, 2 marzo 2014
16-06-2014