Omelia per l’apertura diocesana del Sinodo dei Vescovi e del Cammino sinodale delle Chiese in Italia (17/10/2021, Cattedrale di S. Marco, Latina)

17-10-2021

Cattedrale, domenica 17 ottobre 2021 XXIX TO B

Apertura diocesana

del Sinodo mondiale dei Vescovi

e del Cammino sinodale delle Chiese in Italia

+ Mariano Crociata

La celebrazione eucaristica è sempre l’inizio, oltre che il culmine, sacramentale di ogni Sinodo e di ogni Cammino sinodale. Proprio per questo non solo oggi celebriamo, ma ci lasciamo guidare dall’Eucaristia e dalla Parola scritturistica proclamata. Questa ci dà modo di ritrovare il senso del nostro essere cristiani e del nostro essere Chiesa in cammino, come dice la parola sinodo. Ogni Sinodo e ogni Cammino sinodale non ha altro scopo che quello di far ritrovare e rendere più splendente la bellezza della fede riflessa sul volto della Chiesa.

«Tra voi però non è così», dice Gesù, ponendo, come altre volte, una netta contrapposizione rispetto alla logica del mondo, secondo la quale è normale mettersi in mostra, cercare i primi posti, conquistare potere, diventare grandi. Anche per noi Gesù desidera che diventiamo grandi, ma rivela che i veri grandi non sono quelli che lo fanno affermando se stessi, bensì solo quelli che sono riconosciuti e resi tali da Dio, coloro che lo sono secondo Dio. E come si è grandi secondo Dio? Seguendo l’esempio di Gesù e mettendosi a servizio degli altri, cioè cercando con tutto il cuore il bene degli altri. San Paolo, che ha capito profondamente lo stile di Gesù, lo esprime a sua volta, ad esempio nell’inno della lettera ai Filippesi, che introduce dicendo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso» (Fil 2,3). E poi: «Nessuno cerchi il proprio interesse, ma quello degli altri» (1Cor 10, 24); o anche: «mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,13).

La ragione di tutto questo sta semplicemente in Gesù e in Dio. Quando egli dice: «il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45), vuole dire che il peso e il senso di ciò che dice, che poi compirà sulla croce, dipendono dal suo essere “venuto”. Venuto da dove? Ma da Dio. Ciò che egli dice del servizio rivela innanzitutto il modo di essere di Dio. Ogni persona divina è “per” l’altra, totalmente, si consuma per essa, in un dono d’amore senza riserve e senza limiti. Come uomo (“Figlio dell’uomo”) Gesù prolunga l’agire del Figlio eterno in rapporto al Padre, ridonandosi totalmente a Lui che l’ha generato. Il servizio e il dono della vita sono lo stile e il senso della vita di Dio, e tutta la realtà – a cominciare dalla creatura umana, creata a somiglianza – è fatta a impronta di tale dono totale di sé per amore, per il bene, per la gioia dell’altro; se necessario, anche a caro prezzo, come è stato per Gesù.

Ora questo modo di pensare e di vivere che è di Gesù, dovrebbe costituire, per ogni cristiano, il modello e l’ideale a cui tendere. Purtroppo, se ci guardiamo attorno, non sembra proprio così. Non mancano santi, anche oggi, ma lo stile medio della vita di molti cristiani è tutt’altro. Soprattutto, oggi avvertiamo segnali pesanti di una grave crisi spirituale e morale che intacca settori vitali del corpo ecclesiale, per non parlare di quelli che semplicemente abbandonano. E ciò che abbandonano o tradiscono non è una organizzazione, ma un ideale di vita e soprattutto una persona, il Signore Gesù, che unicamente può costituire ragione e modello di vita, e di vita buona, di vita riuscita.

Quando il papa ha deciso di indire un Sinodo mondiale dei Vescovi e di chiedere a tutte le Chiese di mettersi in cammino sinodale, non lo ha fatto per tenerci occupati con una ennesima iniziativa, ma perché abbiamo bisogno di una mobilitazione spirituale e pastorale del popolo cristiano chiamato a riscoprire la sua vocazione originaria e a scrollarsi di dosso tutta la sporcizia e la stanchezza che lo affliggono soprattutto di questi tempi. Più precisamente, ha indetto una mobilitazione non semplicemente per fare uno sforzo ulteriore e straordinario purchessia, ma per riscoprire il senso profondo e originario dell’essere Chiesa, assemblea dei credenti e popolo in cammino: ciò che noi siamo sempre. Solo che ci siamo “seduti”, ci siamo adagiati, forse perfino storditi, senza avvertire più il senso dell’urgenza del compito cristiano, e ora ci svegliamo come frastornati perché tutto sta cambiando in mezzo a noi e attorno a noi, e il grande imponente edificio che ci credevamo, presenta crepe da tutte le parti e si va disfacendo come pietra friabile che si sfarina per l’erosione del tempo e sotto l’azione delle intemperie.

Non dobbiamo commettere l’errore di considerare questa iniziativa del papa e dei vescovi italiani come un ennesimo adempimento da assolvere alla meno peggio, come a dare un contentino per poi essere lasciati in pace a continuare come sempre, in attesa che lentamente si consumi un declino che non riguarda solo gli altri, ma che ci tocca personalmente e intimamente. Il tempo che abbiamo dinanzi per il cammino sinodale è abbastanza lungo per permettere di maturarne una adeguata coscienza e per rispondervi con intelligenza e passione. Approfittiamone! È importante che da subito ci adoperiamo per entrare in sintonia con le sue esigenze, che sono sostanzialmente di partecipazione attiva alla vita della Chiesa, che per noi è già da qualche anno in movimento con il Percorso dell’Iniziazione Cristiana, del quale proprio quest’anno ci accingiamo a compiere un passo decisivo nella direzione della sua attuazione.

Il primo tratto di cammino sinodale per la nostra Diocesi ci vedrà impegnati in un ampio movimento di ascolto. Senza mai dismettere un atteggiamento fondamentale di ascolto del Signore attraverso la Scrittura e la parola della Chiesa, sempre in un clima di preghiera, siamo chiamati a dar voce a tutti nella comunità ecclesiale, attraverso i suoi organismi di partecipazione, in particolare i Consigli pastorali parrocchiali, per aprirci poi anche all’ascolto di quanti sono disponibili ad entrare in dialogo anche se “non sono dei nostri”, per usare un’espressione evangelica. Quest’anno sarà dedicato a questo impegno, con un appuntamento a metà anno, nel mese di febbraio, per un primo bilancio che permetta di entrare in sintonia con le altre Chiese d’Italia e con il Sinodo mondiale dei Vescovi.

Dobbiamo sentire – nel senso non di un obbligo, ma di una sensibilità da risvegliare e sviluppare – l’esigenza decisiva del cammino che andiamo a intraprendere. Con esso è in gioco la vitalità della nostra fede di oggi e il destino della Chiesa che verrà. Siamo di fronte ad una urgenza che assume sempre di più proporzioni drammatiche, perché è questione di salvezza o di perdita. Una urgenza che non riguarda solo noi stessi, come credenti e come Chiesa, ma riguarda la nostra umanità. Siamo la coscienza avanzata – non per presunzione, ma per senso della propria fede – di un bene di cui tutti abbiamo bisogno, perché non tocca solo i credenti, dal momento che dal nostro modo di essere umani dipende la salvezza stessa dell’umanità. Senza essere i soli da cui dipende il destino comune, siamo consapevoli di avere ricevuto la grazia di conoscere e possedere il segreto della vita, in quel servizio che è innanzitutto del Dio che in Gesù si mette a disposizione e sacrifica se stesso al posto e in riscatto di “molti” (cioè tutti), pur di salvarli.