Omelia per il cinquantesimo di ordinazione di don Giovanni Gallinari (24/06/2020 – S. Maria, Priverno)

24-06-2020
OMELIA

Priverno, S. Maria, 24 giugno 2020

Cinquantesimo di ordinazione di don Giovanni Gallinari

+ Mariano Crociata

Celebrare un anniversario di ordinazione presbiterale nella festa della Natività di S. Giovanni Battista ci aiuta tutti a riscoprire una dimensione importante del ministero. «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato […] per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele», dice Isaia. E Paolo negli Atti: «Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione».

Un prete ha qualcosa di Giovanni Battista per tre motivi: la sua missione così speciale in mezzo al popolo è pensata e voluta da Dio da sempre, prima ancora del suo concepimento; poi, la sua identità è plasmata da tale chiamata straordinaria e inscritta nel nome e nella persona; infine, il suo compito è preparare il riconoscimento e l’accoglienza del Signore nella sua venuta.

Per un prete, come per Giovanni Battista, tutta la grandezza e la bellezza della vocazione si racchiude nell’aiutare a incontrare Gesù. Non è lui il termine del cammino del credente, è Gesù; solo che questo incontro avviene grazie al servizio di pastore che un sacerdote viene chiamato a svolgere. Senza l’aiuto di Giovanni i contemporanei forse non avrebbero saputo riconoscere Gesù; così senza qualcuno che porga una parola, un gesto, una testimonianza, anche oggi diventa difficile imparare ad amarlo.

E il motivo è presto detto: per conoscere Gesù ci vuole qualcuno che lo conosca già e lo abbia incontrato. Questo qualcuno, certo, può essere qualsiasi credente. O meglio uno che sia veramente credente, e cioè che sia un santo. Quando si incontra un santo, si vede in trasparenza Gesù. Nel prete, c’è – al di là del gradi di santità personale – una caratteristica: che ciò che lui fa non è il prodotto di una occupazione tra le altre, ma è l’espressione di una dedicazione della persona e della vita intera. In un prete, ciò che più conta non è l’attività che svolge – che pure egli deve compiere, perché è importante ciò che gli è chiesto di fare, annunciando e celebrando – ma la sua persona di ordinato che lo ha conformato a Cristo pastore e ha impegnato tutta la sua vita per Gesù e per la Chiesa. Per questo, guardando a un prete, chiunque dovrebbe pensare a Gesù e alla Chiesa, per il solo fatto che egli ha dedicato tutta la sua vita alla missione a cui è stato chiamato.

Don Giovanni Gallinari è un esempio di questa fedeltà di lunga durata. Proprio il numero di anni che oggi ricordiamo dice da solo quanto questa fedeltà abbracci tutta la sua persona e tutta la sua vita. Da quando, cinquant’anni fa, don Giovanni ha ricevuto l’ordinazione per le mani di papa Paolo VI in piazza San Pietro, tante volte diventata estensione della basilica e simbolo della cattolicità della Chiesa, egli ha servito senza riserve e senza soste la nostra Chiesa nelle diverse responsabilità pastorali che gli sono state affidate, tra le quali proprio qui a Priverno quella per il tempo più lungo e fecondo.

Preparare all’incontro con Cristo è un compito insostituibile del prete; ma è suo anche il compito di rendere possibile la realizzazione di quell’incontro, che nell’esperienza credente della comunità cristiana è l’Eucaristia. In essa il sacerdote è strumento dell’unione realizzata con Cristo, punto davvero culminante di una vita di fede che viene celebrata e sostenuta da tutte le azioni sacramentali della Chiesa. Predicare e celebrare condensano così il ministero e la vita di un presbitero: preparare all’incontro con Cristo e dare ad esso attuazione sacramentale.

Dopo cinquant’anni don Giovanni continua l’opera della sua vita, e con la sua presenza interpella voi fedeli e noi tutti. Troppe volte il nostro sguardo nei confronti della Chiesa e dei preti è stato superficiale e distratto. Come quello dei vicini e parenti di Zaccaria ed Elisabetta: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome», osservazione dalla quale si evince l’atteggiamento ottuso e gretto dei piccoli ambienti che conoscono solo le proprie abitudini e non sono capaci di allargare lo sguardo al significato di ciò accade e di aprire il cuore ai segni dell’iniziativa imprevedibile di Dio. Un uomo ha dedicato tutta la sua vita a Cristo e ai fratelli: vogliamo star lì a perderci in chiacchiere inutili o vogliamo riconoscere il segno di Dio? Sì, perché un cinquantesimo, una vita per gli altri, è un segno di Dio. E se non siamo capaci di vederlo, che cosa siamo in grado di vedere?

Ringraziamo allora il Signore. O meglio, ringraziamolo insieme a don Giovanni, il quale sente in un momento come questo il peso e la grazia di una vita donata da Dio e restituita interamente a lui, con la sua fragilità e con la sua grandezza, fragilità più facilmente individuabile, grandezza nascosta, perché operante nel cuore di tanti cristiani nei quali con il suo aiuto la grazia di Dio è passata sanando e liberando dalla pesantezza del male, per far assaporare la leggerezza della libertà che viene dall’amore di Dio in Cristo Gesù.

A don Giovanni il nostro augurio, insieme alla gratitudine di tutta la nostra Chiesa, e l’auspicio che la sua persona e il suo ministero possano dare ancora frutti di fede e di grazia.