Omelia nella solennità del Corpus Domini (11/06/2023- Cattedrale di S. Marco, Latina)

11-06-2023

OMELIA

Cattedrale di S. Marco, 11 giugno 2023, Corpus Domini

+ Mariano Crociata

È ben nota l’affermazione conciliare secondo cui la liturgia, e in special modo l’eucaristia, è «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia» (SC 10).

Tutto nella vita della Chiesa avviene e si compie in una ininterrotta circolarità che parte dall’eucaristia e torna ad essa. A riflettere attentamente su questo, non si può fare a meno di notare che essa è qualcosa di molto concreto, anzi più esattamente materiale. Senza cadere in una concezione cosistica del sacramento, ma considerandola per quella che è, una azione, un atto liturgico, diciamo pure un evento, siamo comunque di fronte a qualcosa di irriducibilmente corporeo; infatti, si recita, si canta, si compiono gesti, si fanno cose, si trattano materie: il pane e il vino, l’olio, l’acqua. In particolare con il pane e il vino non siamo nella semplice dimensione del simbolo, ma in quello della realtà, poiché la sostanza dell’uno e dell’altra, una volta trasformata dalla potenza dello Spirito, è sacramentalmente il corpo e il sangue, la presenza reale del Signore Gesù risorto.

Passando velocemente al punto che voglio evidenziare, il culmine e la fonte della vita e della spiritualità cristiana hanno un carattere irriducibilmente materiale. La spiritualità cristiana non è si alimenta di pensieri rarefatti o di raffinate emozioni, è fatta di carne e sangue, trasformati, sì, dallo Spirito del risorto, ma pur sempre carne e sangue. Non sono forse queste le parole del vangelo di oggi? «Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda». Il culmine e la fonte della spiritualità cristiana sono mangiare e bere, mangiare e bere il corpo e il sangue del Signore, per entrare in comunione, per riuscire a vivere, per stare noi in lui e lui in noi, per compiere da credenti tutto ciò che ci è chiesto e ci compete.

Dobbiamo temere di ridurre la Messa – e con essa tutta la liturgia – a un rito religioso ripetitivo, meccanico, freddo come ogni routine recitativa o burocratica. E dobbiamo temere che rimanga sostanzialmente ai margini della nostra persona e della nostra condizione esistenziale. Il nostro Maestro e Signore ha ricondotto tutta la sua missione nel farsi pane spezzato e sangue versato. Un discepolo degno di essere detto tale è uno che non si stanca di vivere le sue giornate allo stesso modo, come pane che si spezza continuamente per gli altri e sangue che si versa con generosità d’amore.

Questa celebrazione e la processione che seguirà esprimano, con il nostro modo di rendere culto e di pregare, il desiderio e la richiesta di diventare tutti, come cristiani che sono pellegrini in questa città – secondo l’espressione della prima lettera di Pietro (1,1.17; 2.12) –, un’unica comunità concorde e unita nel riconoscere in Gesù che si dona nell’eucaristia il nutrimento, il compagno, la presenza che abita il nostro cammino quotidiano.