Omelia Festa SS. Filippo e Giacomo – Assemblea della Cisl (03/05/2016 – Latina)

09-05-2016

OMELIA

Festa dei santi Filippo e Giacomo

Latina, Parrocchia S. Cuore, 3 maggio 2016

Assemblea della CISL

+ Mariano Crociata

 

La festa dei santi Filippo e Giacomo ci fa risalire la catena che collega alla nostra origine. La pagina della prima lettera ai Corinzi presenta un Paolo scrupolosamente preoccupato di trasmettere il Vangelo che ha ricevuto, e cioè il centro stesso della testimonianza della fede, l’annuncio della risurrezione di Gesù. Egli sente di avere tra le mani qualcosa di straordinariamente prezioso ed è ben attento a che nulla sia tolto e nulla aggiunto a quanto gli è stato consegnato. Il nostro pensiero va alla sua conversione lungo la via di Damasco e al tempo trascorso in quella comunità cristiana sotto la guida e l’insegnamento di Anania per esservi istruito sul Vangelo di Gesù e sulla sua morte e risurrezione. Quello che Paolo ha ricevuto sente che è un tesoro dal valore inestimabile, da custodire gelosamente e da consegnare fedelmente. E il motivo è che solo la verità dell’annuncio mette in comunicazione e in comunione con Gesù risorto. Essere in errore è più che un semplice sbaglio o una svista, perché impedisce di entrare effettivamente in relazione con Gesù.

Ce lo dice in forma diversa la pagina evangelica di Giovanni. Gesù vi si definisce “via, verità e vita”, anzi il volto visibile del Padre: «Filippo, chi vede me vede il Padre». Egli è una cosa sola con il Padre e non vuole altro se non che i suoi discepoli diventino anch’essi una cosa sola con lui e quindi con Dio Padre. La meta di tutto è raggiungere il Padre, entrare nella comunione con lui attraverso l’unione con il suo Figlio Gesù; le parole che egli pronuncia e le opere che compie sono parole e opere di Dio, che vengono da Dio e portano a Dio.

L’aggiunta sorprendente però è un’altra, e cioè che noi, grazie a Gesù e alla fede incondizionata in lui, possiamo compiere opere anche più grandi, diventare anche noi volto visibile di Dio grazie a Gesù e condurre a lui e al Padre quanti incrociamo e abbracciamo sul nostro cammino. In questo modo noi pure diventiamo il terminale di quella catena che ha origine in Dio e a lui conduce.

 

Ciò che oggi la Parola di Dio ci fa capire si trasforma però in appello e in giudizio; l’affermazione, cioè, diventa una domanda: per coloro che ci incontrano noi siamo davvero il terminale di una catena che fa risalire a Dio? La risposta non va trovata scrutando innanzitutto abilità e iniziative, perché non è questione di attivismo; è invece questione di fede e di relazione con Gesù. Questo ci testimoniano gli apostoli: essi hanno messo Gesù al centro della loro vita. Avendo scoperto personalmente che Gesù è la via e la verità che conduce alla vita e in cui consiste la vita, egli rimarrà ormai per sempre l’anima delle loro persone e delle loro esistenze; e con la carica della loro fede e del loro amore per il Signore potranno affrontare tutto e raggiungere e contagiare tutti con il loro entusiasmo di fede e la loro passione d’amore.

Questo vuol dire che noi dobbiamo diventare donne e uomini apostolici, animati dallo spirito degli apostoli, spirito intrepido e instancabile che non ha bisogno di cose grandi ma sa manifestarsi ancora meglio nelle piccole e comuni circostanze della vita.

 

La presenza a questa celebrazione di una nutrita rappresentanza della CISL, che ha scelto di iniziare con questa celebrazione l’assemblea di oggi, sposta naturalmente l’attenzione su una forma di servizio e di impegno sociale un po’ particolare, perché non rivolta soltanto allo sforzo personale individuale e di coscienza, ma interessata al cammino complessivo della vita di tutti e in particolare di quanti sono inseriti nel mondo del lavoro o cercano di entrarvi. Che cosa significa essere terminali della catena che conduce a Dio lavorando nel sindacato e a favore del mondo del lavoro? Siete proprio voi che ci state dentro ad avere la possibilità e la responsabilità di dare una risposta da credenti adeguata alle domande di quel mondo. Qualcosa però possiamo richiamare anche noi. Trovare lavoro e difendere il lavoro è realmente un modo per far sentire alle persone che credono o sono aperte alla fede, e anche oltre, che c’è motivo di credere e di sperare, che c’è un Dio lassù in cielo e quaggiù sulla terra.

Comprendiamo però che per assolvere adeguatamente un tale compito da credenti c’è bisogno di qualcosa di più. C’è bisogno di capire che il lavoro è importante, anzi la cosa più importante per la dignità di una persona e per la qualità civile di una società; ma anche che c’è qualcosa che precede e che segue il lavoro, il quale senza l’uno e l’altro non basta a se stesso. Esso è veramente umano quando serve uno scopo e soprattutto serve la persona, si pone a servizio della persona e non, invece, la rende schiava o la abbrutisce. Non l’uomo schiavo del lavoro, ma il lavoro al servizio dell’uomo. Ma poi l’uomo che lavora ha bisogno di prospettive, di mete, di ideali che abbraccino il lavoro e lo superino verso un compimento gratuito e trascendente. Il lavoro è vitalmente necessario ma non basta a se stesso. Senza un’origine che preceda e un fine ultimo che lo superi, esso non assolve alla sua funzione vitale né è in grado di garantire ciò che promette.

La catena che viene da Dio e a lui conduce grazie a Cristo, è la via della verità che porta alla vita e, ultimamente, a Dio. Abbiamo bisogno di Gesù per vivere e lavorare; abbiamo bisogno di Dio. Questa consapevolezza il Signore ce l’ha data fin dal battesimo; a noi coltivarla e renderla viva alimentando l’incontro quotidiano con Gesù Risorto che ci promette: «qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio». Preghiamo, dunque, perché la nostra fede sia vera, sincero il nostro amore, aperta a Dio tutta la nostra persona e la nostra vita.