OMELIA
Festa della santa famiglia di Nazaret
Abbazia di Fossanova, 27 dicembre 2015
+ Mariano Crociata
Sono lieto di celebrare la festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, qui a Fossanova, insieme a tutti voi convenuti quali membri della comunità parrocchiale e a quanti vi siete uniti all’assemblea liturgica per l’occasione. E infatti in questa celebrazione si sono dati appuntamento i soci della “Compagnia dei Lepini”, non ultimi i sindaci dei comuni che ne fanno parte, per lo scambio degli auguri natalizi delle “Istituzioni Comunità dei Monti Lepini”. Gli otto giorni che seguono il Natale sono non a caso celebrati come un unico grande giorno di festa, nell’intento di dare ragione della solennità del mistero contemplato e accolto con la nascita del Salvatore. Ben venga dunque la possibilità di tornare a scambiarsi gli auguri natalizi.
Auguri ai quali ciascuno conferisce il significato che più da vicino tocca le sue gioie, le sue preoccupazione, le sue ansie, le aspirazioni e i progetti. Anche voi che operate associati nella Compagnia dei Lepini portate in questo scambio di auguri i propositi e gli impegni che connotano il vostro operare insieme, e cioè la promozione turistica, economica e culturale di questo caratteristico territorio laziale accomunato dalla sua tipica configurazione orografica collinare e montuosa con le potenzialità e i punti deboli che lo contraddistinguono. Va sempre salutato con senso di apprezzamento e di incoraggiamento ogni sforzo, come il vostro, volto ad associare persone e gruppi attorno a progetti di promozione e di sviluppo collettivo.
Voglio però anche pensare che l’aver voluto convocarvi in una celebrazione eucaristica esprime la coscienza di una esigenza che anima il vostro lavoro comune. Intendo dire che tutti i progetti di promozione economica e sociale hanno bisogno di trovare un’anima, ragioni ideali e speranze che non bastano calcoli economici e processi organizzativi e amministrativi automaticamente a produrre. Convenienze e interessi comuni possono far realizzare alcune opere insieme, ma non bastano a formare e a far crescere una comunità umana coesa e a condividere un cammino di reale progresso che coinvolga tutti. Oso pensare che ciò di cui si tratta in una celebrazione eucaristica come questa abbia a che fare con quanto avete in animo di operare come Compagnia dei Lepini. Perciò auspico che ne prendiate coscienza e ne assumiate i propositi conseguenti.
A questo scopo è bene riflettere insieme – e dicendo questo mi rivolgo a tutta l’assemblea qui presente – sul fatto che non si viene in chiesa a partecipare alla S. Messa per sentirsi semplicemente approvati nei propri buoni propositi, quando ci sono. Si viene certo a portare il proprio bagaglio di gioie e speranze, di dolori e di angosce, perché sia deposto sull’altare insieme al pane e al vino, e come questi trasformato in cibo che nutre e bevanda che disseta. Ma perché ciò avvenga è necessaria appunto una trasformazione, una conversione, un cambiamento cioè non di cose ma di cuori e di menti, di pensieri, di intenti e di progetti. Chi viene a Messa deve disporsi a uscire dal proprio orizzonte ed entrare nell’orizzonte di Dio, per ascoltare e compiere ciò che egli chiede.
Oggi celebriamo la festa della Santa Famiglia. La Chiesa vuole così sottolineare che veramente Gesù si è fatto uomo, nascendo e crescendo dentro una famiglia, esattamente come ogni essere umano. Ciò che il Signore ci vuole far capire, attraverso le pagine della Scrittura che abbiamo ascoltato, è che la famiglia non è una prigione, un mondo chiuso nel quale le persone esauriscono la loro vita e la loro funzione dentro un circuito isolato dal resto del mondo e della vita. La famiglia è il luogo in cui si impara a diventare persone, per comprendere la propria missione nella vita. Anna, la madre di Samuele, offre al Signore il proprio figlio non per semplice senso di debito, ma perché intende ciò che dovrebbe essere chiaro a ogni padre e madre, e cioè che un figlio è un dono di Dio, al quale deve imparare a riferirsi e a relazionarsi. Apparentemente Anna perde il proprio figlio; in realtà il fatto che egli possa realizzare la sua vocazione nella vita è l’esperienza più appagante che come madre può fare. La stessa cosa ci dice il brano di san Giovanni quando parla dei credenti come di figli di Dio: noi esseri umani raggiungiamo la nostra piena umanità non quando ci emancipiamo da Dio, ma quando scopriamo e accogliamo la nostra condizione e la nostra relazione di figli suoi con lui e tra di noi. Del resto è ciò che ha fatto Gesù, come ci ha raccontato il Vangelo. Fin da piccolo egli fa capire ai genitori di essere chiamato a occuparsi di quanto Dio Padre gli chiede, perché da lui è stato chiamato alla vita e a lui deve ultimamente rendere conto. Così facendo, però, Gesù non si separa dai genitori, al contrario egli «stava loro sottomesso. […] E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini».
Oggi ci sono almeno due tendenze, tra altre, che si oppongono direttamente a questo insegnamento tipicamente evangelico e, prima ancora, profondamente umano. La prima tendenza è quella che fa del figlio un oggetto del desiderio dei genitori, se non addirittura solo della donna. Il figlio diventa una cosa, a cui si pretende di avere diritto come se fosse un oggetto di consumo e di soddisfazione di esigenze personali al pari di qualsiasi prodotto di mercato. È, questo, un modo di pensare aberrante, perché intrinsecamente disumano, dal momento che perde di vista che un figlio è persona, cioè un essere che mi supera infinitamente e che non posso trattare come un oggetto.
L’altra tendenza è quella a privilegiare nel rapporto con i figli la sola dimensione affettiva, trascurando quella educativa; come se possa bastare dare ai figli sicurezza, calore, amore, e non anche carattere, volontà, capacità di scelta e di decisione, senso di responsabilità e di autocontrollo, per affrontare la vita con le sue esigenze dure e i sacrifici che comporta, se si vogliono raggiungere obiettivi e conservarsi coerenti con se stessi e onesti nei confronti degli altri, con la coscienza dei doveri che si assumono nei confronti della società e non solo dei diritti da rivendicare.
Il Natale e la festa della S. Famiglia ci chiedono di misurarci con queste gravi esigenze. Lo dobbiamo fare come singoli, come famiglie e anche come istituzioni. Non c’è sviluppo economico che tenga se le persone si disorientano e le famiglie si sgretolano, annullando ogni senso di vita giusta e di buona convivenza. Questi pensieri salutari diano sostanza agli auguri natalizi che volentieri e di cuore torniamo, allora, a scambiarci.