OMELIA
Solennità del SS.mo Corpo e Sangue del Signore
Ammissione all’ordine sacro del diaconato
di Massimo Cacioppo, Carlo Coco, Lorenzo Puca
Latina, parrocchia S. Domitilla, 5 giugno 2021
+ Mariano Crociata
Il concilio Vaticano II ci ha fatto riscoprire il sacerdozio comune dei fedeli e l’uguale dignità di tutti i battezzati in forza della rinascita in Cristo. Di fatto questo è il primo e insuperabile titolo di cui ogni cristiano ha ragione di fregiarsi e solo nella confessione della pura grazia e benevolenza di Dio. Oggi siamo divenuti ancora più consapevoli che la differenza tra fedeli e ministri non li rende estranei gli uni gli altri, ma piuttosto partecipi tutti della responsabilità di formare e di far crescere la Chiesa.
In tale condizione di condivisione i ministri ordinati portano una responsabilità specifica, perché posti al servizio della fede e della vita cristiana di tutti i fedeli. Ad essi è chiesta perciò una dedizione ancora più grande ed esclusiva al Signore per la missione che Egli affida. Ciò al cui servizio sono posti, cioè la santità dei fedeli, è per essi stessi il compito primo e l’impegno costante, perché la loro vita risplenda di quella santità che devono servire e favorire nei fratelli. Questa coscienza dovete sempre coltivare, cari Massimo, Lorenzo e Carlo. E in tale prospettiva intendere anche il senso di questa celebrazione nella quale ha luogo il rito della vostra ammissione all’ordine sacro.
In questo rito si riconosce e si afferma un intreccio essenziale proprio della vocazione cristiana, di ogni vocazione cristiana. Essa infatti è in radice una chiamata personale di Dio che riguarda colui la quale Egli si dirige, stabilendo con lui un dialogo personalissimo e trovandovi un’intima corrispondenza. Solo che Egli non chiama per gratificare una persona, ma per chiederle un servizio a favore della comunità. È per questa ragione che entra in gioco la Chiesa e chi in essa svolge un ruolo di responsabilità. Il nostro rito vuole semplicemente dire che la Chiesa riconosce che in voi c’è la chiamata di Dio e, avendo avuto cura della vostra preparazione, vi invita a completare il vostro percorso formativo per ricevere l’ordine sacro al quale siete stati chiamati.
Con questo rito si acuisce in voi il senso della responsabilità per la chiamata che vi ha raggiunto e per la cura accresciuta che dovete avere per il vostro cammino da ora in avanti. A questo conduce anche, tra l’altro, la celebrazione della solennità del SS.mo Corpo e Sangue del Signore. Da questa scelgo solo uno spunto, e precisamente da una parola del racconto evangelico della cena: “Prendete”. È la parola con cui Gesù invita a prendere il pane sul quale dice una parola sconvolgente e inimmaginabile: “questo è il mio corpo”. Gesù dice: il mio corpo è come questo pane; anzi, per il potere che mi è dato e per ciò che sto per compiere fino alla croce, il mio corpo è questo pane. E quando dice corpo, intende la sua persona nella sua interezza e concretezza. “Prendete”, dunque. È un prendere come cibo, ma con tutto ciò che significa, di accoglienza, di condivisione e apprezzamento, di assimilazione, di unificazione crescente.
Noi siamo gli invitati ai quali Gesù dice: prendete. È il primo e più importante desiderio di Gesù. Noi pensiamo, anche giustamente, alle condizioni necessarie per accostarsi, mentre Gesù non mette condizioni; semplicemente si mette a disposizione. Se vogliamo avere a che fare con Lui, dobbiamo solo accogliere il suo invito – pensiamo un po’ – a disporre di Lui, a consumarlo e cibarcene, a nutrircene. Ancora dopo duemila anni, il suo invito viene addomesticato nelle nostre devote abitudini, restie a misurarsi con lo sconvolgente significato dell’invito a prendere e mangiare. Gesù si affida alla nostra presa, se vogliamo, al nostro potere di ghermire e usare perfino senza cura e attenzione di Lui, che non vuole altro che farci entrare gradualmente nel mistero del suo dono incondizionato per noi e per la nostra vita. Tutta la sua vicenda, tutta la rivelazione di Dio si può racchiudere in questo “prendete”. Il Dio di Gesù è il Dio che si offre, disarmato e fragile, come lo può essere un pezzo di pane messo lì, sulla tavola, pronto per essere afferrato e divorato, senza nemmeno pensarci su troppo.
Una parola sola va ancora aggiunta, anche per l’economia di tempo della nostra celebrazione. L’invito di Gesù, una volta accolto, richiede e innesca un meccanismo di ripetizione, di imitazione e di sequela. Se si entra nella sua logica di dono di sé, non si può continuare a vivere solo per sé, ma cominciare a imparare e abbracciare l’arte del dono e del servizio. Questo tocca ogni credente, ogni battezzato. Nel ministro il coinvolgimento è ancora più diretto e formale: a lui si richiede di tenere desta la memoria dell’invito di Gesù e di insegnare la sua arte del dono di sé con l’esempio prima che con la parola. Non è questo il senso profondo dell’essere diaconi nella Chiesa? Mi pare, allora, che la strada sia ben indicata a tutti, e a voi in modo particolare, cari candidati al diaconato permanente. Cominciate a percorrerla con l’entusiasmo che viene solo da Gesù, che da Figlio si è fatto servo di tutti; anzi, prima ancora, si è fatto cibo e ci invita a prenderlo senza riserve.