In missione su strade nuove

Intervista concessa ad "Avvenire", 15 dicembre 2013
18-06-2014

Torno vescovo in una diocesi, ma con uno sguardo più ampio

di Salvatore Mazza

Monsignor Crociata, dopo cinque anni in Cei torna in diocesi, che per un pastore credo sia la cosa più bella: tornare in mezzo al gregge. Come si appresta a vivere questo passaggio?

Conservo una memoria molto vivida e intensa dell’esperienza di Noto, come in generale delle esperienze pastorali precedenti. Perciò sento in maniera particolare il valore e l’interesse del lavoro pastorale diretto nelle comunità e nel territorio. Questa è la nota di fondo. Ho sempre avvertito, con franchezza, il peso di questa rinuncia: il ruolo di Segretario Generale, a differenza degli altri anche in Cei, è difficilmente compatibile con un servizio pastorale assiduo, anche solo parziale; e questa distanza sarebbe comunque acutamente avvertita da qualsiasi vescovo e da qualsiasi prete, che in particolare abbia vissuto in attività pastorale. Con tutto ciò, l’esperienza di questi anni, sul versante del servizio nazionale, mi ha permesso di condividere una ricchezza impagabile, straordinaria, perché mi ha offerto una diversa visione della realtà, dove può esserci un rischio di generalizzazione e di distanza, ma anche la possibilità di una comprensione più vasta e più profonda, scevra della tentazione dei localismi e dei particolarismi. Da questo punto di vista porto con me, e spero di conservare, questa visione più larga, che confido mi permetta di aderire senza chiusure alla vita concreta della Chiesa nella diocesi.

A cosa, in particolare, si riferisce?

Per esempio all’esigenza di incarnare le idee e i progetti che la Chiesa in Italia in questi anni ha elaborato nell’ambito della Conferenza dei vescovi: penso al tema educativo, con quelle attenzioni specifiche dirette alla catechesi, alla scuola, alla famiglia; e poi anche alle iniziative che vanno prendendo corpo in vista del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze. E penso, ancora, alla spinta propulsiva che, con accenti nuovi e originali, viene dal magistero, dalla persona e dalla presenza di Papa Francesco. Porto con me questo, e tanto altro. Poi, certo, la traduzione di tutto ciò ha bisogno di mediazioni, perché l’azione pastorale non può essere calata dall’alto, ma nasce dal di dentro della vita delle comunità e delle diocesi con una elaborazione a cui tutti devono concorrere.

I suoi anni alla Cei hanno coinciso con grandi trasformazioni, e anche traumi – penso al dramma della pedofilia – sia ecclesiali sia sociali. Quali sono state le tappe più importanti di questo percorso?

C’è bisogno di elaborare quanto accaduto in questo periodo ed è tuttora in corso; per molti versi, infatti, ci troviamo ancora immersi in una situazione di transizione e di travaglio. Tante cose hanno reso il nostro compito non facile. Se dovessi, comunque, al di là della scansione temporale, cercare di puntualizzare alcuni passaggi, sottolineerei innanzitutto quelli in positivo, che hanno riguardato la vita ordinaria della Chiesa. E partirei proprio dai documenti che hanno impegnato i primi anni della mia presenza alla Cei: quello sulla Chiesa e il Mezzogiorno d’Italia, e poi il documento degli Orientamenti per il decennio. In generale, direi che l’impegno più grande è stato nel tener presenti e quindi nel farci carico delle trasformazioni della società e della Chiesa. Soprattutto una trasformazione silenziosa, che però dice la sua sfida più grande, quella di cercare di qualificare, in senso educativo, l’impegno pastorale, e quella di dare slancio missionario, capacità di persuasione e di coinvolgimento alla presenza e all’appartenenza ecclesiale. In questo senso la Chiesa in Italia si trova in sintonia con lo slancio e l’apertura che Papa Francesco ci chiede dall’inizio del suo pontificato. Da parte mia ho avvertito tale sfida davvero come la questione più importante che ha caratterizzato il quinquennio trascorso. Ci sono poi altre questioni che evidenziano questa trasformazione di fondo, segnalando esigenze ordinarie ma anche aspetti più drammatici o di più acuta urgenza. Lei ha citato giustamente il tema della pedofilia, un vero dramma il cui emergere ha prodotto un’attenzione nuova alle vittime, un guidizio reciso e iniziative efficaci; penso in particolare alle posizioni di Benedetto XVI e ora a quelle assunte, proprio anche in questi giorni, da Papa Francesco. Non ci nascondiamo tuttavia che il fenomeno ha rappresentato uno sconquasso nella Chiesa, che è chiamata a un cambio di passo e a percorrere strade nuove di conversione e di servizio. Accanto a questa dobbiamo citare la più generale questione antropologica, che ci dice come è cambiata la visione dell’uomo con il rischio di un suo lento, ma inesorabile, snaturamento. In questo senso raccogliamo da Papa Francesco l’invito insistito a un’attenzione maggiore alla persona, alla sua condizione, colta in spirito di misericordia e aiutata a camminare verso il riscatto della sua umanità.

E sul fronte sociale e politico?

E’ un ambito in cui la Chiesa in Italia si è sentita impegnata in questi anni, affrontato soprattutto nella sua valenza educativa. Quello in corso da alcuni anni è un periodo sociale opaco, non solo per la perdurante crisi economica, ma anche per lo stallo delle riforme e per le questioni legate all’etica pubblica. La Chiesa ha accompagnato il cammino della società richiamando alla improrogabile esigenza di nuova proposta formativa in ambito socio-politico, basilare rispetto alle innovazioni che si ci attende dalla politica. Le associazioni laicali e le strutture diocesane, ma un po’ tutti i fedeli, sono stati richiamati all’impegno per un risveglio di coscienza civica motivata e orientata dalla fede e dall’esperienza ecclesiale: un cammino lungo che porterà frutto se sarà mantenuto con lucidità e perseveranza. Non bisogna poi dimenticare lo sviluppo enorme dell’impegno caritativo delle diocesi e delle comunità, in rapporto all’aggravarsi delle difficoltà economiche di tante famiglie e di tante persone. La Conferenza, da parte sua, ha promosso iniziative e dirottato risorse che hanno permesso di far fronte a un incremento impressionante delle richieste di aiuto, che non cessano di dirigersi verso i nostri centri, in particolare le Caritas parrocchiali e diocesane.

Anche la Cei oggi è impegnata verso un cammino di rinnovamento profondo. A che punto è?

E’ in corso un dibattito, dal carattere aperto, non indirizzato in maniera predeterminata o con un obiettivo già fissato. L’esito cui si intende approdare è quello di un’accresciuta partecipazione di tutti i vescovi, per contribuire alle scelte comuni in misura maggiore rispetto al passato. Non si tratta perciò solo di modificare la forma di nomina di figure o di organismi, ma di accrescere le possibilità di partecipazione delle e nelle Conferenze regionali, nell’assemblea generale, nel Consiglio episcopale permanente e in altri ambiti che potranno essere via via indiviuati. Lo scopo che colgo è quello di far crescere una Chiesa viva e partecipata, a cominciare dalla stessa Conferenza dei vescovi. Credo che il futuro porterà a una più piena comunione a tutti i livelli.