Sono contento di incontrarvi, innanzitutto come fedeli di questa Chiesa, ma poi naturalmente come rappresentanti delle Confraternite, più o meno numerose e antiche, che sono insediate nei paesi storici della nostra diocesi e ne arricchiscono il patrimonio di fede e di devozione.
Contrariamente a come alcuni speravano e si adoperavano, proprio in seguito al Concilio Vaticano II le Confraternite hanno ripreso vigore, confermandosi come luoghi e strumenti privilegiati di coltivazione ed espressione della pietà popolare. A essa ha guardato con attenzione crescente il magistero della Chiesa, a cominciare da Paolo VI e a seguire con gli altri Papi. Il Catechismo della Chiesa cattolica condensa l’insegnamento della Chiesa nel modo seguente:
«Il senso religioso del popolo cristiano, in ogni tempo, ha trovato la sua espressione nelle varie forme di pietà che accompagnano la vita sacramentale della Chiesa» (1674). «Queste espressioni sono un prolungamento della vita liturgica della Chiesa, ma non la sostituiscono: “Bisogna che tali esercizi, tenuto conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, derivino in qualche modo da essa, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano” [Sacrosanctum concilium 11]» (n. 1675). Pertanto: «È necessario un discernimento pastorale per sostenere e favorire la religiosità popolare e, all’occorrenza, per purificare e rettificare il senso religioso che sta alla base di tali devozioni e per far progredire nella conoscenza del mistero di Cristo» (n. 1676). Di seguito il CCC riporta una citazione del documento di Puebla, che descrive bene le caratteristiche della religiosità popolare: «La religiosità popolare, nell’essenziale, è un insieme di valori che, con saggezza cristiana, risponde ai grandi interrogativi dell’esistenza. Il buon senso popolare cattolico è fatto di capacità di sintesi per l’esistenza. È così che esso unisce, in modo creativo, il divino e l’umano, Cristo e Maria, lo spirito e il corpo, la comunione e l’istituzione, la persona e la comunità, la fede e la patria, l’intelligenza e il sentimento. Questa saggezza è un umanesimo cristiano che afferma radicalmente la dignità di ogni essere in quanto figlio di Dio, instaura una fraternità fondamentale, insegna a porsi in armonia con la natura e anche a comprendere il lavoro, e offre motivazioni per vivere nella gioia e nella serenità, pur in mezzo alle traversie dell’esistenza. Questa saggezza è anche, per il popolo, un principio di discernimento, un istinto evangelico che gli fa spontaneamente percepire quando il Vangelo è al primo posto nella Chiesa, o quando esso è svuotato del suo contenuto e soffocato da altri interessi».
Papa Francesco, da parte sua, ha già dedicato non poca attenzione alla dimensione popolare della religiosità, tanto che nell’Esortazione Evangelii gaudium si sofferma non solo sul pregio del carattere popolare di tale religiosità, ma anche sul suo valore per la trasformazione della cultura di un popolo a opera della fede e soprattutto sulla forza evangelizzatrice della pietà popolare (cf. nn. 122-126).
Forti di questi orientamenti del magistero, dobbiamo riandare alla storia per rispecchiarci secondo verità nel presente e cominciare a intravedere gli impegni per il futuro.
Sul passato, basti qui ricordare come le confraternite nascono in epoca medievale con la funzione di raccogliere e indirizzare due movimenti di fondo nel sentire del popolo cristiano, che talora assumevano anche una potenza espressiva e creativa straordinaria, per effetto della predicazione e della pratica della vita cristiana nel corso dell’anno liturgico. I due movimenti erano: la devozione e la fraternità. Caratteristica della confraternita era quella di unire le due dimensioni: un amore speciale a un aspetto significativo della fede e della celebrazione del mistero cristiano (pensiamo ai titoli della Madonna, ma anche al crocifisso con tutte le evidenze riservate alla sua figura, come il sangue, le stimmate, le spine, la flagellazione, la crocifissione, e poi ai Santi e soprattutto al sacramento dell’Eucaristia, o altro ancora) e un desiderio di solidarietà, una forma di sostegno reciproco che vedeva così mettere in pratica l’ispirazione di fondo del Vangelo, il quale condensa tutto nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo, o anche nella preghiera del Padre nostro, nella quale la prima parte si dirige alla gloria di Dio e della sua volontà, la seconda ai bisogni concreti e alle relazioni con il prossimo. Le confraternite sono nate come luogo esemplare di vita cristiana, capaci di abbracciarne queste due dimensioni costitutive.
Nel corso della storia esse hanno subito significative trasformazioni, ma senza mai perdere questa ispirazione originaria. Il rilancio che le confraternite hanno avuto dopo il Concilio ha bisogno, ora, di una verifica circa la capacità di salvaguardare quell’ispirazione e le condizioni per farla rivivere nella sua autenticità.
Alle confraternite, di questi tempi (segnati da dispersione e da perdita di rilevanza sociale esclusiva da parte del cattolicesimo), tocca un destino che affligge un po’ le sorti della fede in tutti coloro che sono stati battezzati da bambini. L’abitudine, infatti, induce a recepire e conservare la fede cristiana per ragioni so-ciologiche, di appartenenza a una famiglia, a un tessuto di rapporti sociali corti, a un ambiente culturale circoscritto e resistente. Tuttavia l’evoluzione sociale esige sempre di più che l’adesione alla fede sia frutto di una scelta personale motivata e convinta; senza tale adesione per scelta, il rischio che l’appartenenza cristiana corre è quello di assistere a un processo di indebolimento della fede oppure a una sua riduzione a corredo di una vita sociale svuotata di consapevolezza e coerenza personale.
Questo si può verificare, specificamente, anche nel caso delle confraternite, come del resto di tante altre forme di aggregazione ecclesiale. Infatti, è abbastanza naturale che in un paese, in un famiglia, in un ambiente socialmente stabile attorno a una parrocchia o a un quartiere, la presenza di una confraternita che esiste da secoli induca a iscriversi persone invitate e motivate da tradizione locale e da rapporti personali che alimentano la vita sociale di cui tutti noi abbiamo bisogno. In questo non c’è nulla di male. E, tuttavia, se manca la coscienza dei motivi di devozione e di solidarietà fraterna che stanno all’origine di una confraternita e che giustificano l’iscrizione a essa, bisogna chiedersi che senso ha l’appartenenza a essa e alla fine la sua stessa esistenza, dal momento che si lascia venir meno l’ispirazione originaria.
Qualcuno dirà che comunque le confraternite servono a organizzare le feste patronali e religiose e, in particolare, a gestire le manifestazioni pubbliche di tali feste. Ma mi volete dire come posso organizzare una festa in onore di Maria SS.ma, del Crocifisso, dei Santi, dell’Eucaristia, se poi non sono capace di dire una preghiera, e prima ancora di avere un pensiero o un sentimento che mi lega a Maria, al Signore, ai Santi? Se non sono capace, non dico di spiegare, ma almeno di dire una parola sul significato delle sofferenze e della morte di Gesù, della grandezza di Maria, della vita dei santi, della centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa e di ogni cristiano? Soprattutto se, personalmente, il mio modo di vivere e di pensare va per conto suo o addirittura è in contrasto, non dico con l’insegnamento della Chiesa, ma con l’esempio e la parola di Gesù, con la santità di Maria e dei beati, di cui magari ci vantiamo di portare il nome e il titolo?
Non so se e in quale misura questa situazione si verifica nelle nostre confraternite, bisogna tuttavia riflettere attentamente sul significato della propria appartenenza e sulle esigenze alle quali l’appartenenza impegna. Anche da questo punto di vista dobbiamo svolgere un’altra considerazione. Per essere dei buoni cristiani non c’è bisogno di essere iscritti a nessuna associazione: l’unica iscrizione di cui abbiamo bisogno è quella nel registro dei battesimi. Ciò che conta è che siamo battezzati, crediamo in Gesù Cristo e nella Trinità Santissima, apparteniamo alla Chiesa di Dio, non ci dimentichiamo mai di lui, ogni giorno e in modo particolare nel giorno del Signore, la domenica, con la partecipazione alla Santa Eucaristia e ai sacramenti e con l’ascolto della Parola, e ci sforziamo di vivere secondo l’insegnamento del Vangelo e della Chiesa. Questo basta a essere cristiani e a camminare sulla via della salvezza. Se ci iscriviamo a un’aggregazione ecclesiale, come una confraternita, allora vuol dire che sentiamo la chiamata a un impegno maggiore di quello a cui siamo tenuti per il solo fatto che siamo dei battezzati. Ora, è una vera e propria contraddizione che uno si iscriva a una realtà ecclesiale più impegnativa, e poi faccia meno di quello che compie ogni buon cristiano che non ha bisogno di essere iscritto a nessuna associazione o confraternita per essere tale.
Questa considerazione ha un carattere generale che non intende toccare nessuno ma che deve far riflettere tutti, a cominciare da me, perché anch’io, come sacerdote e come vescovo, che ho accettato la chiamata del Signore a servirlo nel ministero, devo corrispondere con una dedizione e un impegno accresciuti, proporzionati alla responsabilità che, con la grazia di Dio, ho accettato di assumere. Con le debite differenze, questo vale per ogni fedele nella Chiesa.
Comprendiamo bene allora come l’esigenza di una formazione più intensa non è un obbligo arbitrario, ma nasce da un bisogno proprio dell’appartenenza abbracciata per amore della devozione che ha risvegliato e coinvolto la nostra scelta; e comprendiamo anche come l’esigenza di correttezza scrupolosa nell’amministrazione dei beni non sia solo frutto di un senso di onestà e di legalità che è il minimo a cui certamente non dobbiamo mancare di attenerci, ma soprattutto l’espressione della coscienza che i beni di una confraternita sono beni comuni, non privati, e che la loro destinazione è l’intera confraternita e, insieme a essa, i bisogni dei poveri e della comunità ecclesiale.
Per queste ragioni rivolgo l’invito a tutti voi a continuare nell’impegno che certamente mettete nella gestione e nella partecipazione alla vita delle confraternite, a correggere eventuali errori e a togliere eventuali magagne, e a fare della vostra appartenenza non un motivo di vano orgoglio, ma di servizio alla comunità per amore del Signore e per il bene dei fratelli, particolarmente i più indigenti. Su questo impegno non manchiamo di invocare l’intercessione di Maria e dei Santi e la benedizione del Signore.
Discorso all’Incontro con le confraternite della diocesi (6 aprile 2014, Curia vescovile)
18-06-2014