Testimoni del primato di Dio e della fiducia nel dialogo tra lontani

Dedicare la propria vita al Signore costruendo il dialogo tra lontani e diversi, come anche tra il cristianesimo e l’Islam. Questo l’impegno di suor Carol Cook Eid, assunto con la professione solenne emessa nelle mani del vescovo Mariano Crociata. La celebrazione si è tenuta il 4 ottobre nella chiesa del San Salvatore a Cori. Nella città lepina, infatti, da alcuni anni risiede una casa della comunità monastica di Mar Musa el-Habachi, cui appartiene la religiosa, che poi è la forma di vita fondata tra i decenni del 1980 e 1990 dal gesuita padre Paolo Dall’Oglio restaurando l’omonimo monastero in Siria.

Significativa proprio la scelta della chiesa per la comunione con coloro – specie se cristiani – che nella terra siriana ancora soffrono la persecuzione a causa della guerra. Lo ha ribadito anche monsignor Crociata nella sua omelia: «Ho accettato di celebrare qui la professione solenne di suor Carol volendo accogliere la richiesta sua e della comunità. È un edificio fatiscente anche se sicuro, che ci costringe, pure in un momento di festa e di gioia, a tenere vivo il ricordo del dramma che tanti cristiani stanno vivendo in Siria e altrove a causa di una violenza insensata scatenata ormai da troppo tempo. In quelle regioni, innumerevoli edifici sacri sono ridotti anche peggio di questo, da conflitti armati che non si riesce o non si vuole fermare, i cui effetti più drammatici sono le inaudite sofferenze e la morte procurate a un numero incalcolabile di persone, tra cui molti cristiani, minoranza – questa – che magari stentava a sopravvivere o conosceva una pace in condizione protetta, e ora si trova a essere perseguitata e a rischiare l’estinzione. Qui, invece, tocchiamo con mano l’incuria dell’uomo e la scomparsa di una presenza religiosa significativa, che vede inesorabilmente ridursi a minoranza una massa religiosa dalla fede sempre più estenuata e flebile».

La professione religiosa di suor Carol si inserisce in questo contesto come un evento di grazia e un segno di speranza, ha continuato a spiegare il Vescovo ricordando che «la comunità di Mar Musa è qui da diversi anni, con il suo impegno di preghiera, di formazione e di studio, a testimoniare profeticamente il primato di Dio e la fiducia nel dialogo tra lontani e diversi perfino in tempi e luoghi dove deflagra la guerra».

La presenza della comunità monastica di Mar Musa è anche un segno per la Chiesa pontina che «viene interpellata nella sua responsabilità di fronte alla storia di questo tempo: a partire dalla cura di questo luogo, dove è piantata un’esperienza monastica che attende di vedere consolidata la sua presenza e nutre la speranza di fermentare la nostra vita di fede ormai posta in un mondo diventato anche per noi complesso e plurale. E la speranza non può nascere e alimentarsi al di fuori di un coinvolgimento e di un impegno in prima persona, come quello che sta assumendo suor Carol».

L’omelia del Vescovo può essere scaricata cliccando sul link in basso:

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