Il Sinodo e la Chiesa pontina che lavora per la famiglia

La Chiesa da sempre ha difeso la famiglia non solo dal punto di vista del suo senso ecclesiale e teologico, riguardo al sacramento del Matrimonio, ma anche rispetto al diritto naturale dell’uomo. In questi ultimi decenni le trasformazioni sociali stanno portando vari problemi e attacchi a questo “nucleo fondamentale della società”. Nel tempo sono stati vari gli interventi del Magistero della Chiesa come altre occasioni per riflettere in modo corale sulle prospettive future della famiglia. Da ultimo la decisione di parlare di “famiglia” al Sinodo dei Vescovi del 2015 anticipata da una sessione appena terminata e che ha fatto molto discutere. Degli esiti e dello stato della famiglia pontina ne parla don Massimo Capitani, responsabile dell’Ufficio pastorale per la Famiglia della diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno.

Cosa devono aspettarsi le famiglie da questa Assemblea straordinaria del Sinodo appena conclusa?

Credo sia giusto partire da quanto la Chiesa nel corso degli anni, attraverso il Magistero, ci ha trasmesso. Pensiamo all’impegno di Giovanni Paolo II con i suoi numerosi scritti a sostegno della famiglia e alla pastorale in suo favore, alla difesa della vita, alla promozione della persona in tutta la sua integrità. Non meno l’opera di Benedetto XVI, che ha ribadito il pensiero del suo predecessore in materia di famiglia con la sua sapienza, lucidità, umiltà e chiarezza. Oggi anche papa Francesco continua a seguire il Magistero e sulla famiglia, come è giusto che sia, non perde occasione per ribadire la sua centralità. Penso dunque che, oltre al Sinodo, di fondamenti su cui costruire il difficile cammino che la famiglia si trova ad affrontare, ce ne siano in abbondanza, senza necessariamente dover cercare o aspettarsi grandi cambiamenti. Si tratta piuttosto di attualizzare ciò che di prezioso la Chiesa già possiede e capire con quali modalità debba essere messo in atto.

Basandosi anche sulle risposte inviate dalla nostra Diocesi per la preparazione del Sinodo, qual è la fotografia della «famiglia pontina»?

Tutti parlano oggi di famiglia ed è diventato quasi rituale ricordare la sua centralità come cellula essenziale della società e luogo di socializzazione per eccellenza. Pare altrettanto rituale dolersi per i fenomeni crescenti di instabilità e scioglimento del legame matrimoniale, così come allarmarsi per tentativi di legittimare forme di convivenza parificandole alla “vera” famiglia. Certamente anche nella nostra Diocesi non mancano tali problematiche. Ma, nel contesto del dibattito attuale, ci sembra utile tornare a parlare della famiglia normale, un’esperienza che viene vissuta quotidianamente da milioni di persone che hanno scelto di condividere la vita con il proprio coniuge e si aprono alla stupenda avventura della generazione dei figli. Mi sembra utile richiamare l’attenzione proprio su ciò che è necessario dare oggi alla famiglie perché non vengano soffocate da compiti gravosi in termini economici. È questo un modo per riaffermare la centralità della famiglia senza permettere che la pur giusta preoccupazione per le patologie della famiglia finisca in qualche modo per offuscarne la realtà quotidiana.

Nel loro messaggio i padri sinodali parlano di grandi sfide per la famiglia: la fedeltà nell’amore coniugale, la fatica della stessa esistenza tra malattie e povertà. La Chiesa pontina cosa fa o farà per coloro che vivono queste situazioni?

Oggi molti di coloro che falliscono un progetto di matrimonio cristiano, hanno la sensazione di non contare più nulla. La Chiesa, davanti a queste situazioni di grande dolore non può restare indifferente. È sempre più urgente e necessario che la Chiesa si affianchi alle famiglie che vivono delle difficoltà perché in crisi, oppure perché hanno fallito il loro progetto di matrimonio, e aiutarle a ritrovare, all’interno di una situazione cambiata, la presenza di Dio che accompagna sempre la sofferenza di ogni uomo e non lascia mai solo nessuno. A tal proposito non possiamo non ricordare la preziosa opera del Consultorio Diocesano per le famiglie e quella della Pastorale Familiare diocesana che, seppure con competenze diverse, si impegnano ad accompagnare e sostenere le varie problematiche spirituali e materiali delle famiglie pontine.

Il tema spinoso dei divorziati risposati rispetto all’ammissione ai sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza. Sulla base della Relazione finale del Sinodo cosa devono aspettarsi dalla Chiesa pontina e in questa quale accoglienza trovano?

Un cattolico sincero, trovandosi nella condizione di divorziato risposato, vive nella sua coscienza una sofferenza molto profonda soprattutto perché non può ricevere la Grazia che scaturisce dai Sacramenti della confessione e dell’Eucaristia. Anche nella nostra Diocesi sempre più numerosi richiedono, a volte anche con risentimento verso gli insegnamenti della Chiesa, di essere riammessi alla Comunione Eucaristica. Solo chi fa un cammino cristiano più serio riesce a vivere con maggiore serenità quanto la Chiesa dispone per le coppie irregolari. Del resto non dobbiamo dimenticare che la Chiesa, partecipe e continuatrice nella storia della missione di salvezza di Cristo, riprende e rivive lo stesso atteggiamento pastorale del Suo Signore: questo è la suprema norma della vita e dell’opera della Chiesa. Gesù ha sempre difeso e proposto, senza alcun compromesso, la verità e la perfezione morale, mostrandosi nello stesso tempo accogliente e misericordioso verso la debolezza umana. Il rapido evolversi e, spesso, il deteriorarsi delle situazioni matrimoniali, come pure l’emergere sempre più frequente di questo problema pastorale ci sollecitano come presbiteri della Chiesa Pontina ad essere più attenti, più accoglienti e compresivi verso le cosiddette famiglie ferite. È un primo passo necessario perché ognuno possa sentirsi in Comunione con la Chiesa di Gesù Cristo “Madre e Maestra”.

L’attenzione pastorale alle persone omosessuali, altro tema che ha polarizzato l’attenzione, come sarà concretizzato nella diocesi pontina?

Nei confronti delle persone direttamente coinvolte in unioni dello stesso sesso si è disponibili a porsi in loro ascolto, ma senza rinunciare a ribadire il valore antropologico e religioso che l’unione naturale tra l’uomo e la donna assume per la difesa della specie umana la realizzazione del disegno divino. È bene che ci sia al riguardo una conduzione pastorale “aperta” a questo particolare fenomeno sociale dei nostri tempi, non ghettizzante ma, allo stesso tempo, fermo a non cedere a compromessi, a forme di relativismo, con la precisa missione di affermare senza imposizioni, sempre ed in ogni luogo, l’insegnamento della Chiesa secondo il diritto naturale.