Ripresi gli incontri del clero

Si è tenuto mercoledì 17 settembre, nella Curia Vescovile di Latina, il primo incontro del clero diocesano per il nuovo anno pastorale. Un appuntamento atteso, perché convocato per l’elezione del nuovo Consiglio presbiterale, organismo di sacerdoti diocesani e religiosi chiamato a coadiuvare il Vescovo nell’esercizio del suo ministero. Prima dell’apertura del seggio elettorale, monsignor Mariano Crociata ha tenuto un ampio intervento, in cui ha tratteggiato per sommi capi gli Orientamenti pastorali diocesani, facendo attenzione a sottolineare la missione particolare dei presbiteri e dei diaconi. Per il Vescovo il tema pastorale del prossimo triennio – sintetizzato nel titolo della Lettera pastorale «Vogliamo incontrare Gesù» – e la sua prima declinazione nell’anno pastorale 2014–15 – «Vogliamo incontrare Gesù Parola di Dio: ricominciamo dall’ascolto» – interpellano anzitutto i sacerdoti: infatti l’incontro con Gesù non è mai scontato, neanche per un prete. La Parola di Dio, che Cristo annuncia e anzi che Egli stesso è, svela a ciascun ministro la sua identità e la sua vocazione. A ben guardare la Chiesa, e ciascun ministro ordinato al suo interno, non esiste se non per evangelizzare, cioè per proclamare la Parola. E nessuno può annunciare in maniera credibile ciò che non si sforza di vivere personalmente. Vivere la Parola significa soprattutto – precisa Crociata – superare l’autoreferenzialità e sforzarsi di dotare la nostra Chiesa di un volto fraterno e accogliente. Un volto che deve risplendere in primo luogo all’interno del collegio presbiterale: nessun prete vive e agisce da battitore libero, dal momento che con l’Ordinazione è stato cooptato in un organismo – il presbiterio – che lo precede e nel quale soltanto può realizzare la propria identità ministeriale. Il ministero presbiterale non può rinunciare a questo orizzonte comunitario, che deve informare ogni attività, anche la più ordinaria. Ciò significa concretamente: 1) assumere con determinazione il cammino pastorale della Diocesi; 2) adottare un metodo «sinodale» di progettazione e di lavoro, a livello di Uffici pastorali (che devono adottare una dimensione più partecipativa), di vicarie (che devono tendere a costruire tra le parrocchie un tessuto pastorale condiviso) e di parrocchie (chiamate ad una crescente corresponsabilizzazione dei laici); 3) aver cura della formazione permanente. Quest’ultimo aspetto – che per il Vescovo potrebbe anche assumere il nome più audace di «riforma del clero» – significa per ciascun prete prendersi cura della propria fede e della propria vocazione, nella consapevolezza che la formazione non si realizza ordinariamente al di fuori della quotidiana attività pastorale, ma anzi proprio nel normale esercizio del ministero. Il prete, insomma, diventa «santo» semplicemente «facendo» il prete, sul serio e fino in fondo.

 

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