OMELIA
Veglia di Pentecoste, 18 maggio 2024
Cattedrale di San Marco, Latina
+ Mariano Crociata
Vi invito innanzitutto a cogliere il segno del nostro ritrovarci qui stasera a celebrare e pregare nella Veglia di Pentecoste. Al di là delle circostanze contingenti, ciò che ci ha spinti a farlo è ultimamente lo Spirito che celebriamo nel giorno liturgico della sua effusione che genera il nostro essere Chiesa e rinnova il mondo. Siamo qui perché sappiamo che da qui, dalla Pentecoste, viene tutto ciò che siamo e possiamo diventare. Senza lo Spirito non siamo nulla; in Lui siamo plasmati come credenti e formati come Chiesa. Siamo qui per diventare veramente ciò che siamo. Perché, ahimè, si dà il caso che veniamo meno a ciò che siamo e che dovremmo essere.
In questi anni, e fino a oggi, ci siamo sempre molto preoccupati di come far fronte alle trasformazioni che ci obbligano a calcolare le nostre forze e a ridistribuirle sempre meglio. Nella prossima assemblea di giugno dovremo parlare, come ho già fatto con presbiteri e diaconi, di come cercare migliori forme di collaborazione in presenza di una riduzione di personale e di collaborazioni. Siamo costretti a farlo per ragioni di necessità, ma non basta.
Per la verità non abbiamo aggirato le domande che sempre i profeti propongono e che ora vogliamo riproporre: che cosa vuole il Signore da noi? Che cosa ci sta chiedendo? Che cosa ci vuole dire? Rispondere a simili domande è frutto di un lungo processo di preghiera e di discernimento, non certo di poche battute messe su sbrigativamente. Ma è importante imbroccare la giusta direzione. E la direzione si coglie se si vede bene ciò che ci aspetta. Forse noi pensiamo che ciò che ci aspetta sia semplicemente – semplicemente per modo di dire – una riduzione di numeri, un ridimensionamento quantitativo. Non è così. Quello che ci aspetta non è un mondo con meno praticanti, ma con una umanità diversa.
Avete notato come insegnanti di scuola primaria materna ed elementare, e anche nostri catechisti, denunciano difficoltà inedite e insormontabili per l’incapacità di attenzione e le difficoltà di apprendimento e di socializzazione che molti bambini e ragazzi rivelano? Social media e l’incombente Intelligenza Artificiale hanno cominciato a sconvolgere l’apprendimento e lo stile di vita di tutti, piccoli, adolescenti e grandi. Cambiano le relazioni tra le persone, il modo di essere, di sentirsi e di rapportarsi tra uomini e donne; c’è un senso nuovo di libertà da ogni forma di convenzione e di costrizione. Il consumo, poi, sembra essere diventato il modo nuovo di stare al mondo e di rapportarsi con le cose, con gli animali, con le persone e anche con se stessi. Solo esempi quasi presi a caso. Ciò che voglio dire è che non ci aspetta un mondo meno religioso, ma un modo diverso di essere umani a questo mondo. Il punto è che non siamo in grado di immaginare come sarà il mondo che ci attende. E guardando a questo ignoto dinanzi a noi, la domanda si fa più precisa.
Il suggerimento lo prendo dalle molte circostanze in cui il popolo di Israele, secondo la narrazione biblica – pensiamo al cammino dell’esodo – si è trovato di fronte a nemici più attrezzati per armamenti e imponenti per numero. Il motivo ricorrente di queste narrazioni è che a salvare non è la forza di cui può disporre il popolo, ma la potenza che Dio mette in campo. Ciò che è chiesto al popolo è di fidarsi del suo Dio, del Dio che lo ha fatto uscire dalla schiavitù dell’Egitto, e di assecondarlo. La situazione nella quale ci troviamo assomiglia a questa della narrazione biblica. Di fronte a un nemico di gran lunga più forte e sconosciuto, ciò che conta, ciò che salva, è fidarsi di Dio e tornare a fare affidamento innanzitutto su di Lui.
Vi confesso che tante volte fanno sorridere tanti tentativi di escogitare chissà che cosa per tornare ad essere efficienti, convincenti, coinvolgenti. Come se potessero bastare tecniche di non so qual genere. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è il ritorno all’essenziale, a ciò che dobbiamo essere, prima che a ciò che dobbiamo fare. La Pentecoste ci ripete con estrema sicurezza ed essenzialità che Dio mette a disposizione la sua grazia senza riserve, ci fa dono di se stesso, ci trasmette se stesso donandoci lo Spirito della sua sapienza e del suo amore. Non si è stancato di farlo. Dio c’è, è all’opera, in mezzo a noi e lontano da noi, in mezzo ai nostri e in mezzo a coloro che non sono dei nostri. Dio fa il suo mestiere, per così dire, qualunque sia la nostra preoccupazione e il nostro affanno, le nostre paure e le nostre ansie da prestazione. Egli ci chiede: vuoi fidarti di me, o preferisci andar dietro alle tue fisime e alle tue illusorie sicurezze? Anche il mondo che verrà sarà il mondo di Dio, seppure non riusciamo a immaginare come. Il punto è come ci prepariamo a far parte del mondo che Dio sta costruendo, così diverso da questo ma così ugualmente di Dio.
Delle letture ascoltate tratteniamo queste immagini: saliamo sul monte su cui Dio sta per scendere, apriamoci allo Spirito che Dio effonde su tutti, beviamo alla sorgente da cui scaturisce l’acqua viva dello Spirito. E poi non dimentichiamo che, come dice san Paolo, sta nascendo un mondo nuovo che è in gestazione, si prepara un nuovo parto: entriamo attivamente partecipi in questo processo di gestazione di un mondo nuovo. Che cosa ci vuole? Che cosa è l’essenziale a cui tornare?
Innanzitutto, la familiarità e l’intimità con Dio. È l’unica cosa che può darci la forza di rimanere saldi. Non sono pratiche esteriori che possono salvarci, ma solo un attaccamento profondo di fede e di speranza al Signore che si consuma sulla croce pur di donarci la sua vita e il suo Spirito. Il nostro essere Chiesa così generato dovrebbe servire soprattutto a questo, a dirci la grazia e l’amore che Dio senza limiti ci riserva, così da far rinascere sempre di nuovo in noi il desiderio di appartenergli.
In secondo luogo, dobbiamo rimanere ancorati al vangelo, da conoscere e assimilare sempre di più. Vangelo vuol dire ascolto, meditazione, preghiera, propositi e decisioni ma anche studio e cultura. Lo sforzo di capire e di interpretare ciò che accade attorno a noi è un modo di onorare l’intelligenza della realtà che Dio ci ha dato e nella quale non cessa di operare.
In terzo luogo, abbiamo bisogno di benevolenza gli uni verso gli altri nelle nostre comunità, e verso tutti quelli con cui abbiamo a che fare, lontani, indifferenti o anche ostili. Uno sguardo di benevolenza che riveli a noi e a tutti la benevolenza da cui nasciamo come credenti e in cui cresciamo e siamo salvati. Mettiamo da parte le amarezze e i risentimenti, soprattutto la rabbia e i discorsi di odio in cui ci lasciamo facilmente irretire, per dire a noi e a tutti che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio.
Questa Pentecoste ci tocchi con il desiderio nel cuore di più intimità con Dio, di più vangelo, di più benevolenza.