Omelia per il Pellegrinaggio della statua della Madonna di Loreto

01-03-2021

OMELIA

Pellegrinaggio della statua della Madonna di Loreto

(Is 11,1-5.10; Gal 4,4-7; Lc 1,26-38)

S. Domenico Savio, Terracina, 1° marzo 2021

+ Mariano Crociata

La nostra diocesi sta sperimentando in questi giorni un tempo di grazia con la visita della statua della Madonna di Loreto, in occasione del giubileo per il centenario della sua intitolazione a patrona degli aeronauti. La presenza significativa nel territorio della nostra diocesi di rilevanti insediamenti dell’aeronautica militare tocca naturalmente tutta la nostra Chiesa e chiede un’attenzione verso quanti svolgono servizio nelle strutture militari, anche se essi sono pastoralmente curati dall’ordinariato dedicato.

La presenza dell’immagine della Madonna di Loreto qui stasera – dopo la preghiera per commemorare il maggiore Gabriele Orlandi, scomparso proprio nello specchio di mare antistante, e domani ancora la visita a Latina nella parrocchia che porta il titolo della Madonna di Loreto e poi in cattedrale – costituisce un’occasione singolare per attingere anche noi al carisma della santa Casa. Dobbiamo però prima almeno richiamare l’origine della devozione, che risale ai tempi nei quali diventava difficile praticare la fede cristiana nella terra di Gesù. Dobbiamo guardarci, al riguardo, dall’emettere sbrigativi giudizi storici e religiosi su epoche e vicende complesse. Quel che interessa invece sottolineare è che la fede può, per così dire, emigrare; e nondimeno la fede rimane anche, ed è lì rimasta, spesso a costo di persecuzioni. Basti però questo spunto per lasciar intravedere temi impegnativi per la nostra riflessione e la nostra preghiera. Certo è che non dobbiamo dimenticarci della presenza cristiana nella terra di Gesù.

Quello che ho chiamato il carisma di Loreto si lega alla santa Casa, luogo della vita di Maria che – «quando venne la pienezza del tempo» –  riceve l’annuncio dell’angelo e, con lei, di Gesù e Giuseppe negli anni della vita nascosta. C’è un messaggio sulla casa, sulla vita nella casa, che viene da Maria e dalla sua abitazione a Nazaret, che ora vogliamo raccogliere e ribadire. Esso assume un significato da intendere bene, quando Dio visita in maniera così singolare Maria, rendendola madre del Salvatore; e ancora più singolare è che il figlio di Dio incarnato crescerà e condurrà la sua vita per lunghi anni in quella casa, una casa normale, quale poteva essere quella di un modesto artigiano. Questo ci riempie di stupore: noi che siamo abituati a templi sontuosi e ricchi di ori, arte e ornamenti (e per fortuna che tanta ricchezza e bellezza sia stata creata e profusa per la casa di Dio), al punto che la stessa santa Casa a Loreto, pur rimanendo semplice e ancora riconoscibile nella scarna materialità delle sue pietre, sia stata rivestita di  marmi pregiati, per esprimere protezione, amore e devozione, noi non possiamo perdere di vista che Dio non ha disdegnato, non ha ritenuto disonorevole abitare in una casa di gente semplice, del popolo, e non in un tempio o in un palazzo.

La verità è che Dio abita i luoghi della vita ordinaria, non ama stare lontano dai luoghi e dalle condizioni in cui le persone ordinariamente svolgono le loro incombenze e conducono la loro esistenza. Proprio questo è il punto, che in realtà Dio non abita nelle chiese – con tutto il rispetto, e anzi l’adorazione, per colui che è conservato nei tabernacoli e per tutti i segni sacri che popolano, e talora affollano, le nostre chiese – ma abita nei luoghi della vita, perché abita nei cuori delle persone. E le persone non vivono in chiesa; nemmeno un prete vive in chiesa. La chiesa è luogo di raduno dell’assemblea dei credenti, per l’ascolto e la celebrazione (e in questi tempi di pandemia, magari qualcosa di più); ma poi la vita si incarica di chiederci di compiere tutte le incombenze necessarie per andare avanti là dove esse possono essere svolte, negli ambienti di lavoro, negli uffici e a scuola, per le strade e nei luoghi di ritrovo o di scambio, e prima di tutto nella casa.

Nella casa si ritrova se stessi e ci possiamo prendere cura di noi stessi; soprattutto nella casa ci prendiamo cura gli uni degli altri, a cominciare da chi sta crescendo e da chi deve imparare l’arte che fa essere umani. La santa Casa sta a ricordarci che questo è Dio e questo è venuto a fare sulla terra: vivere la casa e insegnare a vivere la casa, come luogo di grazia e di amore di Dio, luogo della fecondità dello Spirito, luogo che fa sorgere la vita di Dio e la fa crescere fino alla sua pienezza. Se Dio non abita nelle nostre case, come possiamo trovarlo nelle chiese? E abita le nostre case se abita in noi, se di Lui ascoltiamo la Parola e a Lui si leva la nostra preghiera. Le case sono il riflesso del nostro mondo interiore: esse mostrano il grado di formazione e di maturità, lo stile e la qualità della preghiera e della vita spirituale che coltiviamo. La casa può diventare, allora, perfino un tempio sacro, perché in essa rendiamo a Dio il culto spirituale, cioè il culto della vita, quando alle fatiche e alle gioie quotidiane si uniscono i buoni pensieri e la preghiera costante. La casa è il luogo della fraternità; in essa si impara a stare insieme, ad aiutarsi gli uni gli altri, a rapportarsi con fiducia e senso di rispetto, di attenzione e di collaborazione. La casa ha la vocazione di rendere umano il mondo e di farlo diventare la grande casa della comunità umana tutta intera. Se la terra è inquinata, è perché le nostre case sono inquinate, disordinate, sporche, come lo sono i nostri cuori e i nostri rapporti. La casa è il simbolo della famiglia, perché la prima casa è la comunione d’amore, la sincerità degli affetti, la casa del cuore dove sentiamo davvero di essere accolti e di poter abitare a nostro agio.

Abitare è la cifra della nostra convivenza da diversi punti di vista, morale e religioso, sociale ed economico, psicologico e fisico. Dobbiamo tornare a riflettere per verificare a che punto siamo del cammino e come vogliamo andare avanti. Arriviamo così a questioni di grande attualità che non è consentito evadere, sia per la nostra coscienza umana sia per il nostro senso della fede. C’è, innanzitutto, un problema sociale, per molti che non riescono ad avere una propria casa e non hanno i mezzi per mettere su casa. Accanto ad essi, il pensiero va a quanti sono senza tetto, senza fissa dimora, sbandati. Possiamo rimanere indifferenti di fronte a simile radicale disagio? Non avere un luogo dove trovarsi con se stessi, è in qualche modo vivere espropriati di se stessi, alienati. Si può scegliere di non avere una casa, come Gesù – che non aveva dove «posare il capo» (Mt 8,20), dal momento che ha lasciato la sua casa di Nazaret e si è fatto predicatore e taumaturgo itinerante –, ma non avere una casa non è una condizione in cui si possa condurre una vita normale. In questo tempo di pandemia, infine, non dobbiamo dimenticare che stare sempre e solo in casa può far male, può arrivare a far stare male e a diventare a sua volta alienante, quando le relazioni si alterano e tutto diventa motivo di tensione e di scontro.

Maria ci invita a coltivare il senso della presenza di Dio, lo spirito di raccoglimento e di preghiera, un clima di armonia e di comunione con gli altri nella dedizione reciproca e nella capacità di essere attenti e generosi gli uni verso gli altri. Non è una condizione facile da raggiungere, quasi bastasse un po’ di buona volontà. C’è bisogno invece di un lungo tirocinio, fatto spesso di sacrifici e di rinunce, ma sostenuto dall’amore sincero e dalla forza che viene dall’alto. Invocare Maria, e insieme a lei pregare il Padre, chiedere l’intercessione di Cristo Gesù, accogliere la luce e la forza dello Spirito Santo, rende possibile vivere bene la casa, fare famiglia, costruire futuro.

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