OMELIA
XXIX TO A, Memoria del beato don Pino Puglisi
S. Maria Odigitria, Roma – 18 ottobre 2014
+ Mariano Crociata
Diversi sono i motivi di preghiera e di ringraziamento che si intrecciano nella nostra celebrazione: la giornata missionaria mondiale, la chiusura del Sinodo dei vescovi, la beatificazione di Paolo VI. Non facciamo fatica a tenerli uniti, sapendo che tutto racchiude il cuore di Cristo nel quale la Chiesa rinnova l’offerta del sacrificio supremo con il sacramento dell’eucaristia.
L’insieme di quei motivi si raccoglie per noi nel giorno del Signore, appuntamento che sostiene il nostro quotidiano cammino di credenti. Soprattutto ci permette di rivivere con un respiro cattolico la memoria liturgica del beato don Pino Puglisi, che entra in un rapporto di reciproca illuminazione con le pagine della Scrittura di questa domenica.
Sono pagine che ci costringono, per così dire, a uscire fuori dal recinto sacro per immergerci nel corso travagliato della storia. Un ‘uscire’ che papa Francesco ha indicato in forma programmatica come compito peculiare per la Chiesa di questo tempo e che sempre la nostra fede ci ispira a intraprendere per diventare fermento del Regno nella vita di tutti i giorni. È un compito che può turbare il nostro bisogno di quiete, di ritiro e di raccoglimento, se non di evasione. L’andare in chiesa è, non raramente, espressione dell’esigenza di sottrarsi a una dispersione e a uno stress che ci logorano interiormente prima che fisicamente. Sarebbe proprio strano reprimere questo bisogno che non è solo psicologico, ma spirituale, poiché scaturisce dal presentimento di trovare ristoro e salvezza nel Signore, che non cessa di invitarci: venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi. Solo che l’andare a lui è il momento necessario per rinfrancarsi e ritrovare luce, in modo tale che la vita intera, proprio nella sua condizione profana, sia compresa e assunta nella forza della fede e della carità. Bisogna sempre di nuovo imparare a unire preghiera e vita, celebrazione e storia, perché la vita e la storia sono luogo della presenza di Dio non meno dello spazio sacro e del tempo liturgico. Lo aveva compreso bene don Pino Puglisi, che non considerava estranea alle esigenze della fede la vita quotidiana e l’intera vicenda sociale.
La Scrittura oggi ci ricorda che tutta la storia è storia di Dio, non nel senso che tutto ciò che avviene è direttamente effetto di una sua iniziativa, ma nel senso che egli conduce tutto a salvezza servendosi della libera disponibilità dell’uomo, talora perfino in circostanze apparentemente estranee e con persone che non lo conoscono nemmeno, come è il caso di Ciro, di cui parla la pagina di Isaia (45,1.4-6). Il Signore, tuttavia, chiede in particolare ai credenti in lui di farsi strumento della sua iniziativa di salvezza anche nelle più minute e ordinarie circostanze della vita. Come don Pino Puglisi, chiamato a svolgere i servizi pastorali più comuni, propri di un prete tra altri dentro la rete complessa di persone e di organismi e attività di una grande diocesi.
La pagina evangelica (Mt 22,15-21), assurta a universale riferimento proverbiale, ci fa entrare più intimamente nel rapporto dialettico tra sacro e profano, non solo al livello più istituzionale di Stato e Chiesa, ma più concretamente tra coscienza cristiana e responsabilità civile. È chiaro che con l’impero romano Gesù e i suoi connazionali hanno dinanzi un potere assoluto, ma l’analogia vale anche oggi nelle società democratiche, per le tante situazioni di conflitto di coscienza di fronte alle pretese, se non della legge – e si dà anche questo –, certamente della cultura dominante, non a caso definita da qualcuno ‘pensiero unico’. Conosciamo la spiegazione che va data del dialogo tra Gesù e farisei ed erodiani uniti, nel quale Gesù sposta l’attenzione dal livello legale e giuridico a quello teologico e antropologico. Il problema, egli vuole dire, non è se si devono o meno pagare le tasse, ma chi è l’uomo e a chi appartiene, chi ha il potere di comandare su di lui e a chi egli debba ultimamente rispondere e obbedire. C’è una distinzione di piani da fare. La vita nella società ha bisogno di ordinamenti e di autorità, a cui bisogna attenersi – per quanto di competenza – al fine di assicurare una ordinata convivenza. Ma non c’è niente di terreno e umano che possa garantire la riuscita piena e ultimamente la salvezza della persona umana, all’infuori di colui che l’ha creata imprimendo in essa la propria immagine e conferendole una dignità assoluta di fronte alla quale tutti sono tenuti a piegarsi.
La salutare separazione tra religione e politica, tra Stato e Chiesa che discendono da questo principio, ha messo al sicuro sempre più chiaramente, nel corso della storia cristiana, l’autonomia della politica nel proprio ordine e la libertà religiosa per altro verso. Naturalmente la distinzione non può voler dire separazione, bensì esclusione di ogni forma di strumentalizzazione della religione per fini politici e, viceversa, di utilizzazione della politica per fini religiosi; o, in altri termini, di ogni forma di sacralizzazione della politica e di secolarizzazione della religione. Sarebbe importante sviluppare le implicazioni di tale impostazione sulla presenza dei credenti nella società e nell’attività politica e istituzionale. Basti dire che oggi si tratta di coniugare la libera coscienza e le relative convinzioni dei credenti con il dialogo tra le diverse presenze per l’edificazione della casa comune. Distinzione e autonomia anche oggi sono minacciate, in forme molto sottili nel mondo occidentale, ma con pericolo della vita in non poche regioni del pianeta. Il pensiero va proprio a quei territori dai quali veniva Ciro e a quelli circostanti, nei quali proprio la non superata commistione tra religione e politica non cessa di produrre effetti aberranti e drammatici. Le forme estreme di tale commistione, infatti, hanno in ultimo l’effetto di generare violenza omicida.
La fede cristiana è chiamata a testimoniare e affermare anche oggi che l’essere umano non può adorare nessuno al di fuori di Dio, non può vendere l’anima a nessun idolo, sia esso fatto di materia inanimata e che di carne. La persona trova se stessa, la propria verità e la propria salvezza solo in Dio, perciò non può piegarsi a nessun potere, dichiarato o subdolo che sia, che pretenda di sostituirsi a Dio.
Don Pino Puglisi è martire di questa verità e di questa fede. Perché egli è stato immolato da un potere che pretende di sostituirsi non solo allo Stato e alle sua legittime istituzioni e leggi, ma a Dio stesso, rispetto al quale utilizza e scimmiotta anche forme religiose. Per questo, contrastare la cultura mafiosa e la malavita organizzata è diventato un modo necessario di dare autenticità e coerenza alla fede nel mondo di oggi.
Mentre plaudo all’iniziativa della Confraternita e sono grato di avere avuto l’occasione di celebrare la memoria del beato don Pino Puglisi, invito me e voi a considerare la responsabilità che abbiamo, come credenti e come siciliani, di prendere nettamente le distanze e contrastare una cultura e una attività anti-umana che è nata ed è cresciuta innanzitutto nella nostra terra. La fede ci dà la certezza che proprio quella terra ha la possibilità di generare nuovi santi, come è avvenuto nel passato e come abbiamo potuto sperimentare anche nel presente, con la figura esemplare e mite del beato don Pino Puglisi.