Sono tanti i pensieri e le emozioni che si affollano dentro di noi in questa celebrazione, solenne e intima allo stesso tempo, nella quale impressioni e riflessioni vengono raccolte per trovarvi significato, disposizione ordinata e pace. Il Signore ci parla in tanti modi oggi: attraverso la Parola e l’Eucaristia, innanzitutto; attraverso la persona di suor Carol e la sua comunità; attraverso la travagliata storia di questo tempo; attraverso questa cittadina e la sua chiesa di S. Salvatore.
Ho accettato di celebrare qui la professione solenne di suor Carol volendo accogliere la richiesta sua e della comunità. È un edificio fatiscente anche se sicuro, che ci costringe, pure in un momento di festa e di gioia, a tenere vivo il ricordo del dramma che tanti cristiani stanno vivendo in Siria e altrove a causa di una violenza insensata scatenata ormai da troppo tempo. In quelle regioni, innumerevoli edifici sacri sono ridotti anche peggio di questo, da conflitti armati che non si riesce o non si vuole fermare, i cui effetti più drammatici sono le inaudite sofferenze e la morte procurate a un numero incalcolabile di persone, tra cui molti cristiani, minoranza – questa – che magari stentava a sopravvivere o conosceva una pace in condizione protetta, e ora si trova a essere perseguitata e a rischiare l’estinzione. Qui, invece, tocchiamo con mano l’incuria dell’uomo e la scomparsa di una presenza religiosa significativa, che vede inesorabilmente ridursi a minoranza una massa religiosa dalla fede sempre più estenuata e flebile.
La professione religiosa di suor Carol si inserisce in questo contesto come un evento di grazia e un segno di speranza. Innanzitutto per la comunità monastica fondata da p. Paolo Dall’Oglio. Ma poi anche per tutti noi. La comunità di Mar Musa è qui da diversi anni, con il suo impegno di preghiera, di formazione e di studio, a testimoniare profeticamente il primato di Dio e la fiducia nel dialogo tra lontani e diversi perfino in tempi e luoghi dove deflagra la guerra. Da oggi la comunità ha un motivo in più per guardare avanti e noi tutti siamo invitati a raccoglierne il segno e a farlo fruttificare. La nostra Chiesa particolare viene interpellata nella sua responsabilità di fronte alla storia di questo tempo: a partire dalla cura di questo luogo, dove è piantata un’esperienza monastica che attende di vedere consolidata la sua presenza e nutre la speranza di fermentare la nostra vita di fede ormai posta in un mondo diventato anche per noi complesso e plurale.
E la speranza non può nascere e alimentarsi al di fuori di un coinvolgimento e di un impegno in prima persona, come quello che sta assumendo suor Carol. C’è speranza per noi e per il nostro mondo a misura del nostro metterci in gioco, del nostro sporcarci le mani, come è stato necessario fare letteralmente per preparare questa chiesa cadente alla celebrazione; e come è possibile e doveroso fare in tutte le situazioni che ci sono consegnate, dalle decisioni di fondo per la vita fino alle scelte più minute e quotidiane in cui è chiamata a esprimersi la nostra libertà e la nostra prospettiva di fede.
Nelle pagine della Scrittura ascoltate suor Carol ha accolto la chiamata del Signore a seguirlo in ubbidienza, castità e povertà. Quelle che per lei sono voti da professare per tutta la vita, per noi rimangono comunque vie da percorrere per seguire il cammino di Gesù e rimanere nel cuore del suo Vangelo per una vita piena.
Nel brano di Genesi (22,1-8), il cosiddetto sacrificio di Isacco rimane come monito per la fede di ogni tempo. Una fede che mostra la sua autenticità nella obbedienza carica di fiducia con cui Abramo si affida a Dio: perché l’obbedienza è la verità della fede, la quale mostra di fidarsi con i fatti prima che con le parole; meglio ancora, con i fatti che contengono l’intelligenza della verità. Il brano di Efesini (2,13-16) canta la riconciliazione e la pace procurate dal sangue di Cristo, che fa di due un solo popolo, aprendo così a una sponsalità che cerca l’unione anche con l’altro più lontano con l’integrità e la trasparenza della vera castità, come è nel carisma e nella spiritualità di Mar Musa. Il Vangelo (Gv 21,15-18) parla di una povertà che non ha a che fare solo con l’uso del denaro, ma piuttosto con il rapporto con se stessi, presentandoci un Pietro che deve liberarsi del suo senso di colpa e del suo bisogno di giustificarsi o forse anche di punirsi; una libertà, dunque, che è libertà da se stessi per lasciarsi amare e condurre dove il Signore chiama, con indivisibile leggerezza e dedizione, gioia e sacrificio di sé. Mirabile e originale trittico questo che le letture ci presentano. Suor Carol l’abbraccia con piena convinzione come regola di vita, sostenuta dalla preghiera e dalla fraternità della comunità monastica e di tutti noi; noi, che l’accogliamo come ideale a cui tendere e come fonte di autenticità e di beatitudine.
In questo modo la professione solenne di suor Carol parla a noi oggi il linguaggio dell’esistenza accolta come un dono e offerta in generosità come il sacrificio perfetto che rende lode a Dio nel culto e nella vita, come eucaristia totale in cui si condensano i drammi e le gioie dell’umanità intera. Che questo gesto si compia nel giorno della festa di san Francesco d’Assisi non è altro che il coronamento della gioia del dono di sé con la presenza e l’accompagnamento di una testimonianza sublime del primato di Dio, unica ricchezza, Signore assoluto, amore perfetto.
+ Mariano Crociata