SALUTO
Convegno dell’Osservatorio per la Sicurezza e legalità della Regione Lazio
sullo sfruttamento dei braccianti agricoli sikh nella provincia di Latina
Latina, 20 ottobre 2014
+ Mariano Crociata
Porto volentieri il saluto e l’incoraggiamento della nostra Chiesa a questa iniziativa dell’Osservatorio regionale per la Sicurezza e legalità, mirante a focalizzare la condizione degli immigrati di origine indiana che lavorano nel territorio della provincia di Latina. Non mi è difficile farlo, dal momento che la nostra presenza permette di seguire una evoluzione che si segnala da tempo alle nostre strutture caritative – grazie alle quali peraltro è maturato il progetto di un convegno che avrà luogo ai primi di novembre prossimo –; una evoluzione che ha dato luogo anche a contatti di carattere specificamente interreligioso proprio con i rappresentanti regionali e nazionali della popolazione immigrata sikh.
L’orizzonte più vasto – nazionale ed europeo – in cui si colloca la presenza di immigrati nel nostro territorio basta a far rilevare implicazioni che sfuggono alla presa dei soli nostri tentativi di analisi e di risposta, e tuttavia la conoscenza diretta delle condizioni di vita e di lavoro nel tessuto agricolo e urbano delle nostre zone contribuisce in maniera determinante a individuare le cause dei disagi e le misure necessarie a contrastarle. Ciò che appare chiaro anche ad un primo approccio è che una considerazione del problema esclusivamente in termini di sostenibilità economica e di ordine pubblico risulta inadeguata rispetto alle stesse esigenze sociali complessive. La più immediata di queste esigenze interessa il livello socio-culturale, e cioè il significato della presenza degli immigrati e le istanze che essa avanza nei confronti delle dinamiche della nostra convivenza dal punto di vista della sua articolazione interna e delle sue prospettive.
L’aspetto più delicato, ma anche meno ponderabile, sta nell’atteggiamento reciproco, di chi accoglie e di chi arriva. Anche a distanza di diversi decenni dall’inizio del fenomeno, il punto nevralgico rimane il giudizio sull’altro, le aspettative nei suoi confronti e i calcoli che si fanno su di lui per integrarlo nelle proprie aspettative e nei propri progetti. Questo vale, in maniera diversa, per l’una e per l’altra parte. Si tratta, allora, di trasformare un atteggiamento di reciproco sospetto, pregiudizio e strumentalizzazione in relazioni coerenti con il riconoscimento dell’altro nella sua dignità di essere umano e nel suo valore personale e socio-culturale. Solo un processo guidato di buon vicinato e di conoscenza, e di educazione reciproca al rispetto e all’accoglienza, potrà condurre lentamente a una integrazione che superi il livello minimale della legalità per attestarsi sulla promozione di una convivenza che faccia sperimentare la ricchezza che gli uni rappresentano per gli altri. Alla legislazione nazionale e amministrativa e alle politiche sociali non può essere chiesto di perseguire formalmente un simile obiettivo, ma non c’è dubbio che la consapevolezza di tale importante condizione può favorire interventi istituzionali favorevoli e compatibili con la promozione di un rapporto fecondo tra etnie e culture diverse.
Desta amarezza apprendere notizie di sfruttamento, se non di maltrattamento, delle persone immigrate anche qui da noi. L’urgenza che tali fenomeni pongono induce ad esprimere apprezzamento e incoraggiamento per il lavoro che istituzioni statali e giudiziarie e forze dell’ordine svolgono nel contrastare e reprimere tutte le forme di ingiusto trattamento delle persone immigrate. La mia presenza qui aggiunge a questo impegno il richiamo al compito educativo che incombe sulle istituzioni della società civile come sulla comunità ecclesiale. Penso in particolare alla scuola, così importante per le nuove generazioni di immigrati, e a tutti quegli organismi, istituzionali e volontari, che raccolgono e convogliano le migliori energie per far crescere in consapevolezza e libertà antichi e nuovi cittadini. La Chiesa si sente parte di questa impresa, in maniera coerente con la sua missione pastorale.
Conforta il pensiero che la cultura sikh, fortemente coesa e solidale al proprio interno e in costante relazione con il Paese di origine, è in grado di accompagnare e sostenere un graduale processo di integrazione che non la snaturi ma porti a mettersi in relazione feconda con la nostra cultura. È importante ricordare, a questo proposito, che la religione sikh ha un forte senso del sostegno reciproco e di benevolenza nei confronti di tutti, e in particolare dei più bisognosi. Questa consonanza religiosa con la nostra cultura non potrà che portare frutti di più approfondita conoscenza e di crescente rapporto e collaborazione reciproca. Esprimo l’auspicio fiducioso che questa iniziativa concorra a predisporre quei passi necessari a ottenere la condanna e l’eliminazione di tutte le forme di oppressione e di umiliazione dell’essere umano che si verificano anche qui da noi, e crei le premesse per fare degli immigrati cittadini uguali in dignità, con gli stessi diritti e i medesimi doveri di tutti.