Omelia per il 25° Anniversario di ordinazione presbiterale di don Enrico Scaccia (20/10/2021 – Chiesa di S. Rita, Latina)

20-10-2021

Omelia per il 25° Anniversario di ordinazione presbiterale di don Enrico Scaccia

Latina, S. Rita, mercoledì 20 ottobre 2021 (XXIX settimana)

+ Mariano Crociata

I nostri anniversari parlano delle nostre relazioni più che di noi; sono importanti soprattutto per i nostri amici, per le persone che ci conoscono e per quelle che ci vogliono bene; gli anniversari, infatti, offrono l’occasione per dire la stima, l’affetto, la gratitudine che nutriamo per una persona. Così è stasera per te, don Enrico, a cui vogliamo dire, a cominciare da me personalmente a un titolo speciale, l’apprezzamento e la riconoscenza per ciò che tu sei e per ciò che fai. D’altra parte, questa ricorrenza è importante per te in un senso più profondo, perché, come ognuno di noi, tu hai bisogno di sostare in questa tappa del tuo ministero per dire grazie al Signore e per fare un bilancio, necessariamente provvisorio, del tuo servizio fino ad ora e riprendere con slancio il cammino presbiterale, sapendo di avere dinanzi a te almeno un altro paio di venticinquesimi, visto come vanno le cose di questi tempi.

Certo è un po’ azzardato guardare così lontano, specialmente dopo aver ascoltato il Vangelo di oggi, che parla di tenersi pronti, di essere vigilanti, perché non conosciamo né il giorno né l’ora. In realtà a me pare che il Vangelo punti sulla dimensione qualitativa del tempo più che sul calcolo quantitativo della durata. Non è la durata che conta, infatti, ma il modo come viviamo lo scorrere del tempo, a cominciare dal momento presente. Quale coscienza ne abbiamo? Verso che cosa siamo soprattutto attenti? Che cosa assorbe la nostra attenzione in questo momento, o anche che cosa ci tiene davvero occupati o, addirittura, preoccupati? Perché siamo così in ansia per tante cose che, alla lunga, ci accorgiamo che non sono davvero così importanti e che saranno lestamente sostituite da altre esse pure di poco conto e passeggere? A volte penso a come mi sono lasciato prendere da affanni e ansie per cose secondarie, mentre ho trascorso – cumulando tanti spezzoni di piccole durate – giorni, mesi e anni quasi dimentico delle cose che contano davvero e che durano e che mi ritroverò sempre. Viviamo quasi sempre sotto la pressione delle cose urgenti o che consideriamo tali; il difficile è imparare a non perdere di vista le cose veramente importanti, se necessario anche a scapito di quelle urgenti.

C’è dunque una saggezza del vivere che il Vangelo ci vuole infondere a partire dall’esperienza e dalla parola di Gesù. Ed è una saggezza che non conosce tempo o età per essere cercata e venire acquisita, perché si offre al presente di ognuno di noi. Certo venticinque anni sono un tempo adeguato per una verifica, ancor di più per chi di anni ne ha sulle spalle qualcuno in più. Senza che questo faccia sentire esonerato chi di anni ne ha di meno.

La cosa che trovo decisamente interessante del Vangelo è l’indicazione circa il modo adeguato per essere trovati pronti e vigilanti quando il padrone arriva senza conoscerne in anticipo né giorno né ora. Arriva a dire: beati loro se li troverà così. La beatitudine dell’essere trovati pronti tocca chi è occupato nel dare il necessario nutrimento ai servi e alle serve. Siamo di fronte, dunque, a una sorta di maggiordomo che ha cura dell’andamento ordinato della casa mettendo i servi e le serve nelle condizioni di svolgere il loro lavoro di tenuta della dimora comune. E il primo e principale modo di farlo consiste nell’assicurare la razione di cibo per ciascuno a tempo debito. Non di più, né di meno; né in anticipo, né in ritardo. Bellissima immagine! Avere cura della vita degli altri a partire dal nutrimento, da ciò che tiene in vita. È una bella rappresentazione del servizio ministeriale del presbitero. Il suo compito non è comandare, ma nutrire, assicurare il cibo necessario. Non è difficile pensare a tutto ciò che evoca questa immagine. Il cibo è il sostentamento quotidiano, ma è anche l’amicizia, la parola sensata e cordiale, la fiducia e il sostegno reciproco, la possibilità di contare sull’altro; ma è ancora di più la parola della fede e della Scrittura, la parola di Dio, l’Eucaristia, la fraternità cristiana, la condivisione dell’esperienza credente, la comunità ecclesiale.

Arriviamo così a capire che siamo tutti in gioco, perché non c’è nessuno su cui qualcun altro non abbia bisogno di contare per andare avanti. Soprattutto arriviamo a capire che per essere trovati pronti quando il padrone ritorna, non c’è bisogno di sforzi sperticati per stare svegli alle ore più improbabili; c’è bisogno invece di prendersi cura degli altri, gli uni degli altri, perché nessuno manchi del necessario per andare avanti e svolgere il compito della vita. È sicuro, cioè, che non sarà trovato pronto – ubriaco e violento, secondo l’immagine evangelica – chi trascura di nutrire quelli che ha avuto affidati per curarsi solo di se stesso e dei propri comodi.

Due aggiunte ci presenta sempre il Vangelo e poi anche il brano di Romani. Non tutti abbiamo ricevuto la stessa misura, c’è chi ha ricevuto molto e chi poco, chi dieci o cinque talenti, chi uno solo. Tutti dobbiamo rispondere, ma non alla stessa maniera, perché non abbiamo la stessa coscienza e la stessa capacità. Il di più comporta una responsabilità più grande e un esame più severo da parte del padrone al suo ritorno. C’è un esame che tutti dobbiamo fare, e certamente anche tu, don Enrico, per non parlare di me.

Quanto al passo della lettera ai Romani, sembra volerci dire che nessuno può essere senza padrone. Tutto sta a decidere quale padrone si vuole servire. Usa addirittura l’espressione “schiavi della giustizia”, ma volendo dire che là dove c’è la giustizia di Dio a governare la nostra vita, allora raggiungiamo la vera libertà, perché la generosità dell’amore divino riversato dallo Spirito nel nostro cuore, ci fa aderire spontaneamente alla parola e alla volontà del Signore secondo una corrispondenza per cui ciò che ci viene chiesto non è altra cosa da ciò che più profondamente desideriamo. E dove desiderio e verità si incontrano, lì c’è amore e libertà. Il servizio di nutrimento nei confronti dei fratelli non può essere compiuto come un dovere oneroso e penoso, ma come un debito di amore che sgorga dal nostro cuore con la spontaneità che unisce il dono dall’alto e la ricerca profonda che germoglia dal nostro essere.

Caro don Enrico, la parola di questo giorno nutre davvero tutti noi e, in modo speciale, il tuo ministero. L’augurio che ti porgo è che questa parola, come quella di ogni giorno, sia la razione di cibo adeguata a nutrirti oggi e ancora a lungo ogni giorno che verrà, con la consolante certezza che non verrà mai meno il tuo impegno per continuare a nutrire i fratelli che ti sono affidati.