Saluto al convegno nazionale AIDU (17/11/2017 – Roma)

19-11-2017

SALUTO

Convegno nazionale AIDU

Roma, 17 novembre 2017

Relazionalità e orientamento

+ Mariano Crociata

Nel porgervi il mio cordiale saluto, anche a nome dei vescovi della Commissione per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, mi piace esplicitare l’apprezzamento per l’impegno di riflessione, formazione e animazione culturale che la vostra associazione di docenti svolge nell’università e, per essa, nell’intera società italiana. Lo mostra con tutta evidenza il tema che avete scelto per il vostro convegno, attento sia alla dimensione relazionale tra gli attori del mondo accademico sia all’orientamento che in particolare gli studenti, forti dell’esperienza della formazione intellettuale maturata sotto la vostra guida, si accingono ad assumere entrando nei circuiti sociali in cui aspirano a dare attuazione alla loro competenza e alle loro idealità.

Portando il mio saluto, non ho la pretesa di entrare nel merito di dinamiche che solo voi potete adeguatamente interpretare e illuminare con l’esperienza e la competenza che vi appartiene, nella luce della fede che ci accomuna. Proprio in riferimento a questa mi permetto di offrire uno spunto che, nel richiamo di questioni di fondo, confido possa risultare utile allo svolgimento dei vostri lavori.

La cosiddetta Terza Ricerca (Third Quest) sul Gesù storico, portata avanti ormai da alcuni decenni, ha prodotto una conoscenza sempre più approfondita e articolata dell’identità storica e culturale dell’ebreo Gesù. In particolare negli ultimi vent’anni l’attenzione è stata portata anche sulle relazioni di Gesù. Uno degli ultimi numeri di una rivista di divulgazione teologica ha per titolo Gesù Cristo, Signore delle relazioni . E in realtà lo studio critico delle fonti evangeliche e dei repertori di altre fonti utilizzati dalla ricerca fa emergere una ricchezza di relazioni attorno alla sua persona che presentano anche alcune precise caratteristiche, come la sequela, la tenerezza, la gradualità, la franchezza, il mistero, la libertà . Secondo James Dunn, Gesù ha voluto creare una sorta di «nuova famiglia», non nel senso di un nuovo raggruppamento sociale, ma di «una comunità legata da “amore fraterno”, che si distingue per l’apertura agli emarginati, per i membri che si preoccupano gli uni degli altri come si farebbe per amore di un fratello o di una sorella, e non per dovere gerarchico, per la funzione sacerdotale o per giochi di potere» . Sono, questi, elementi scarni ma estremamente evocativi, che tuttavia non possono eguagliare la visione di un tessuto ricco di relazioni quali noi siamo abituati a cogliere nella nostra multiforme frequentazione del testo evangelico e nella sua lettura spirituale. La ragione di questo scarto ce la indica con estrema semplicità John Meier, che al tema ha dedicato un ponderoso volume, il terzo della sua estesa opera, Un ebreo marginale , il quale ci tiene a precisare che «il ‘Gesù storico’ non deve essere ingenuamente identificato con la realtà totale di Gesù di Nazaret» . Proprio nell’atto in cui riusciamo a tratteggiare con acribia critica alcune fattezze umane e relazionali di Gesù di Nazaret, dobbiamo trattenerci dal lasciar correre la nostra immaginazione e la nostra sincera ispirazione credente dietro elementi che non riescono ad altro se non a darci qualche cenno che non consente di intravedere oltre.

Intravedere oltre, in realtà, non è nel potere della critica storica, perché esige di inoltrarsi su un terreno che, senza abbandonare gli strumenti della conoscenza critica, si avvale di un’altra luce, quella che la fede della Chiesa ha alimentato nel corso della sua storia. Gli stessi vangeli nascono in quella medesima luce, che coglie gradualmente la profondità del mistero di Gesù Cristo attraverso il riconoscimento del senso della sua presenza, dei suoi gesti e delle sue parole, tutto convergente in un punto, la sua relazione con Dio. Qui troviamo il centro della sua persona e del suo orientamento di vita, la relazione da cui sgorgano e dipendono tutte le altre relazioni.

Tutti e quattro i vangeli focalizzano questa relazione originaria, ma soprattutto Giovanni attesta un inizio robusto di elaborazione teologica che, insieme al pensiero paolino, porterà ben presto la Chiesa primitiva, a partire dagli eventi pasquali, a professare il rapporto di Gesù con Dio come assolutamente unico, un rapporto – reciprocamente – di figliolanza e di paternità che conferisce alla stessa relazione una consistenza propriamente personale. L’esistenza, la presenza, i gesti e la parola di Gesù alzano il velo su un mistero inaudito e sconvolgente, la relazionalità intima di Dio, il suo essere vivente in una circolazione di persone, tra Padre, Figlio e Spirito. Questo mistero avvolge l’esistenza di Gesù, abitata potentemente dallo Spirito e aperta incondizionatamente a Dio vissuto anche umanamente come padre personale .

Il pensiero cristiano, soprattutto nei primi secoli, sarà polarizzato da questa ineffabile esperienza umana in cui si rivela definitivamente, senza per questo esaurirsi, il mistero di Dio. E saranno i primi concili e le contestuali controversie trinitarie e cristologiche a elaborare la categoria di persona applicandola a Dio per imparare a distinguere in lui l’unità della natura e la trinità delle persone. Si va via via comprendendo che le persone in Dio sono tali in quanto protagonisti di relazioni in cui la totalità della vita divina circola come totalità di autodonazione da parte del Padre che genera il Figlio, come totalità del riceversi del Figlio da parte del Padre a cui eternamente si ridona senza riserve, e come reciprocità del donarsi e del riceversi senza residui dell’uno e dell’altro che è lo Spirito. In Dio sono le relazioni ad essere sussistenti, così che tra le persone divine tutto è comune tranne l’opposizione di relazione, come insegna il concilio di Firenze . Con le parole di Jürgen Werbick: «Le persone divine possono essere pensate solo in forza della loro reciproca relazione, come persone indistinte in se stesse e distinte dalle altre» . S. Tommaso d’Aquino conduce a sintesi il pensiero scolastico e l’intera tradizione cristiana su questo punto. Come scrive Piero Coda:

La persona divina è definita dall’Aquinate relatio subsistens, «relazione sussistente» [formula dietro la quale – è facile osservare – vediamo saldarsi le tradizioni occidentale e orientale, la latina di persona e la greca di hypostasis]: dove «relazione designa l’elemento individuante che distingue la persona, e sussistente designa la posizione ontologica assoluta della persona». Ciò significa che, nelle Persone divine, l’identità sussistente coincide con la relazione, l’essere in sé (l’esse-in) coincide con l’essere-per e nell’altro (l’esse-ad) .

A partire da tale straordinaria conquista teologica, la categoria di persona sarà riferita all’essere umano; con la sua applicazione analogica, la persona umana verrà compresa come dotata, ciascuna, di una sua natura individuale incomunicabile ma aperta a una relazionalità illimitata. La relazionalità, dunque, costituisce la specificità della persona anche nella sua adozione come categoria idonea a comprendere l’essere umano.

La peculiarità della conseguente definizione dogmatica dell’identità di Gesù permette di acquisire un elemento nuovo. Al di là di un dibattito che non si può considerare affatto chiuso, la formula ‘una persona in due nature’ può legittimamente assumere per noi un valore di permanente attualità. Essa dice che l’integra umanità di Gesù entra in relazione con gli altri esseri umani grazie a una costitutiva apertura personale che sfocia ultimamente in Dio. La relazione filiale di Gesù con Dio, che si consuma pienamente negli eventi pasquali, assume e porta a compimento ogni altra relazionalità, perché la riporta alla sua verità, cioè alla relazione di Figlio a Padre con Dio. In questo modo l’opera salvifica di Gesù, in quanto Figlio incarnato, restituisce la condizione creaturale dell’essere umano al suo statuto originario di immagine di Dio elevata alla nuova condizione personale di figliolanza. «Il rapporto tra l’umanità e la divinità nel Cristo costituisce il riferimento fondamentale che permette di capire il rapporto di ogni uomo con Dio», scrive Bernard Sesboüé . Ciò che Gesù sperimenta in forza della sua identità filiale divina, si realizza grazie a lui nelle relazioni di ogni persona umana. «Queste relazioni che si svolgono su un piano orizzontale – scrive Walter Kasper – vengono per così dire incrociate e sorrette […] dalla relazione avvolgente che lega l’uomo a Dio» . A somiglianza di Gesù, in ogni persona la relazione con Dio non solo sostiene tutte le relazioni, ma ne porta a pienezza l’umanità, non ultimo nella sua autonomia e nella sua libertà.

Il percorso appena accennato ci conduce a due piccole conclusioni. La prima vuole che la riscoperta da parte della ricerca critica della sostanza storica delle relazioni di Gesù trovi motivo di sondarle in tutta la loro profondità grazie all’ultima consistenza che loro pertiene in forza della relazione originaria di Gesù con Dio come suo Padre personale nello Spirito. La seconda ci dice che possiamo e dobbiamo guardare a lui e alle sue relazioni per attingere le ragioni e la forza della nostra relazionalità, senza la quale la nostra qualità umana risulta non solo impoverita ma minacciata nella sua costitutiva identità.

Infine la considerazione delle relazioni di Gesù, a partire da quella sorgiva e generativa con il Padre, ci fa capire che è contro la natura della relazionalità la chiusura autoreferenziale in dinamiche esclusive ed egoisticamente interessate, poiché se per Gesù la missione dal Padre è l’intimo dinamismo di ogni sua relazione, l’orientamento agli altri e alla vita è ciò che unicamente può dare adempimento al senso e al destino del nostro essere umani.

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