Presentazione del Messaggio per la LII Giornata Mondiale della Pace 2019
✠ Mariano Crociata
Cari fratelli e sorelle,
quella che celebriamo quest’anno è la cinquantaduesima Giornata Mondiale della Pace. Qualcuno potrebbe temere, dopo tanti anni, di trovare ripetitiva la proposta dei temi. E invece proprio quello di quest’anno conferma il contrario. La ragione sta nel fatto che la pace non è un bene tra altri, è invece il bene integro, è l’integrità, l’interezza e la totalità del bene, in cui si trovano tutti gli altri beni, e quindi ha una ricchezza di aspetti che siamo lontani dall’avere compreso e soprattutto attuato. Ne abbiamo un esempio nella storia del nostro Paese, il quale, come altri Paesi europei, da più di settanta anni non conosce la guerra, ma non per questo può dire che in esso regni sovrana la pace; al contrario, sembrano non finire mai i motivi di conflitto a tutti i livelli. Non basta l’assenza di guerra per avere pace. La pace è anche molto di più, e questo di più non abbiamo ancora finito di conoscerlo e soprattutto di praticarlo.
Questo spiega perché la Giornata viene celebrata nel giorno ottavo del Natale: in questa solennità della Madre di Dio, che con la sua maternità ha dato al mondo il Salvatore Gesù Cristo, noi accogliamo e crediamo in Colui che solo può portarci la pace come bene integro e somma di tutti i beni. Da soli non siamo capaci di accoglierla; con Lui impariamo e riceviamo la forza di cercare e costruire la pace. Gesù è colui che dona la pace (cf. Gv 14,27) e, anzi, Egli stesso «è la nostra pace» (Ef 2,14). Con Lui soltanto possiamo davvero «dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,79).
Il tema di quest’anno è del tutto nuovo nella sua formula: La buona politica è al servizio della pace. Anche se non si è mai parlato di politica, nei Messaggi degli anni passati essa è stata sempre presente, poiché i primi destinatari sono stati i responsabili politici e istituzionali delle nazioni, insieme a tutti i credenti e agli uomini e donne di buona volontà. La pace, certo, non può essere prodotta solo dalla politica, ma una politica vera serve la pace, concorre a predisporla e a realizzarla in misura spesso decisiva. Consideriamo la formula “buona politica”. Il Messaggio vuole condensare proprio questo: una politica non buona non aiuta la pace, anzi la minaccia. Una buona politica è «un veicolo fondamentale per costruire la cittadinanza e le opere dell’uomo»; essa consiste, come scriveva Paolo VI, nel «realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità». Portiamo con noi questa espressione, perché condensa in modo semplice ed efficace il significato della buona politica: «realizzare insieme» cittadinanza e condizioni di buona convivenza per tutti.
Quando una politica può essere definita buona? Il Messaggio punta molto sulle qualità delle persone che, a livello internazionale, nazionale e locale, occupano posti di responsabilità politica. Queste le «virtù umane che soggiacciono al buon agire politico: la giustizia, l’equità, il rispetto reciproco, la sincerità, l’onestà, la fedeltà». Il Messaggio cita anche le cosiddette beatitudini del politico: un piccolo elenco dovuto alla penna del vescovo vietnamita Van Thuan, perseguitato e tenuto prigioniero per tanti anni ai tempi del regime. Vale proprio la pena leggerle.
Ma ci sono anche i vizi del politico: «la corruzione – nelle sue molteplici forme di appropriazione indebita dei beni pubblici o di strumentalizzazione delle persone –, la negazione del diritto, il non rispetto delle regole comuni, l’arricchimento illegale, la giustificazione del potere mediante la forza o col pretesto arbitrario della “ragion di Stato”, la tendenza a perpetuarsi nel potere, la xenofobia e il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della Terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio».
Sarebbe facile concludere a questo punto dicendo che la cosa riguarda quelli che, appunto, hanno responsabilità pubbliche: a loro tocca farsi l’esame di coscienza e cercare di mettersi a posto con essa. Ma le cose non sono così semplici, poiché la buona politica dipende anche dai cittadini. Leggiamo ancora il Messaggio: «Ogni rinnovo delle funzioni elettive, ogni scadenza elettorale, ogni tappa della vita pubblica costituisce un’occasione per tornare alla fonte e ai riferimenti che ispirano la giustizia e il diritto». E questo coinvolge tutti, eletti ed elettori.
Dare il proprio voto è una delle espressioni principali della responsabilità politica che sta nelle mani dei cittadini e degli elettori. È questo, infatti, il senso della democrazia in quanto sistema di governo del popolo. Negli ultimi anni – per considerare solo questi – abbiamo visto gli effetti dell’esercizio di tale potere dell’elettorato nello stravolgere il quadro politico, dal livello locale fino a quello nazionale, e non solo in Italia. Proprio questo, però, ci ha fatto toccare con mano più chiaramente che i limiti della politica non sono altro che l’altra faccia dei limiti dell’elettorato e che i difetti dei politici che, a volte con grande clamore, vengono alla ribalta delle cronache, sono alla fine i difetti dei comuni cittadini, magari ingigantiti.
Per questa ragione le tornate elettorali si trasformano il più delle volte in occasioni per manifestare il peggio della cittadinanza; due effetti di tale deriva sono infatti il clientelismo o, all’opposto, la protesta, una rabbia che spinge a scelte azzardate, prese senza particolare ponderazione; a tutto questo va aggiunto il diffuso assenteismo. Non solo dunque il cattivo comportamento degli eletti, ma anche l’immaturità dell’elettorato o la sua scarsa capacità di critica e di autonomia: tutto questo mina alla base ogni buona politica.
Il Messaggio introduce un ulteriore elemento importante per capire il sentire degli elettori, che spiega in parte il clima sociale e politico adesso dominante, e cioè l’incertezza e la paura: «viviamo in questi tempi in un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro o dell’estraneo, nell’ansia di perdere i propri vantaggi, e si manifesta purtroppo anche a livello politico, attraverso atteggiamenti di chiusura o nazionalismi che mettono in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha tanto bisogno». Dobbiamo diventare consapevoli di questo e cercare insieme il modo di affrontare e superare i motivi di ansia e di inquietudine che ci attanagliano. Perché «ognuno può apportare la propria pietra alla costruzione della casa comune», dice ancora il Messaggio. C’è un contributo che solo ciascuno di noi può dare.
Andiamo verso la conclusione dicendo che il Messaggio non vuole essere un trattato di buona politica, ma un invito a considerare le condizioni minimali per realizzarla, indicando quali devono essere le qualità e le virtù di un buon politico, e quali invece i vizi; esso ci fa prendere anche coscienza della nostra responsabilità di cittadini elettori, sia pure in un clima sociale carico di paure e di tensioni.
Vincere insieme le paure, avere il coraggio di guardare i nostri difetti e di non considerare solo quelli dei politici, trovare insieme le ragioni e la visione per una convivenza migliore: questo è l’obiettivo che propone e l’invito che ci rivolge il Messaggio di quest’anno per la Giornata Mondiale della Pace. Da dove cominciare? Uno spunto, che sgorga spontaneo da quanto detto ma su cui bisognerà tornare a riflettere un’altra volta, è il dialogo sociale. Abbiamo bisogno di imparare a darci tempo di riflettere e di confrontarci insieme su ciò che ci sta a cuore per il bene della comunità nella quale viviamo. Si comincia da qui e ora. Ma con un nuovo dialogo sociale.
Con questo auspicio e con questo invito, a tutti – autorità e cittadini, confratelli e fedeli – rivolgo l’augurio di un anno sereno e operoso, con la benedizione del Signore.