OMELIA
Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate
Cattedrale di S. Marco, 4 novembre 2019
Rm 11,29-36; Lc 14,12-14
+ Mariano Crociata
La Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate mantiene vivo il ricordo di quanti combatterono per assicurare l’integrità territoriale al nostro Paese nella prima guerra mondiale, nel corso della quale un numero impressionante di soldati sacrificò la sua vita. A distanza di un secolo la nostra memoria e la gratitudine per il loro sacrificio rimangono intatte. In tal modo la storia lega la celebrazione della Giornata inseparabilmente sia all’unità del Paese che alle forze armate.
Le circostanze profondamente mutate, a distanza di tanto tempo, chiedono di sviluppare una riflessione ulteriore. Comprendiamo, infatti, che il problema non è più quello di salvaguardare i confini geografici della nazione e, soprattutto, che l’unità di una nazione non coincide con la sua integrità territoriale. Ciò che minaccia l’integrità nazionale non è più una qualche potenza esterna; nessun esercito è alle porte per occupare i nostri territori né ci sono attori politici internazionali animati da simili intendimenti. Le cose si sono fatte un po’ più complicate, visto che la globalizzazione ha improvvisamente relativizzato i confini. Ormai le persone e le merci, e soprattutto i flussi finanziari e le comunicazioni, non solo attraversano i confini, ma spesso semplicemente li ignorano e li annullano. Del resto anche gli strumenti di offesa e di difesa delle forze armate sono anch’essi profondamente mutati e superati rispetto ad un passato anche recente, poiché i conflitti sempre più si conducono con strumenti sofisticati che utilizzano l’informatica, la robotica e l’intelligenza artificiale. Siamo in un villaggio globale e le differenze e i confini passano spesso dentro le stesse nazioni, come è il caso della diversità di condizione economica e sociale, tra fruitori ed esclusi dai vantaggi e dalle possibilità a disposizione. Le frontiere effettive spesso disegnano traiettorie del tutto diverse da quelle fisiche, perché attraversano settori apparentemente impalpabili come quelli dell’etica e della giustizia, della cultura e della spiritualità, oltre che della religione e della fede.
Di che cosa avrebbe bisogno un Paese come il nostro per realizzare la sua unità oggi? Naturalmente non vagheggiamo una uniformità che nessuno auspica; abbiamo fin troppo imparato ad apprezzare il pluralismo che la democrazia garantisce per sognare modalità obbligate di conformità. Insieme al dialogo come metodo insostituibile di confronto e di ricerca di soluzioni condivise, siamo convinti che un ruolo importante svolgono le istituzioni, soprattutto quelle nelle quali si articola l’ordinamento di uno stato. E le forze armate ne rappresentano una articolazione essenziale. Le istituzioni sono la garanzia che la vita del singolo cittadino e della società intera può essere condotta ordinatamente e nel rispetto dei diritti di tutti e di ciascuno. C’è tuttavia una condizione assolutamente necessaria perché tale garanzia funzioni, e che naturalmente presuppone il rispetto delle regole e della legalità come base di ogni istituzione e organizzazione.
La pagina di vangelo ascoltata potrebbe offrirci una luce, poiché ci presenta un modo di pensare e di agire che possiamo definire disinteressato o, quanto meno, ispirato da un interesse superiore. Quando organizzi un pranzo o una cena, dice Gesù, non invitare qualcuno per interesse, per il calcolo che possa poi ricambiarti, ma solo per il desiderio di fare del bene, e quindi invita chi non può ricambiarti perché con la stessa libertà del bene che compi senza calcolo tu possa ricevere alla fine e definitivamente il bene che cerchi e di cui hai bisogno direttamente da Dio. Quello di Gesù è un invito a non diventare schiavi del calcolo e a non avvelenare le relazioni con una dose prevalente di considerazioni utilitaristiche. C’è un bene più grande che puoi perseguire nelle tue relazioni, perfino con tuo vantaggio, se cerchi il bene degli altri e la gloria di Dio.
Vorrei applicare il discorso a chi opera dentro una istituzione, di qualsiasi genere essa sia, in ogni caso legata a un obiettivo di salvaguardia del bene collettivo. Tale applicazione si traduce nell’invito a non perdere mai di vista la finalità propria dell’istituzione dentro cui si opera, non limitandosi ad una osservanza formale delle regole e delle leggi che normano un settore, un lavoro, un tipo di servizio, ma cercando di perseguire il bene ultimo e più grande dell’organismo di cui si fa parte ed entro cui ciascuno opera. Dovrebbe diventare motivo di orgoglio portare il proprio contributo alla realizzazione di quell’obiettivo. Per fare un esempio che non è direttamente attinente ai presenti, ci si aspetta che chi opera nella sanità cerchi al di sopra di tutto la salute del paziente e l’efficienza complessiva della struttura sanitaria, coinvolgendosi di persona e avendo a cuore il bene di tutti, eventualmente anche con sacrificio personale.
Spesso accade di vedere persone totalmente disamorate e prive di scrupolo se il proprio ambiente di lavoro e settore di responsabilità va a male, e preoccupate invece soltanto dell’utile immediato e dei piccoli vantaggi che si riescono a lucrare dal posto che si occupa, noncuranti che il risultato e la finalità propri dell’istituzione in cui si opera siano disattesi, anche se con danno alla collettività. È una questione di moralità e, prima ancora, di cultura, la cui carenza è un fattore di disgregazione e di dissoluzione del tessuto sociale e della tenuta istituzionale di una collettività. Le istituzioni non sono anonime, sono fatte dalle persone che vi operano a tutti i livelli, anche a quelli più bassi. E l’apporto di ciascuna è rilevante in un senso o in un altro.
Oggi si ha l’impressione che è questa unità ad essere intaccata e a volte anche minacciata. Ognuno di noi dovrebbe rieducare se stesso ed educare gli altri, specialmente ragazzi e giovani, ad amare il proprio lavoro e a prenderlo a cuore non solo in se stesso, ma inseparabilmente come parte della finalità e del bene che nell’insieme delle istituzioni – pensiamo alla scuola – cerca di perseguire. E anche nelle forze armate si deve pensare e agire così. È un modo laico di tradurre il vangelo nella vita di oggi e un modo civile di testimoniare la propria dignità e di dimostrare che crediamo nel valore e nella bellezza di un Paese, per salvare il quale – così da consentirci il benessere e la pace di cui oggi godiamo – innumerevoli giovani hanno sacrificato la loro vita.