Messa del Crisma
Cattedrale di San Marco, 27 marzo 2024
+ Mariano Crociata
È una eredità culturale di lunghissimo periodo quella che porta, qui da noi, a privilegiare lo spirito d’iniziativa, l’attivismo, la volontà di imporsi, nel rapporto con gli altri, con la realtà, con le esigenze della vita. Qualcuno ne coglie la radice addirittura nella cultura romana antica. La cosa ha anche i suoi aspetti positivi e la sua necessità, ma rischia di renderci unilaterali e di diventare dominante rispetto ad altro ancora più importante.
Lo possiamo vedere anche nella nostra azione pastorale. A volte diamo l’impressione che tutto dipenda da noi e da ciò che facciamo. Ne colgo un esempio anche nel modo di adottare lo sguardo verso il futuro della nostra Chiesa e di prendere le misure necessarie conseguenti, come appunto stiamo facendo nella nostra diocesi. La celebrazione della Messa del Crisma ci impone, perciò, una salutare interruzione, una battuta d’arresto nel modo di affrontare la nostra vita di Chiesa, oltre che la nostra esistenza personale. Dobbiamo cambiare sguardo, non per diventare pigri o inattivi, ma per compiere ogni cosa da veri credenti, e non tanto da persone religiose che gestiscono le cose sacre come si farebbe con qualsiasi altro prodotto o attività sociale. A volte siamo più preoccupati di dimostrare qualcosa, che di assecondare ciò che ci è stato concesso in dono.
La verità è che tutto ciò che noi siamo e facciamo non viene da noi, o meglio non ha origine in noi; può avere la nostra disponibilità e la nostra collaborazione, ma non essere la prima radice. È in fondo ciò che annuncia il profeta Isaia e che il vangelo di Luca riprende riferendolo a Gesù. Gesù si sente riconosciuto e identificato quando legge: lo Spirito del Signore è su di me, mi ha mandato. La verità di fede che Gesù è Dio non ci deve far perdere di vista che anche come uomo egli riceve tutto, a cominciare dalla sua umanità creata. Come uomo Gesù è una creatura che riceve tutto dal Padre e nella sua umanità accoglie la chiamata, il dono dello Spirito, l’impulso e l’invio alla missione.
Gesù si presenta innanzitutto come colui che ci apre a Dio, ce lo dona e ci fa scoprire ciò che, tramite lui, Dio ha fatto, continua a fare e farà sempre per noi. Egli diventa perciò modello di come un uomo dovrebbe rapportarsi a se stesso, alla propria radice e alla propria storia. Da credenti in Gesù, dobbiamo confessare che siamo uomini e donne investiti da Dio, amorevolmente sopraffatti da Lui e ricolmati del suo Spirito. È tutto questo che dobbiamo vedere racchiuso nel potere sacramentale del crisma consacrato in questa celebrazione unica nell’anno liturgico in prossimità della Pasqua, poiché in essa il Cristo – l’Unto del Signore, il Messia – viene consacrato e glorificato con la sua morte e risurrezione, compimento della sua missione e svelamento definitivo della sua identità di Figlio pienamente realizzata nella sua condizione di umana creatura. Il dono dello Spirito, che trasforma, ricostruisce e spinge con la sua forza verso la missione che il Padre affida, è ciò che caratterizza Gesù e che caratterizza anche noi.
Il crisma tutto questo ce lo significa in maniera speciale e lo fa in due modi. Innanzitutto in quanto segno esterno a noi. Dio si serve del crisma per trasmettere a noi la sua grazia e realizzare la nostra consacrazione a Lui. L’esteriorità del crisma e il suo essere segno dicono che l’azione da esso mediata viene da altri, da un Altro, non da noi. Lo stesso segno sacramentale, poi, non ce lo possiamo imporre da noi stessi, abbiamo bisogno che altri lo compia su di noi. Non ci possiamo battezzare da noi stessi, né darci la cresima o ordinarci preti. La conclusione che dobbiamo trarre è che l’essere battezzati, l’essere cresimati, l’essere ordinati non è un vanto, ma una graziosa concessione.
La migliore evidenza la troviamo nel battesimo dei bambini, perché esso dice, oltre ogni fattore culturale, la precedenza e la gratuità del perdono del peccato e della grazia della vita nuova di figli di Dio, fuori da ogni possibilità di comprendere, di meritare e di ricambiare. Lo stesso vale per cresima e ordinazione presbiterale o episcopale. Nel primo caso è prevista la domanda: sei certo che ne sia degno? Ma sappiamo cosa significhi, perché sfido chiunque di voi a dire che uno può essere veramente degno di essere ordinato prete. La stessa dottrina del carattere, che si riferisce ai tre sacramenti per la cui celebrazione è necessario il crisma, vuol dire l’irreversibilità del dono di Dio e la sua volontà di concederlo per sempre, di non ritirarlo mai; non vuol dire però che esso possa diventare prerogativa privata di cui chiunque possa fregiarsi a prescindere dalla relazione con colui che l’ha donato. Il punto decisivo è proprio questo: la volontà fedele di Dio all’alleanza che ha stabilito con noi. Egli ha deciso di legarsi a noi per sempre. Ci precede e ci accompagna sempre. È con questa consapevolezza che tutti dovremmo vivere e agire. La cosa più deprimente è far diventare abitudinario e annoiato ciò che dovrebbe metterci in fibrillazione, trasmetterci un entusiasmo irresistibile, un fervore incontenibile. Quello che ci è capitato è qualcosa di grande: l’essere battezzati, l’essere cristiani, il nostro essere preti.
La celebrazione di oggi assume un significato speciale per noi ordinati preti, poiché, in riferimento alla cena che istituisce l’Eucaristia, siamo invitati a rinnovare gli impegni assunti al momento dell’ordinazione. Ma, attenzione, prima e più degli impegni conta il dono sacramentale. Gli impegni sono l’espressione della consapevolezza del dono, del desiderio di rispondere con amore all’amore che ci ha scelti e colmati, e quindi della volontà di fare della nostra vita uno strumento perché quell’amore diventi grazia che rinnova tutti coloro che incontriamo attraverso la Parola, i gesti sacramentali, anche attraverso i gesti ordinari e comuni di una vita che intreccia relazioni senza fine con l’unica aspirazione di trasmettere speranza, fiducia, coraggio, decisione di bene.
Sì, questa Messa del crisma dice a tutti noi proprio questo: non temete, sono con voi, mi sono impegnato per sempre con voi, non ritirerò mai da voi la mia grazia e la mia benevolenza. Se non sempre siete riusciti al vostro meglio, venite a me per ricevere perdono, forza e nuovo incoraggiamento; se la vita della Chiesa presenta così tante difficoltà e il futuro dinanzi a voi sembra cupo, non temete, la Chiesa è mia, voi siete miei, ascoltatemi e vivrete.
In questo anno che abbiamo voluto dedicare alla preghiera, è sempre ad essa che dobbiamo tornare, ricordandoci che la preghiera di cui abbiamo più bisogno è quella della lode e del ringraziamento, e la preghiera dell’ascolto. Ricordiamoci di questo e andiamo avanti con coraggio, tenendo fede ai nostri impegni, sicuri ciò che appare impossibile a noi in Dio diventa possibile, perché nulla è impossibile a Dio.