OMELIA
Mercoledì delle Ceneri, Cattedrale di S. Marco, 2 marzo 2022
+Mariano Crociata
Mi pare che le circostanze suggeriscano di dirigere la nostra attenzione, oggi, alla frase con la quale termina il brano di san Paolo ai Corinzi: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!». Dobbiamo fare attenzione a intendere bene ciò che rende favorevole per la salvezza un tempo rispetto ad un altro. Il favore di un tempo non dipende da ciò che fa l’uomo o da ciò che gli capita, semmai ciò che accade può essere un segno attraverso il quale discernere il tempo della salvezza. Dal momento che si tratta di salvezza, è da Dio che dipende il tempo favorevole, è Lui a decidere il tempo della nostra salvezza.
Su questo noi abbiamo un segnale preciso, che lo stesso san Paolo registra nella lettera ai Galati, dove scrive: «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge» (4,4). Quando Dio lo decide, dopo aver guidato la storia dell’umanità e del suo popolo per secoli e secoli, Egli riempie il tempo della sua presenza. È ciò che avvenuto con la nascita e l’esistenza umana di Gesù di Nazaret. Il tempo di Gesù è stato un tempo pieno di Dio, nel quale la sua grazia si è riversata – attraverso il suo diventare uomo – sul suo popolo e sull’umanità intera. E la pienezza ha avuto la sua realizzazione definitiva nella morte di Gesù, grazie alla quale la risurrezione ha vinto la morte e all’umanità è stato dato accesso alla grazia della salvezza e della vita per sempre in Dio.
Ma se ciò è avvenuto, esso non rappresenta un episodio tra altri, bensì l’evento decisivo per tutta la storia e per l’umanità intera e di sempre, la cui esistenza è ultimamente minacciata proprio dalla morte. La vittoria sulla morte ha un valore senza paragone con null’altro, così che il tempo diventa, a partire da quel momento, tempo pieno di Dio. La pienezza del tempo vige ancora oggi, qui e ora. Ecco perché questo tempo, qui e ora, è tempo favorevole; il nostro è infatti tempo di Dio, che in Gesù offre a ciascuno di noi e a tutti noi insieme efficacemente il suo invito ad accogliere la grazia. Ne sentiamo una risonanza speciale in questo inizio di Quaresima, che troverà il suo punto di convergenza finale proprio in quella Pasqua di morte e di risurrezione che è il principio e il fondamento della pienezza del tempo e di ogni tempo favorevole.
Ci sono circostanze della vita e della storia che ci fanno avvertire in misura più intensa del solito il bisogno di salvezza. La storia che viviamo da due anni a questa parte, e le vicende che si stanno consumando nell’Europa orientale in quest’ultima settimana, costituiscono senza dubbio circostanze che ci fanno toccare con mano la nostra fragilità e i pericoli in presenza dei quali si sta svolgendo la nostra esistenza; nulla sappiamo circa gli sviluppi che possono venirne e non ci nascondiamo un senso di inquietudine che ci agita interiormente.
La nostra prima reazione deve essere quella della preghiera e della solidarietà, come abbiamo inteso fare, in comunione con tutta la Chiesa, in modo particolare in questa giornata di digiuno e di implorazione del dono della pace. Ma, detto questo, non dimentichiamo che ci rimane da assumere il compito decisivo, e cioè dire di sì all’invito dell’apostolo ad approfittare di questo tempo per lasciarci riconciliare e per non accogliere invano la grazia di Dio. In questo momento avvertiamo tutta l’urgenza di un invito, che il Signore stesso ci rivolge, a tornare a Lui con tutto il cuore. Si tratta di dare un orientamento, una nuova direzione alla nostra vita (che è poi il primo significato della parola ‘conversione’).
In questo senso il vangelo di oggi ci invita a scoprire il senso genuino della fede in Dio e della sequela di Gesù. Esso ci pone di fronte all’alternativa tra io e Dio, e cioè di fronte alla decisione se la meta, il termine e il senso ultimo, della mia vita sono io stesso o invece è Dio (è sempre in gioco, come si vede, la conversione, cioè la direzione che vogliamo darci, la nostra destinazione ultima). Quando vogliamo essere noi stessi il principio e il centro, anche del bene che facciamo o perfino degli atti religiosi che poniamo, ci tagliamo fuori dalla ricompensa divina, cioè dalla vera riuscita della nostra vita, che consiste nella presenza di Dio nella nostra casa, nella nostra vita, nella comunione che Lui solo può concederci e nella riuscita vera della vita grazie a Lui e in Lui.
Perfino la guerra in corso, che tanto ci angoscia, ha qui la sua radice, nella volontà di affermazione di sé contro Dio, ed essa lo dichiara apertamente perché ciò che sta accadendo ha alle spalle anche fasulle motivazioni religiose. Quando si vogliono difendere le proprie radici cristiane con la violenza e con la guerra, allora di cristiano e di religioso non rimane più niente, Dio è già stato espulso dal proprio orizzonte.
Allora la nostra preghiera e il nostro digiuno sono veri se ci inducono a compiere tutto nella nostra vita non per affermare noi stessi (e quando si vuole affermare se stessi lo si fa sempre contro qualcuno), ma solo per amore di Dio.