Omelia per il 50° Anniversario di ordinazione di don Giuseppe Quattrociocchi (16/01/2021, Borgo Sabotino, Latina)

16-01-2021

OMELIA

Borgo Sabotino, sabato 16 gennaio 2021, II Domenica B

50° Anniversario di ordinazione di don Giuseppe Quattrociocchi

+ Mariano Crociata

Io devo innanzitutto ringraziare, insieme a voi, don Giuseppe perché ci da l’occasione di celebrare questo anniversario così significativo del suo sacerdozio; nel suo stile schivo e riservato, egli forse avrebbe preferito non dare troppo risalto alla cosa, ma ha scelto di invitarci stasera e di questo siamo contenti, anche se le condizioni sanitarie non ci consentono di fare festa come vorremmo. In generale, l’espressione, appropriata e misurata, della nostra gratitudine, come di tutti i nostri sentimenti, è importante per la nostra umanità, ma anche per la nostra fede. Il Signore ci chiede di coltivare innanzitutto dentro il cuore la fede e l’amore che gli vogliamo, ma ci chiede ugualmente di manifestarglielo in tutti i modi adeguati che conosciamo.

E in questa occasione dobbiamo al di sopra di ogni cosa ringraziare proprio il Signore, insieme a don Giuseppe, perché lo ha chiamato e lo ha sostenuto nel sacerdozio in questi cinquant’anni di servizio al Signore e alla Chiesa. Ma dobbiamo ringraziare il Signore allo stesso tempo per avercelo dato, don Giuseppe, il quale è sempre stato e rimane un punto di riferimento per i fedeli e anche per i sacerdoti della nostra diocesi, nella quale ha svolto il suo ministero in varie comunità parrocchiali. È importante che abbia potuto celebrare questo anniversario come parroco, e lo ricordo solo per sottolineare che don Giuseppe continuerà a svolgere il suo ministero a favore del popolo di Dio e della nostra Chiesa, confermando in tal modo lo stile della sua vita e della sua dedizione con tutto se stesso.

Di questi tempi non è facile parlare di sacerdozio, non solo per ragioni di numero, ma piuttosto per cambiamento di mentalità e di cultura. In questa sede dobbiamo ribadire che il sacerdozio ministeriale è un dono di Gesù alla Chiesa per assicurare ad essa l’Eucaristia e i sacramenti, la cura della Parola di Dio e della comunione fraterna. Tutti i fedeli sono corresponsabili dei beni spirituali della fede e della Chiesa, ma senza il sacerdote diventa impossibile esercitare tale corresponsabilità. Nel momento in cui ringraziamo e formuliamo i nostri auguri, vogliamo anche cogliere l’occasione per riscoprire il senso del ministero presbiterale per la vita della Chiesa e per il bene di tutti i credenti. La nostra festa diventa piena se abbiamo a cuore e ci prendiamo cura del bene della Chiesa con tutte le sue esigenze e le sue attese. E oggi la questione dei preti è molto seria da diversi punti di vista. Ringraziamento e preghiera perciò vanno insieme, pensando sia ai sacerdoti in servizio sia alle vocazioni che attendono di essere risvegliate e accolte.

Di vocazione, guarda caso, si parla proprio in questa domenica. Abbiamo sentito della vocazione di Samuele e, nel vangelo, della chiamata dei primi discepoli. Non mi soffermo sui singoli testi, anche se dobbiamo fare tesoro di un vangelo nel quale Giovanni è così libero da lasciare andare i propri discepoli invitandoli a diventare discepoli di Gesù, e dobbiamo meditare sui dialoghi tra Gesù e i primi discepoli e di questi con Simone, che si chiamerà Cefa/Pietro. Attraverso questi dialoghi vediamo innescarsi un movimento di uscita dal gruppo del Battista, di incontro con Gesù e con altri discepoli, e di coagulo di un nuovo gruppo attorno a Gesù. La chiamata provoca, cioè, un movimento di revisione dei rapporti e di riorganizzazione nuova, personale oltre che di gruppo, attorno a Gesù. La chiamata stabilisce un nuovo ordine di priorità, determinato non da una confusa ricerca di affermazione di sé, ma dalla scoperta della centralità e della decisività della persona di Gesù, che della vita costituisce ora la speranza di realizzazione davvero piena e senza riserve.

Noi siamo convinti che questa è stata anche l’esperienza di don Giuseppe fin dal primo incontro con Gesù e dalla scoperta della vocazione che l’ha condotto, cinquant’anni fa, fino all’ordinazione sacerdotale. Ciò che mi sembra suggerire questo accostamento tra le letture di questa domenica e la ricorrenza anniversaria, non solo per lui ma anche per tutti noi, è il significato trasformante, e permanente, della vocazione. Nella storia di una vocazione c’è uno svolgimento, un percorso, che va dalla scoperta progressiva dell’essere chiamato, alla scelta di abbracciare il cammino formativo corrispondente, alla celebrazione della preparazione e poi del sacramento dell’ordine, al servizio concreto di presbitero nelle varie comunità a cui si viene mandati. Ma il momento sorgivo dell’incontro e della vocazione non è un punto del passato inesorabilmente superato dallo scorrere del tempo, come se possa essere considerato equivalente a tutti quelli successivi. In realtà la sorgente, che è la vocazione e l’incontro col Signore, è sempre viva, e solo se essa rimane viva prende vita ogni momento del servizio sacerdotale. E questo che diciamo per la vocazione sacerdotale, vale ugualmente per ogni altra vocazione nella Chiesa. Io sono convinto che don Giuseppe riceve anche oggi alimento da quell’acqua sorgiva che ha sentito sgorgare all’inizio del suo cammino con il Signore. Perciò mi piace concludere con la frase che chiude la pagina della vocazione di Samuele, la quale dice: «Samuèle crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole». Ecco, questo non lasciare andare a vuoto nessuna delle parole che Samuele aveva ascoltato alla prima chiamata del Signore, credo che sia vero anche per don Giuseppe. Certo gli auguriamo che continui ad essere così ancora a lungo, che senta, cioè, nel segreto del cuore, che il Signore non si stanca di chiamarlo e consolarlo con la grazia di una risposta fedele e gioiosa.

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