Omelia per il 25o di ordinazione diaconale di Giuseppe Marcucci (28/05/2025 – Chiesa del Sacro Cuore, Latina)

28-05-2025

OMELIA

Mercoledì 28 maggio 2025, VI di Pasqua

Parrocchia Sacro Cuore, 25o di ordinazione diaconale di Giuseppe Marcucci

+ Mariano Crociata

Un anniversario di ordinazione contiene in sé sempre un duplice significato, personale ed ecclesiale: personale, perché legato alla vicenda vocazionale dell’ordinato, ecclesiale, perché il ministero che egli ha ricevuto con il sacramento ha un carattere oserei dire istituzionale, si declina cioè interamente nella dedizione ai fratelli e nella edificazione della comunità dei credenti.

Questo è senz’altro vero per Pino Marcucci e per il suo diaconato, che, con i suoi venticinque anni di ordinazione, rappresenta uno dei primi della nostra Chiesa e si qualifica per l’intreccio, non riscontrabile nella stessa maniera in altri, tra il servizio affidato e il suo esercizio attraverso la sua presenza accanto ai vescovi, in particolare nella realizzazione e nella custodia della funzione della Curia, oltre che nella collaborazione alla formazione iniziale e permanente dei diaconi. Per questo siamo qui, per ringraziare insieme a lui il Signore della grazia della vocazione e del sacramento, e per tutto ciò che egli ha compiuto e compie per la nostra Chiesa. Dicendo questo non esibiamo motivi di vanto né stabiliamo gradazioni, ma celebriamo l’amore del Signore che in tutti e in ciascuno compie le sue opere, trovando risposta a misura dell’identità e della storia di ogni ministro.

In questo senso la circostanza che ci vede qui riuniti assume un significato che fa risaltare il ruolo nella nostra Chiesa del diaconato permanente di quelli che lo hanno ricevuto e di quelli che si preparano a riceverlo. Nella distinzione che non può essere sminuita tra diaconato e presbiterato, noi celebriamo questo venticinquesimo con non minore gioia, solennità, gratitudine di un venticinquesimo di sacerdozio, consapevoli delle grazie ricevute dall’uno e dall’altro e nel riconoscimento che la nostra Chiesa ha il volto che oggi riesce ad esprimere grazie a tutti i presbiteri e anche a tutti i diaconi, per limitarci ad essi nella considerazione propria di questo momento. La celebrazione di oggi prelude ad una crescita  ulteriore del servizio nella comunione di presbiteri, diaconi e fedeli tutti, i quali soltanto insieme conferiscono alla nostra diocesi tutta la sua vitalità oltre che la sua identità. Sentiamo di dover ancora crescere in questa fecondità di grazia e di bene per sostenere e accompagnare la rigenerazione e la crescita della fede in tutti noi e in coloro che attendono di incontrarla e di sperimentarla attraverso di noi.

La pagina degli Atti oggi proclamata ha un valore, tra altri, di indicazione di metodo e di merito. Essa suggerisce che l’annuncio e la testimonianza del vangelo sono veri quando in qualche modo entrano in contatto, agganciano l’esperienza e il sentire dei destinatari. Il vangelo, anche per noi, non giunge come un corpo estraneo da integrare in un nostro mondo che sta bene così com’è, ma si rivela sempre come risposta e adempimento di una attesa e di un bisogno, perché viene da colui che ci ha creati, come ricorda san Paolo, e ci ha fatti per ritrovare e dare compimento a noi stessi in lui. Non si tratta solo di una tecnica, ma di una via di incontro e di corrispondenza che se non vale per noi non può nemmeno valere per gli altri.

Questo ci porta con naturalezza all’ascolto della pagina giovannea, di cui vi invito a mettere in luce l’espressione che dice: «lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future»; nel breve brano ripeterà altre due volte l’idea che prenderà da Gesù e lo annuncerà. C’è dunque, nell’azione dello Spirito, un’intima e indissolubile unione con Gesù e con la sua parola e azione. Lo Spirito ci sarà nel tempo della Chiesa, dopo la morte e la risurrezione di Gesù, dopo la conclusione della sua presenza fisica, storica, terrena; sarà la condizione e la modalità divina, trinitaria, che Dio adotta per far continuare l’opera di Gesù risorto nel tempo tra la Pasqua e la Parusia, il suo ritorno glorioso. Nella logica trinitaria lo Spirito non ha cose sua da dire, poiché ciò che egli dice è la Parola del Padre, che è Gesù, nel tempo successivo al Gesù della storia.

C’è una duplice azione dello Spirito, che guarda rispettivamente al passato e al futuro. Una prima è l’elaborazione della memoria: lo Spirito dà sempre nuovo significato e attualità alla profondità inesauribile della parola e dell’evento storico di Gesù. La storia non basterà a esaurire tutta la ricchezza del Verbo eterno di Dio fatto uomo in Gesù. Ma questa profondità memoriale si sposa e si intreccia con uno sguardo al futuro che non significa altro che mostrare come, tutto ciò che accade di sempre nuovo in ogni momento e ad ogni passo della vita, è un luogo teologico, cioè una nuova manifestazione della potenzialità della Parola eterna che si incarna non più in un uomo soltanto, ma attraverso di lui – Gesù, unico e irripetibile – nella condizione storica di tutti e di ogni credente. Imparare ad ascoltare così lo Spirito significa imparare a vivere nella consapevolezza credente che il Risorto è con me e con noi, e che non cessa di operare nella storia degli umani conducendola alla salvezza. Grazie allo Spirito, il Signore risorto continua ad essere presente, a illuminare e parlare nella storia sempre nuova dei credenti.

Un’ultima cosa merita di essere sottolineata. Lo Spirito è per definizione l’invisibile, colui che, al contrario del Verbo fatto uomo, come scrive Giovanni nel prologo della sua prima lettera, non si può udire, vedere, contemplare, toccare. Poiché noi ministri siamo conformati a Cristo per la potenza dello Spirito, dovremmo imparare ad essere e ad agire un po’ come lui, e cioè favorire l’incontro con Gesù senza farci troppo notare, senza metterci in evidenza, nel silenzio e nella discrezione che fanno emergere in tutta la sua forza la presenza e l’opera del Verbo divino che è Gesù. Probabilmente i diaconi hanno in questo senso una testimonianza specifica da offrire.

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