OMELIA
Parrocchia del Frasso, Solennità dell’Immacolata, 8 dicembre 2020
25mo di ordinazione presbiterale di don Giuseppe Fantozzi
+ Mariano Crociata
È una grande gioia ritrovarsi per celebrare i tuoi venticinque anni di sacerdozio, caro don Giuseppe. Personalmente apprezzo il tuo invito e la volontà di sottolineare la ricorrenza, perché esprime matura consapevolezza e sano orgoglio per la grandezza del dono della chiamata al ministero di presbitero e della grazia sacramentale che ti ha sostenuto lungo tutti questi anni. Se riflettiamo sul senso profondo di questa circostanza, dobbiamo dichiarare che la centro dell’attenzione più che la tua persona è il Signore, l’unico e supremo pastore, che ti ha voluto prete e ti ha sorretto e incoraggiato sempre nel tuo impegno fino ad oggi. E insieme al Signore, al centro della scena, nella quale tu sei co-protagonista, è la Chiesa, nella quale hai ricevuto la fede e il battesimo, grazie ai tuoi genitori e alla tua famiglia; Chiesa che ora servi ed edifichi con il tuo ministero intessuto di Parola di Dio e di celebrazioni sacramentali per la costruzione della comunità cristiana.
Il passaggio del venticinquesimo esprime gratitudine per il tempo vissuto, ma più di tutto evidenzia la volontà di confermare e rilanciare la grazia della vocazione e del ministero ordinato. La circostanza per cui tu sei stato ordinato nel giorno dell’Immacolata, non soltanto dà una tonalità mariana al tuo sacerdozio, ma ti indica un modello e ti indirizza ad assumere uno stile corrispondente nella tua vita di ministero a partire da questo momento, anzi proprio da questo anniversario che rappresenta in qualche modo un nuovo inizio, nella pienezza della maturità umana che spinge a cominciare da una tappa che presenta un carattere di novità rispetto al passato, perché c’è in te una consapevolezza più piena e una volontà più forte e determinata, nell’abbracciare con totalità di dedizione il servizio nel ministero di presbitero.
La pagina della Genesi e quella del Vangelo dell’Annunciazione vogliono evidentemente mettere in continuità la promessa di Dio, dopo il peccato, di una donna che schiaccerà la testa del serpente tentatore e l’adempimento di tale promessa con la apparizione di Maria. Maria si presenta a noi e al mondo nel momento in cui l’angelo le porta l’annuncio della sua scelta da parte di Dio, una scelta che non è cosa recente, ma risale all’intenzione originaria di Dio e quindi prima ancora della sua nascita, nel suo stesso concepimento da parte dei genitori.
Questa cornice di significato che la festa di oggi disegna dinanzi agli occhi della nostra fede, contiene un messaggio speciale che chiede di essere raccolto a partire dalla nostra comune umanità. Mi riferisco al peccato delle origini e al modo come reagiscono i due progenitori, precisamente scaricandosi a vicenda e su altri la colpa per il loro peccato. C’è un che di paradigmatico in questo sottrarsi originario alle proprie responsabilità, che denuncia un problema non solo morale e spirituale, ma anche sociale e pubblico. Oggi più che mai avvertiamo una mentalità diffusa che si alimenta facendo ricorso ad autogiustificazioni e a colpevolizzazione di altri. Nessuno ha mai colpa di niente, la colpa è sempre di altri. È in atto, come in un sport collettivo ancora più coltivato di altri, la ricerca sistematica di un capro espiatorio se qualcosa o tutto non va come dovrebbe. Solo che, a forza di scaricare su altri colpe e responsabilità, le cose non solo non migliorano, ma si aggravano e deteriorano sempre di più.
Maria ci si presenta con un atteggiamento completamente diverso: quello di chi non teme di prendersi le proprie responsabilità, in senso propositivo e nel farsi carico degli altri, non perché tenuta o obbligata da alcunché, ma solo perché chiamata da Dio, e quindi dalla storia e dagli altri. Non pensa a sé, ai propri interessi e opportunità, ma si lascia guidare dalla chiamata di Dio attraverso l’angelo a mettersi a disposizione degli altri, a cominciare dalla creatura che lo Spirito le dà di concepire fino ai discepoli che lo stesso Gesù dall’alto della croce le affiderà alla fine della sua esistenza terrena. Maria accoglie la chiamata di Dio accettando di mettersi in gioco, di compromettersi, di impegnarsi e fare la propria parte. Senza calcoli e senza mire egoistiche.
Il prete è uno che, come Maria, non fa calcoli circa la convenienza o meno della chiamata del Signore, che accetta di mettere la propria vita nelle mani di Dio e dei fratelli perché tanti altri fratelli e sorelle giungano a incontrare Dio e il suo Figlio Gesù nella grazia dello Spirito Santo. È ciò che per prima sperimenta Maria e in modo unico e singolare. Fidarsi di Dio e affidarsi a lui si scopre come il grande segreto della vita, per sé e per gli altri. Dal sì di Maria, dal suo ‘eccomi’, nasce una storia di salvezza che non conosce limitazioni o confini, nonostante le resistenze e le persecuzioni che si moltiplicano. I tempi che ci attendono, prima della fine della pandemia e dopo di essa, avranno un bisogno assoluto di tale capacità di generosa dedizione, e oserei dire passione, per affrontare e superare i problemi di cui cominciamo appena a cogliere la drammaticità.
Il ‘sì’ di Maria dà avvio a una nuova storia, ben diversa da quella precedente, perché colui che si prepara a nascere cambierà i destini della storia e dell’umanità. Da un semplice ‘eccomi’ e dall’invisibile ma realissimo inizio della vita umana di Gesù nel grembo di Maria, prende avvio una storia che ha riplasmato i destini umani e si avvia a prepararne una nuova.
Il tuo nuovo inizio, caro don Giuseppe, dopo 25 anni di ministero, è come una nuova fecondazione del grembo della Chiesa, della comunità, dei singoli credenti. Il nostro compito è lasciare che il seme della parola e della fede non cessi di venire sparso nei campi della società, delle singole coscienze, delle relazioni umane, delle stesse attese ecclesiali. Te lo auguriamo di cuore.