Omelia
Venerdì 4 ottobre 2019
Parrocchia Immacolata, funerali di Vincenzo Balestrieri
+ Mariano Crociata
Abbiamo celebrato poco meno di un anno fa i 90 anni di Vincenzo, per l’esattezza lo scorso 16 novembre, anni vissuti ancora in buona forma, così da vederlo continuare a svolgere con regolarità tranquilla e lieve la sua collaborazione come vice-cancelliere della curia. Lo ha fatto fino a pochi giorni fa, come la cosa più naturale, e divenuta quasi necessaria per lui, in una vita spesa interamente per il Signore e per la Chiesa nella famiglia, nel lavoro e nel ministero ordinato del diaconato permanente.
È il primo diacono della nostra diocesi – e per alcuni anni l’unico – e uno dei primi del Lazio. L’ordinazione l’ha ricevuta il 19 marzo del 1983, dal vescovo Enrico Romolo Compagnone. È stato collaboratore suo e di tutti i vescovi fino a oggi, non solo in curia, ma anche personalmente come autista e accompagnatore, e ancora nel servizio liturgico. È stato per tutti i vescovi uomo di piena affidabilità. Già ieri mattina, il cardinale Petrocchi mi ha chiesto di porgere alla famiglia e a tutta la comunità ecclesiale la sua partecipazione al lutto e la sua unione nella preghiera, nel ricordo di un uomo da cui ha avuto una collaborazione preziosa e di cui ha sempre avuto e conservato, come del resto tutti noi, profonda stima e riconoscenza.
Molteplici gli incarichi ricevuti da Vincenzo Balestrieri: vice-cancelliere dal 1996, presidente dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero dal 1997 al 2004, e poi vice-presidente e consigliere dello stesso Istituto fino al 2010, notaio e segretario del Tribunale ecclesiastico fino al 2014. Ha condotto la sua vita all’insegna della rettitudine e dell’ordine, coscienzioso e ligio al dovere con una adesione spontanea al senso di ciò che compiva con inossidabile diligenza. È così che ha vissuto anche la sua vita di famiglia, con la moglie Maria, venuta meno due anni fa, e i quattro figli; come pure la sua vita di lavoro, quale funzionario prima dell’Inadel e poi della Siae. Il suo ministero diaconale non l’ha esercitato solo accanto ai vescovi e nella diocesi, ma non meno anche nel servizio liturgico in parrocchia, soprattutto, qui, all’Immacolata, e poi nella cattedrale di S. Marco e in diverse altre parrocchie di Latina dove veniva richiesta o comunque desiderata la sua presenza.
Oggi ne piangiamo la perdita, ma con sereno senso di fede, consapevoli che egli ha avuto una vita piena di anni, di affetti, di operosità e di grazia, e fiduciosi che il Signore lo accoglie come un suo servo fedele. La fedeltà lo ha sempre caratterizzato, era in qualche modo il suo timbro interiore, con quella sua connotazione di uomo, come si suol dire, tutto d’un pezzo, in semplicità ma anche in fermezza, che aveva fatto unità tra fede e vita, tra convinzioni e comportamenti, tra vita sociale e appartenenza ecclesiale. Il suo sguardo si era fatto negli ultimi tempi, e perfino negli ultimi giorni, se possibile più disteso, quasi infantile, con quegli chiari serenamente spalancati come a manifestare fisicamente lo stupore e il desiderio di capire la grandezza della vita nei suoi momenti belli e in quelli dolorosi, non senza una delicata sensibilità d’animo e anche uno spirito umoristico e un tocco di autoironia che non ha smesso mai, sino alla fine. Un uomo semplice, dall’aspetto esteriore del tutto comune, ma con una grande interiorità, che coltivava con la lettura e con una preghiera assidua che col tempo riempiva sempre di più il suo tempo e le sue giornate.
Con la comunità diocesana, il presbiterio, la comunità diaconale accolgo la sua testimonianza con gratitudine verso il Signore, mentre condivido affetto e partecipazione al dolore dei figli e dei nipoti.
La scomparsa di Vincenzo ci riporta alle motivazioni originarie della nostra fede e del nostro impegno ecclesiale, di qualunque natura e grado esso sia. Una testimonianza come la sua interpella la nostra coscienza di credenti e di membri della comunità ecclesiale. Attraverso le letture oggi il Signore ci dice, infatti, che il senso della vita è servire il Signore. E del resto perché esiste il ministero del diacono se non per ricordare a tutti questa basilare verità evangelica? Due indicazioni principali ci vengono in particolare da esse. La prima, di S. Paolo, ci dice che noi non viviamo per noi stessi, ma per il Signore; che vuol dire: noi non viviamo grazie a noi stessi, in forza della nostra iniziativa, capacità e abilità, ma grazie a Dio, che ci ha dato la vita e ci sostiene; e vuol dire anche: noi non possiamo vivere solo cercando noi stessi, avendo come scopo la riuscita del nostro desiderio di affermazione e di appagamento, ma dobbiamo vivere per Dio e in vista di Lui, perché solo in Lui potrà trovare adempimento tutto ciò che siamo e tutto ciò a cui aspiriamo.
Questa parola è decisiva, soprattutto oggi. È quasi diventato naturale, anzi obbligatorio – qualcuno direbbe: è diventato vangelo – che ognuno deve pensare solo a se stesso, a realizzare se stesso. Perfino nei bambini si inocula il messaggio: esisti solo tu, conti solo tu, devi pensare a realizzare te stesso, devi affermarti a tutti i costi, il resto non conta niente. L’individuo è diventato il centro di tutto, isolato da tutto e da tutti. A volte non ci accorgiamo di pensare alla stessa maniera e finiamo così con il pensare e vivere in diretto contrasto con il Vangelo. Ma Dio, è Dio dei vivi e dei morti, dice san Paolo. Ora se non è il nostro Dio mentre viviamo, come potrà essere per noi il nostro Dio quando avremo concluso la nostra vicenda terrena?
Il Vangelo ci offre una seconda importante indicazione, in perfetta continuità con la precedente: il Signore ci vuole trovare in servizio permanente, e in un servizio gli uni verso gli altri. Servire vuol dire non pensare solo a sé e non fare le cose solo per sé, ma essere aperti agli altri, accorgersi degli altri e averne cura, aiutarli e accompagnarli nel corso della vita. Questa è la verità e la bellezza della vita: aprirsi, uscire da sé, dedicarsi agli altri e realizzare progetti di bene per tutti, non importa se grandi o piccoli. Vivere così significa vivere bene, conseguire una vita buona, non solo moralmente e spiritualmente, ma anche umanamente: come Vincenzo, il quale è stato un uomo di grande pacatezza e serenità, un uomo equilibrato che apprezzava la vita anche nei suoi momenti ordinari e nei suoi aspetti più semplici, ma con una apertura a Dio e agli altri che gli ha meritato una esistenza esemplare.
Lo offriamo al Signore nella nostra celebrazione e in questo estremo saluto, fiduciosi nella sua infinita bontà e misericordia, e desiderosi di camminare anche noi sulla via della medesima rettitudine e fedeltà, fino all’incontro definitivo con il nostro Redentore e Dio.